Pavel Andreev Music: Royal on garbage (Foto di Karina Vorobyova)
In questo articolo il redattore ed editorialista di Pressenza, Luca Cellini, denuncia il sistema produttivo che fa dell’Africa la discarica del mondo occidentale.. Vi proponiamo alcuni dei passaggi più significativi invitandovi alla lettura dell'articolo completo.
L’ULTIMO ANELLO DELLA CATENA
Se state leggendo questo articolo un giorno il computer o il
telefonino che state utilizzando potrebbero andare a finire in questa enorme
discarica di rifiuti elettronici, la più grande del mondo.
Qui, decine di migliaia di persone sopravvivono guadagnandosi la giornata
bruciando ogni tipo di spazzatura elettronica. Ragazzi, persino bambini si
aggirano tra fumi tossici, immondizia e baracche improvvisate.
Fra quell'enorme distesa di rifiuti di provenienza occidentale ci si imbatte
in cellulari, condizionatori, trattori, lettori mp3, macchine rottamate,
monitor, schermi, ogni genere di oggetto dal quale si possano estrarre ferro, rame, alluminio e altri metalli di
valore.
Il Ghana da solo importa oltre 40mila tonnellate di
“e-waste” (spazzatura elettronica) e Agbogbloshie negli ultimi
venti anni è diventato il più grande sito di riciclo informale del mondo, la
discarica a cielo aperto dei prodotti elettrici di fabbricazione occidentale.
Questo ammasso di spazzatura attrae migranti dal Nord del Ghana e da paesi vicini che poi finiscono per vivere, dormire, coltivare e allevare bestiame attorno all'inesauribile fonte di attività.
Questo ammasso di spazzatura attrae migranti dal Nord del Ghana e da paesi vicini che poi finiscono per vivere, dormire, coltivare e allevare bestiame attorno all'inesauribile fonte di attività.
Come racconta Mamadou Malick, un amico ghanese in Italia da diversi
anni, “Li puoi vedere tutti i giorni, vagare per ore e ore su quella
maleodorante poltiglia nera che infetta la terra, in condizioni igienico
sanitarie terribili, respirano quei fumi, toccano a mani nude quei rifiuti che
spesso sversano liquidi tossici, se arrivano a 40 anni senza morire prima è un
vero miracolo”.
“Scrap dealers” sono chiamate così le migliaia di persone che lavorano nella
discarica ma che preferiscono non chiamarla in questo modo. Per loro
Agbogbloshie è un posto di lavoro dove poter guadagnare 2 forse 3
dollari al giorno.
Queste persone rappresentano l’ultimo anello della catena del libero
mercato e del sistema di produzione industriale occidentale.
IL PRIMO ANELLO DELLA CATENA
Ma l’Africa è al tempo stesso anche il primo anello della catena di questo sistema produttivo dato che rappresenta uno dei più grandi giacimenti di
risorse naturali del mondo. Nigeria, Angola, Algeria e Libia producono una buona
parte di tutto il petrolio greggio del mondo. Il Congo, la Sierra Leone hanno
le maggiori risorse di tutto il mondo d’oro e diamanti, cromo, coltan, bauxite,
manganese, il mercato delle terre rare fondamentali per l’elettronica. In
Namibia e in Mali c’è l’uranio. In tanti paesi africani si esporta buona parte
di tutto il legname che l'Europa utilizza, stesso discorso per il cacao, il
caffè, e molti altri prodotti dell’agricoltura. Con tutto ciò 18 dei 20 paesi
più poveri del mondo sono africani. Un continente con un’area tre volte
quella dell’Europa ma con il PIL della metà.
I Paesi industrializzati per oltre 300 anni in hanno praticato
il colonialismo.
In questo preciso periodo storico in Africa ci sono tutte le potenze
mondiali, sia con i rappresentanti ufficiali dei loro governi, sia con le loro
multinazionali, spesso anche con le loro armi e i loro eserciti, ufficiali o
per procura, poco cambia perché è
attraverso il controllo militare, oppure tramite la corruzione, il
finanziamento e l’appoggio a dittatori sanguinari, oppure ancora attraverso bande paramilitari di mercenari che si diffondono la paura e le
forme di controllo nei paesi africani, arrivando anche a imporre a molti
paesi, il cambio con monete che debbono passare per forza dalle nostre banche in
Europa, vedi franco CFA.
Di fatto da tanto tempo, prima con il colonialismo, adesso con il controllo coatto dell’economia e delle risorse, s’impedisce lo sviluppo di questo enorme continente.
Di fatto da tanto tempo, prima con il colonialismo, adesso con il controllo coatto dell’economia e delle risorse, s’impedisce lo sviluppo di questo enorme continente.
Come spiega l’attivista e poeta maliano Soumaila Diawara la soluzione
per l’Africa e per gli africani non è “Aiutiamoli a casa
loro, bensì: Lasciate casa nostra”, espressione parafrasata poi dal
calciatore Mario Balotelli che di recente ha giustamente dichiarato “lasciate
l’Africa agli africani”
Presenza potenze occidentali europee in
Africa durante il colonialismo
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DA OLTRE TRENT’ANNI UN TRAFFICO CHE NON ACCENNA A DIMINUIRE
Lo scandalo scoppiò all'improvviso. Nel giugno del 1988 un
gruppo di studenti nigeriani residenti in Italia avvertì la stampa africana
riguardo l’esistenza di una grande quantità di rifiuti tossici inviati in
Nigeria e poi abbandonati non lontano dalla spiaggia. In una zona abitata
furono lasciati migliaia di fusti che sversavano senza nessuna sicurezza. Erano 18.000 per l’esattezza, i fusti zeppi di sostanze tossiche raccolti da un paio di note ditte di “smaltimento” italiane.
Negli stessi anni in cui lo slum di Agbogbloshie cominciava ad affollarsi,
la comunità internazionale metteva a punto la Convenzione di Basilea per
regolamentare il trasporto di rifiuti pericolosi tra Paesi sviluppati e Paesi
in via di sviluppo. La Convenzione arrivò nel 1989, (l’anno successivo alla
scoperta della discarica di rifiuti tossici provenienti dall'Italia a Koko in
Nigeria grazie ad un rapporto che fece l’associazione “Amici della Terra”), e venne ratificata
da 185 Paesi con l’eccezione degli Stati Uniti.
Oltre 30 anni eppure il traffico non ha mai accennato a diminuire, anzi,
si è intensificato, ha preso altre forme, si sono fatti tutti più accorti.
Così, da quando è sorta, l’immensa distesa di Agbogbloshie nel tempo è
diventata una delle principali destinazioni dei 50 milioni di tonnellate di
rifiuti elettronici che si stima siano stati prodotti a livello mondiale nel
2018. Una quantità di ferraglia che equivalente a 5mila Tour
Eiffel. Solo il 20% di questa produzione finisce per essere riciclata,
sebbene 2/3 della popolazione mondiale viva in Paesi con una legislazione che
prende in considerazione il problema.
Quaranta milioni di tonnellate di “e-waste” finiscono
invece nelle discariche o peggio ancora vengono bruciati, o trasportati in paesi dove le leggi sull'importazione e i controlli sulla
riutilizzabilità di materiali di seconda mano, non ci sono affatto, o comunque
sono del tutto inefficaci, come si può vedere dai continui casi di devastazioni ambientali.
Gli apparecchi elettronici pur essendo per necessità diventati fonte di
sostentamento per tanta povera gente, tuttavia, contengono materiali
altamente tossici. In molti casi anche per la legislazione occidentale rappresentano un problema per la classificazione stessa dei rifiuti. Ciò
a causa di come vengono prodotti: il ciclo produttivo occidentale non è circolare, non si basa su
un’idea virtuosa e intelligente dove la produzione a monte tenga conto nei suoi sistemi produttivi di criteri come ad esempio il poter riciclare facilmente le
materie e i componenti utilizzati. La produzione industriale occidentale non tiene conto di nessun criterio di riciclo e
di riuso, si basa solo sui vecchi concetti tanto cari
all'economia del libero mercato usa e getta: produci al costo minore
possibile, ottieni il maggior guadagno possibile, consuma tutto quel che puoi
consumare, non preoccuparti di chi lavora, e non pensare nemmeno alle possibili
conseguenze in un domani. Poco o niente importano criteri come la
durata di un prodotto, lo sfruttamento di persone che possa esserci dietro, il
riutilizzo o meno che se ne possa fare alla fine del ciclo, la facilità per
riciclare quel che si produce, il danno che possa arrecare un determinato
prodotto una volta gettato a fine utilizzo.
La legislazione italiana in materia di rifiuti è molto lacunosa, la legislazione europea non è tanto migliore. Di un qualsiasi tipo di rifiuto non si riesce a capire ad esempio come tracciarne la vita residua. Appena uscito dalle frontiere, nell’esatto momento in cui lo prende in carico una nave battente la bandiera di un altro paese, di fatto sparisce. Non possiamo sapere se finirà in mare, oppure in una immensa discarica a cielo aperto in Africa, oppure se verrà lasciato a sversare veleni sulla riva del delta di un fiume. Anche guardando soltanto a ciò, l'occidente ha un enorme debito nei confronti dell’Africa e della popolazione africana, a cui ha tolto risorse, ne ha inquinato i territori e infine ha pure tolto la forza lavoro di milioni di persone costrette a fuggire perché l’ambiente in cui vive è stato talmente avvelenato e impoverito da non offrire più forme di sostentamento.
E’ solo dal 2002 che la Convenzione di Basilea ha iniziato ad
occuparsi di rifiuti elettronici (in Italia adesso si designano con la sigla
Raee) il cui peso negli anni è incrementato esponenzialmente, ma una
regolamentazione precisa non mai stata del tutto definita. Computer,
frigoriferi, telefonini, stampanti, climatizzatori, schermi televisivi,
continuano così a girare per il mondo, eludendo in un modo o nell'altro le
regolamentazioni dei diversi Paesi.
Mappa della distribuzione della
produzione dei Rifiuti Elettronici nel mondo
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Istogramma Raee Elettronici, produzione milioni di tonnellate per anno |
I dati sui flussi verso questi Stati, quasi sempre africani o asiatici,
sono discordanti e di difficile interpretazione. Finora si stima che la
provenienza dell’85% di questi rifiuti provenga dall'occidente.
Sul fronte del traffico portuale europeo, a parte i grandi proclami, siamo
ancora di fronte alle politiche “Zero controlli”, mentre basterebbe
seguire la destinazione di uno dei tanti container di rifiuti per capire dove
finisca. E’ quello che di recente ha fatto l’associazione ambientalista Basel Action Network (BAN), che pochi mesi fa, ha nascosto 314 dispositivi GPS su materiali elettronici di
scarto in Europa, qui l’intero report mappando così diversi casi
in cui i rifiuti sono stati esportati da Regno Unito, Spagna, Italia, Irlanda, in
paesi dell’Africa ed dell’Asia dove non
c’è nessun controllo e dove da tale traffico guadagnano funzionari corrotti, e organizzazioni
criminali locali ed estere.
E’ interessante in particolar modo tracciare, anche se parzialmente, la
filiera dei rifiuti elettronici come ad esempio ha riportato in una ricerca
l’Università di Napoli Federico II: Il traffico transfrontaliero e lo smaltimento di rifiuti pericolosi alivello internazionale e comunitario”.
Consultandola si può comprendere come molti dei RAEE che partono dai porti europei e che arrivano in Africa, o nei paesi asiatici non
provengono dai punti di raccolta ufficiali o dalle discariche comunali, ma
molto più spesso da punti di raccolta informali o dalle strade, a volte addirittura vengono raccolti direttamente su
internet. Il materiale illegale poi viene solitamente stipato
dentro veicoli, ad esempio automobili usate, ed esportato tramite il veicolo
stesso per essere portato in Africa. Ciò, ovviamente con l’appoggio
di reti criminali e mafie locai le quali spesso si appoggiano su migranti africani
che vivono in Europa e avviano piccoli business familiari su questi traffici.
Carabinieri forestali durante il
sequestro di un container di Raee
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GLI ESCAMOTAGE LEGISLATVI CHE RENDONO LEGALE LO SMALTIMENTO DI RIFIUTI IN
AFRICA
Il ciclo produttivo va avanti grazie a una serie di escamotage
legislativi che rendono più o meno “legale” lo smaltimento di scarti e rifiuti. Se l'occidente dovesse smaltirli da solo sarebbe sommerso, letteralmente affogato dai suoi stessi rifiuti: altro
che terra dei fuochi, le terre italiane sarebbero già diventate tutte invivibili
e l'Italia sarebbe già arrivata al collasso ambientale.
Così l’Occidente e l’Europa vanno avanti con leggi sulla gestione
dei rifiuti che di fatto sono un escamotage affinché siano altri a dover pagare il
prezzo del loro stile di vita e della loro condotta scriteriata.
Il fine vita degli oggetti elettronici di uso quotidiano è un problema di scala
globale, reso sempre più urgente dalla crescente obsolescenza degli oggetti che
quotidianamente utilizziamo e dalle difficoltà, anche dei paesi più sviluppati,
di provvedere a un loro riciclo efficiente.
Uno dei problemi a monte è l’aspettativa di vita di questi prodotti che non è mai elevata, anzi è sempre più breve poiché all’interno
del loro ciclo produttivo per aumentarne il consumo da anni ormai è stato introdotto il sistema dell“obsolescenza programmata”, ovvero far
durare un qualsiasi oggetto il minimo indispensabile nel rispetto dei termini per la garanzia.
L’Unione Europea peraltro prova a confondere le acque e ad allargare le maglie
della definizione di esportazione per “riparazione”, con
l’obiettivo di escludere questa fattispecie dalla definizione di e-waste.
Il continente africano dal canto suo in questi ultimi anni ha deciso di
opporsi a questa politica e si è espresso unitariamente
in un’importante dichiarazione alla Conferenza di Bamako e nella produzione d’una serie
di documenti redatti durante tale conferenza, dove ci si
esprime contro l’importazione di rifiuti elettronici, affermando il principio
che, “qualsiasi cosa non funzionante va classificata come e-waste”.
Il ciclo dei rifiuti
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LA STORIA DELLE COSE
Per capire meglio quale sia la logica devastante del ciclo
produttivo occidentale esiste un video che gira già da diversi anni. Il video racconta la
storia di come vengono prodotte le varie cose che utilizziamo, è narrata in
forma di fumetto. Sarebbe utile e bello che gli insegnanti potessero farlo
vedere in tutte le scuole, così come anche noi, insieme ai nostri figli, in modo da renderci conto con più coscienza di come funzioni il ciclo
produttivo delle cose, dei danni che esso produce alle persone e all'ambiente, in particolare proprio in quelle zone da cui adesso provengono
migliaia di migranti in fuga e in cerca di sopravvivenza.
Un sistema produttivo, quello occidentale, che si ostina a non voler
considerare che la filiera di tutto quel che produce non si conclude nell'atto della vendita, bensì con la gestione corretta degli scarti e dei
rifiuti di fine ciclo che ne derivano.
PICCOLI PROGETTI IN CORSO
Qualcosa si muove nell'ottica di
trasferire alle persone che sopravvivono alle attività legate alla discarica almeno le conoscenze minime per poter gestire meglio il riciclo.
“Riusciamo a fare arrivare qua nel nostro centro il 30% dei ricavi che entrano ad Agbogbloshie. Dove siamo riusciti ad arrivare, insegniamo a estrarre i metalli in maniera rispettosa dell’ambiente e della salute delle persone che vivono ad Accra, spiega Bennett Samuel Akuffo, uno degli operatori dell’Agbogbloshie Technical Training Centre.
“Riusciamo a fare arrivare qua nel nostro centro il 30% dei ricavi che entrano ad Agbogbloshie. Dove siamo riusciti ad arrivare, insegniamo a estrarre i metalli in maniera rispettosa dell’ambiente e della salute delle persone che vivono ad Accra, spiega Bennett Samuel Akuffo, uno degli operatori dell’Agbogbloshie Technical Training Centre.
Gli Scrap dealers possono consegnare anche il materiale al nostro centro, –
continua Bennet Akuffo – dove viene processato in modo ecosostenibile, e dove vengono pagati per il valore dei metalli contenuti nel materiale portato.” Un
piccolo progetto interessante quest’ultimo che è stato finanziato dalla
Germania, ma è davvero troppo poco per porre un freno alla catastrofe ecologica
in atto nell’area.
Agbogbloshie: Technical Training Centre
– (Credit: Muntaka Chasant)
|
mg
Per approfondire il tema del Modo di Produzione Occidentale - M.P.O.- vedi l'articolo di Adriano Torricelli
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