In questo articolo da Huffpost il professor Francesco Chiodelli spiega perché la colonizzazione dei territori palestinesi occupati militarmente da parte di Israele sia determinante e suscettibile di mettere fine al progetto di pace di "due Stati".
"Giorni fa Mike Pompeo, Segretario di Stato USA, ha dichiarato che gli Stati Uniti non considerano
più le colonie israeliane in Cisgiordania illegittime, ossia contrarie al
diritto internazionale. La stampa italiana ha dedicato ben poca attenzione a
questa dichiarazione, considerandola probabilmente un fatto secondario. Non è
così, purtroppo.
Le colonie israeliane sono l’elemento centrale della
strategia israeliana in Cisgiordania – e, proprio per questo, sono uno dei
principali ostacoli a una soluzione condivisa del conflitto israelo-palestinese
– poiché estendono la presenza israeliana nei territori palestinesi ben oltre
quella, greve ma in qualche modo temporanea e removibile, dell’esercito.
Le colonie rendono infatti permanente e, al contempo,
ordinaria, l’occupazione. O meglio, aggiungono all’occupazione (militare) una
vera e propria colonizzazione (civile), materializzandola in case, strade,
scuole, negozi, parchi, ospedali, università.
Come ho spiegato qui su HuffPost, oggi esistono circa 250 colonie
in Cisgiordania, per lo più di carattere residenziale, che ospitano circa
400.000 israeliani (a cui si aggiungono circa 200.000 israeliani che vivono a
Gerusalemme Est) – molti dei quali sono nazionalisti o religiosi iper-radicali,
che scelgono di vivere nelle colonie per una questione ideologica, ossia per
rivendicare la sovranità israeliana sui territori palestinesi.
L’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite, così come la Corte di Giustizia Internazionale, hanno più volte
sottolineato che la costruzione delle colonie – spesso direttamente promossa,
avallata o legittimata dallo Stato di Israele – viola la Quarta Convenzione di
Ginevra, che impedisce lo spostamento di popolazione civile nei territori occupati
(atto giudicato “crimine di guerra” dalla Corte Penale Internazionale). Gli
Stati Uniti sono stati per decenni allineati a tale interpretazione, fino, per
l’appunto, all’altro giorno.
Questo cambiamento di linea non deve essere visto come
un atto estemporaneo. Si colloca all’interno di una precisa strategia,
cominciata con lo spostamento, l’anno scorso, dell’ambasciata
americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Tale spostamento aveva rotto il primo dei
due tabù internazionali rispetto al conflitto israelo-palestinese: il
riconoscimento della sovranità israeliana su Gerusalemme “unificata”.
L’altro giorno si è rotto il secondo di questi tabù:
la legittimazione del processo di colonizzazione israeliana della Cisgiordania.
E la sensazione è che questa seconda decisione possa avere conseguenze ancor
più profonde e devastanti della prima.
La prima decisione, infatti, per quanto politicamente
grave, rappresenta in qualche modo il riconoscimento di un dato di fatto, di un risultato già ottenuto da
parte dello Stato ebraico, ossia il controllo dell’intera Gerusalemme.
La seconda decisione, invece, rischia di essere un
incentivo a perseguire un obiettivo a oggi non ancora raggiunto, e ancor più
contestato e controverso del controllo israeliano su Gerusalemme: l’annessione
israeliana di una parte rilevante dei territori palestinesi.
Non pare un caso che durante la recente campagna
elettorale Benjamin Netanyahu abbia affermato che, in caso di riconferma nel
ruolo di primo ministro, avrebbe annesso a Israele più del 20% della
Cisgiordania, ossia la Valle del Giordano e le colonie israeliane. Questa
affermazione era parsa inizialmente una boutade elettorale, la
mossa sapiente di un politico esperto in un momento di difficoltà (anche per
questioni giudiziarie).
Alla luce della dichiarazione di Mike Pompeo, quanto
declamato da Netanyahu appare in tutta evidenza essere un vero e proprio
progetto che potrebbe concretizzarsi a breve. Dopo essere passati
dall’occupazione (militare) alla colonizzazione (civile), ora il cerchio è
pronto per chiudersi con l’annessione – il tutto anche grazie all’avallo
esplicito degli Stati Uniti e l’inazione del resto della comunità
internazionale."
Fonte: Huffpost
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