La politica statunitense è decisiva per le sorti della
Palestina, del progetto di due Stati e in conclusione per la pace.
L’amministrazione Obama aveva contribuito a creare un
clima di relativa convivenza sostenendo le ragioni del diritto internazionale.
Ricordiamo infatti che in occasione della Risoluzione n. 2334 del
23 Dicembre 2016 con cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riaffermò
lo status di territori occupati per Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e
dichiarò illegali le colonie israeliane qui insediate, l’amministrazione
Obama allora in carica per la prima volta non esercitò il proprio diritto di
veto! Dal 20 gennaio 2017, giorno dell’inaugurazione della presidenza
statunitense di Donald Trump, il governo israeliano, grazie al decisivo
appoggio di quest’ultimo, ha invece incrementato in modo decisivo la politica
degli insediamenti in territorio palestinese aumentando in tal modo le tensioni
con lo Stato di Palestina.
Va infatti sottolineato che le
colonie israeliane sono l’elemento centrale della strategia israeliana in
Cisgiordania – e, proprio per questo, sono uno dei principali ostacoli a una
soluzione condivisa del conflitto israelo-palestinese – poiché estendono la
presenza israeliana nei territori palestinesi ben oltre quella, greve ma in
qualche modo temporanea e removibile, dell’esercito.
Il 18 novembre scorso il segretario di stato
statunitense Mike
Pompeo ha dichiarato che gli insediamenti
israeliani in Cisgiordania non violano il diritto internazionale!
Di contrario avviso è invece la Procuratrice capo della Corte
Penale Internazionale che la settimana scorsa ha aperto un'inchiesta per crimini di guerra e si è detta “convinta che vi sia una base ragionevole
per avviare un’indagine sulla situazione in Palestina”.
Dov Waxman, professore di studi israeliani e autore di
un nuovo manuale sul conflitto palestinese, traccia la storia degli
insediamenti e spiega perché sono così controversi. Riportiamo il suo articolo
pubblicato su The Conversation, (Regno Unito), nella traduzione di Andrea
Sparacino pubblicata da Internazionale.
“Quattro domande sugli insediamenti israeliani in
Cisgiordania
1- Perché il possesso
dei territori in Cisgiordania è così contestato?
Nel maggio 1967 in Cisgiordania, una regione collinare
poco più grande della Liguria, non ci viveva un singolo israeliano. All'epoca la Cisgiordania era abitata da circa un milione di palestinesi, sottoposti da
due secoli al controllo (sgradito) della Giordania.
Israele ha conquistato la Cisgiordania durante la
guerra dei sei giorni del giugno 1967. Da quel momento i civili israeliani
hanno cominciato a trasferirsi nella regione, inizialmente in aree (per esempio
Kfar Etzion) popolate da comunità ebraiche prima della fondazione dello stato
ebraico nel 1948.
Nel 1968 un rabbino di nome Moshe Levinger, insieme a
un piccolo gruppo di seguaci che sostenevano una versione messianica del
sionismo religioso, si trasferì nell’antica città di Hebron, nel cuore della
Cisgiordania. Hebron è una città sacra per gli ebrei, ritenuta luogo di
sepoltura dei patriarchi e delle matriarche come Abramo, Isacco, Giacobbe,
Sara, Rebecca e Lea.
Nel corso degli anni la popolazione ebraica in
Cisgiordania è cresciuta in maniera esponenziale. Oggi circa 430mila ebrei
vivono in 132 insediamenti riconosciuti ufficialmente (qui
una mappa aggiornata realizzata dalla Bbc) e in
121 avamposti non ufficiali che hanno richiesto l’approvazione del governo di
Israele, senza averla ancora ottenuta. I coloni, che rappresentano circa il 15
per cento della popolazione totale della Cisgiordania, vivono in comunità
separate dai circa tre milioni di palestinesi che risiedono nella zona.
2- Perché i palestinesi
si oppongono agli insediamenti israeliani?
Anche se ebrei e palestinesi sono vicini e spesso
colleghi di lavoro, è raro che i rapporti siano amichevoli. I palestinesi della
Cisgiordania, in maggioranza musulmani, si considerano gli abitanti indigeni
della zona, anche perché i loro antenati hanno vissuto e coltivato la
Cisgiordania per secoli.
I palestinesi ritengono che gli insediamenti in
Cisgiordania siano costruiti su terreni rubati e che l’uso dell’acqua (una
risorsa preziosa) da parte dei coloni sia altrettanto
illegale.
Spesso i palestinesi subiscono le persecuzioni dei
coloni più estremisti, senza che i soldati israeliani intervengano per evitare
i crimini. I resoconti di aggressioni violente contro i palestinesi compiute da
coloni armati, che spesso bruciano i campi e sradicano gli ulivi, si
contano a centinaia.
Inoltre lo stato ebraico si è impossessato di alcune
aree della Cisgiordania per costruire una rete stradale che collega gli
insediamenti tra loro e con Israele. Queste strade sono generalmente vietate
agli autisti palestinesi e di conseguenza ne limitano la libertà di movimento,
rendendo gli spostamenti all'interno della Cisgiordania più difficili e lenti.
I checkpoint dell’esercito che costellano la
Cisgiordania, concepiti per proteggere
gli israeliani dagli attentati, limitano e
complicano la mobilità dei palestinesi.
3- Perché gli israeliani
vogliono vivere in Cisgiordania?
Lo stereotipo del colono ebreo come fanatico
religioso, deciso a riconquistare l’antica patria che secondo l’ebraismo
sarebbe stata affidata da Dio al popolo eletto, non è accurato. Secondo
le stime appena un quarto dei coloni vive in Cisgiordania
per motivi religiosi.
Gli estremisti religiosi rappresentano una minoranza
molto rumorosa e visibile, e generalmente vivono in piccoli insediamenti
nell'entroterra della Cisgiordania. Questi coloni considerano la loro presenza
come uno strumento per garantire un controllo permanente degli ebrei sul
territorio, che indicano con i nomi biblici di “Giudea” e “Samaria”. Vivendo in
Cisgiordania, ritengono di rispettare il volere di Dio e favorire l’attesa
venuta del Messia.
Tuttavia la maggior parte dei coloni ebrei della
Cisgiordania vive in quei territori per ragioni economiche. Gli
incentivi e gli investimenti del governo israeliano per
spingere gli ebrei a trasferirsi in Cisgiordania rendono il costo della vita
nettamente inferiore rispetto a quello che si registra all’interno di Israele.
Molti ebrei della Cisgiordania sono laici, soprattutto
quelli che si sono trasferiti dai paesi dell’ex Unione Sovietica all'inizio
degli anni novanta.
Altri, come gli ebrei ultra ortodossi (in aumento),
sono effettivamente convinti che Dio abbia regalato la Cisgiordania a Israele,
ma si sono trasferiti soprattutto perché attratti dagli alloggi economici e
dalla migliore qualità della vita.
4- Gli insediamenti israeliani sono legali o illegali?
La maggior parte degli esperti e le
Nazioni Unite ritengono che gli insediamenti israeliani in
Cisgiordania siano una violazione
del diritto internazionale.
La convenzione di Ginevra del 1949, firmata da
Israele, proibisce a uno stato occupante di trasferire civili nei territori
occupati. Secondo la Corte internazionale di giustizia, principale istituzione
giuridica delle Nazioni Unite, la Cisgiordania è da considerare un territorio
occupato, in quanto non faceva parte di Israele prima che l’esercito la
conquistasse nel 1967. Anche le acquisizioni territoriali sono proibite dal
diritto internazionale.
Il governo israeliano sostiene che la convenzione di
Ginevra non si applichi alla Cisgiordania, perché fa riferimento unicamente
alla possibilità che uno stato occupi il territorio di un altro stato. Israele
considera la Cisgiordania un “territorio conteso”, non occupato. Inoltre, secondo il governo israeliano, se anche la
convenzione di Ginevra fosse applicata, vieterebbe solo i trasferimenti coatti
di civili, come le deportazioni operate dalla Germania nazista, e non il
movimento volontario delle persone verso i territori occupati.
La nuova posizione dell’amministrazione Trump secondo
cui gli insediamenti israeliani non sono illegali rafforza le tesi di Israele
sulla Cisgiordania. Ma è molto difficile che possa legittimare gli insediamenti
israeliani agli occhi della comunità internazionale”.
Sulla questione palestinese vedi anche, nel
nostro blog:
mg
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