Presidente e co-fondatrice del GIERFI -Group international d’études et de réflexion
sur femmes et Islam- coordinatrice del gruppo internazionale di ricerca
sulla donna musulmana e il dialogo interculturale.
1- DONNE MUSULMANE E STEREOTIPI OCCIDENTALI
REALTA’ O PREGIUDIZI?
(Traduzione a cura di Casa Africa)
Introduzione
Le
due cose (realtà e pregiudizi) coesistono e l’una alimenta l’altra in un mondo
che sembra ogni giorno di più barricarsi dietro identità irrigidite e nel
rifiuto dell’altro. Ma che cosa è uno stereotipo se non un’opinione
preconcetta, ripetitiva, accettata senza riflessione né critica profonda e che
è talvolta, anzi spesso, imposta da un comportamento, un vissuto o una
esperienza personale, poi generalizzati? Ci sono dunque degli stereotipi
generati da una visione occidentale sui musulmani, così come esistono degli
stereotipi generati da una visione orientale (musulmana) sugli occidentali. E
al di la di certe realtà specifiche per gli uni come per gli altri, le due
visioni si autoalimentano all’interno di un mondo sempre più segnato
dall’egoismo, dalla paura dell’altro e che educa all’ignoranza.
Bisogna
precisare subito, prima di entrare nel vivo dell’argomento, che il nostro
grande problema oggi è che ciascuno giudica l’altro partendo dal suo punto di
vista e dal suo particolarismo. Mentre la soluzione sarebbe piuttosto quella,
come già aveva preannunciato Ibd Rochd (Averroès) (pensatore musulmano e
occidentale) già nel XII secolo, di comprendere l’altro nel proprio sistema di
riferimento. E’ purtroppo quello di cui sentiamo crudelmente la mancanza
all’interno del mondo d’oggi, dove, malgrado gli incredibili mezzi di
comunicazione che ci offre la tecnologia moderna, siamo incapaci di capirci se
non attraverso il giudizio e il rifiuto delle nostre rispettive differenze.
Gli
stereotipi occidentali
I
principali stereotipi occidentali si riassumono nella visione essenzialista in
cui le donne musulmane –quale che sia la loro storia, la loro situazione
sociale, geografica o economica- sono al centro dell’incompatibilità tra due
blocchi immaginari: islam e occidente. L’islam -peraltro ci si può domandare di
quale islam si tratti: religione, storia, civiltà, cultura?-, questo blocco
omogeneo, sembra essere da molto tempo refrattario a tutti i corollari della
Civiltà: modernità, diritti umani, democrazia, laicità, etc…Tra i clichés più in voga troviamo: oppressione, velo, burka, lapidazione,
sharia, poligamia. Ecco le parole chiave universali che attraverso
un’accanita mediatizzazione hanno finito per inserire, una volta per tutte, le
donne musulmane nello schema fisso de «la
donna musulmana» ineluttabilmente vittima dell’islam.
L’islam
è stato sempre considerato, secondo questa visione stereotipata, come una
religione antistorica e dunque ai margini di una storia occidentale, la sola
detentrice di una visione universalista (è ciò che ha spiegato molto bene E.
Said nella sua analisi sull’orientalismo, o come l’Oriente è stato creato e
costruito dall’Occidente).
Si
assiste quindi ad una vera e propria costruzione ideologica del soggetto “donna
musulmana” e da lì un supersfruttamento di questa tematica dove le donne
appartenenti a questa cultura vengono descritte come recluse in un universo di
«non diritti» e parte di un universo differente, altro e assolutamente estraneo
alla cultura universale. Cosa che ha come obiettivo, alla fin fine, di definire
l’identità femminile islamica proprio come modello in negativo rispetto alla
modernità, alla libertà e alla civiltà.
La
terrificante «macchina mediatica», che è la fonte primaria degli stereotipi, ha
costruito delle norme ormai internazionali di un tipico profilo della donna
musulmana ridotta alla sua simbologia più arcaica, quella di una rappresentazione
unica, antistorica, pallido remake della
classica visione orientalista.
Di
fatto la «ultra mediatizzazione» internazionale e il discorso ricorrente
riguardo la tematica “donne musulmane vittime dell’islam» con il loro status
giuridico precario, con la loro ritardata emancipazione, la loro messa sotto
tutela culturale, i loro burka e veli di ogni tipo, ha finito per instaurare
nell’immaginario collettivo contemporaneo un’immagine indelebile, quella di
donne perennemente sottomesse e fatalmente alienate. Immagine che mantiene
sornionamente l’idea che la disuguaglianza dei sessi è, in fondo, strutturale
alla sola simbologia islamica di cui, d’altronde, la stessa qualificazione di islamica dispensa da
qualunque analisi o riflessione profonda. C’è quindi un accanimento drammatico
a voler fare delle donne musulmane, «tutte le donne musulmane», le principali
vittime di un islam necessariamente tirannico, discriminatorio, di sapore
barbarico, che soltanto le vie di una emancipazione occidentale idealizzata e universalizzata
a oltranza sono in grado di liberare.
La
necessità di questa parola d’ordine «liberiamo le donne musulmane», indotta da
un etnocentrismo intellettuale ormai evidente, ha finito per relativizzare, se
non addirittura per assolvere, le altre culture e società, in particolare quelle
occidentali, da ogni accusa di discriminazione nei confronti delle loro donne
che sarebbero, loro sì, «naturalmente liberate»
in quanto si suppone che abbiano acquisito tutti i loro diritti.
Questo
«diritto di ingerenza» intellettuale profondamente ancorato in una certa
ideologia occidentale fa sempre parte dei requisiti previ di un discorso
politicamente corretto. «Liberare le
povere donne musulmane vittime dell’islam» è così una formula politica che
si vende sempre molto bene e che testimonia, per quanto possibile, una indubbia
appartenenza al mondo «civilizzato».
Il
meta-discorso attuale sulla donna musulmana, velata, reclusa, oppressa in fondo
è soltanto un’eterna riproposizione della visione orientalista e colonialista,
sempre in voga nelle contemporanee rappresentazioni postcoloniali, che certe femministe europee hanno a giusto
titolo indicato come l’intreccio di sessismo e razzismo…Questo discorso
paternalista e perennemente accusatore serve soprattutto da alibi a tutte le
tendenze politiche di dominazione culturale e supporta l’analisi binaria che
oppone, come se fosse la cosa più normale, due modelli antinomici: il modello
universale della donna occidentale liberata e il particolarismo della donna
musulmana oppressa e quindi da liberare. Peraltro questa ossessione di liberare
la donna musulmane ha anche servito da pretesto politico per legittimare
imprese coloniali come la guerra in Afghanistan dove l’esercito americano ha
cercato di liberare le povere afgane dal loro orribile burka…
Può
essere utile ricordare qui due fatti evidenti.
*
Il primo riguarda l’estrema varietà di donna musulmana. Ci sono tante società
musulmane diverse quanti modelli di donna musulmana che dall’Indonesia al
Marocco, passando per l’Arabia Saudita o l’Europa Centrale e l’Africa
Sub-Sahariana, sono, non foss’altro che dal punto di vista geografico,
rappresentativi di una importante eterogeneità socio-culturale. Questa
pluralità esistente è in flagrante contraddizione con l’immagine monolitica e
uniformizzante de LA donna musulmana, proposta dagli stereotipi occidentali e che tende a ridurre
sistematicamente tutte le donne musulmane ad un’unica sola dimensione
culturale.
*
Il secondo fatto da ricordare e di cui ci si dimentica troppo spesso è
l’universalità della cultura discriminatoria nei confronti delle donne. La
disuguaglianza dei diritti tra donne e uomini è stata la regola per millenni e
nonostante conquiste incontestabili la situazione subalterna delle donne è un
fenomeno che attraversa, beninteso in gradi diversi, tutte le culture e tutte
le civiltà. Oggi l’ intreccio di patriarcato e ultraliberalismo hanno prodotto
nuove forme «moderne» di sfruttamento e di soggezione delle donne e queste
ultime, al sud come al nord, si ritrovano nelle stesse condizioni di precarietà
globalizzata. L’uguaglianza, principio fondante dei sistemi democratici
universalisti, resta una delle promesse maggiormente mancate della modernità ed
è quindi evidente che la lotta per il riconoscimento e l’istituzionalizzazione
dei diritti di uguaglianza tra uomini e donne è una battaglia ancora incompiuta
nel mondo attuale[1].
E’
importante a questo punto precisare che non si tratta di rifiutare un dibattito
su questo tema. La cosa da rifiutare non è tanto la critica dell’ingiustizia di
cui sono vittime le donne in terra d’islam e nell’ideologia tradizionalista
corrente (e che, diciamolo pure, è purtroppo una realtà), ma la centralità, la
logica di «due pesi e due misure» e la manipolazione ingiustificabile che subisce
la questione delle donne musulmane nell’agenda politica di certi governi
occidentali e nella visione paternalista di certe femministe occidentali.
(Vengono
veicolati dei clichès ricorrenti che
hanno fatto il giro del mondo sulla donna afgana tanto da essere utilizzati per
giustificare l’invasione militare e politica di questo paese. Quanto alla
ideologia sessista dell’alleato saudita che inonda, grazie ai petrodollari, la
produzione letteraria islamica fin dentro le società occidentali essa viene tollerata
visti gli innumerevoli interessi in gioco. Silenzio sulle ruberie di Ben Alì in
nome di una liberazione delle donne, alibi di certi dispotismi arabi!).
Peraltro
lungi da noi l’idea di demonizzare l’occidente e considerarlo responsabile di
tutti i nostri mali e lungi l’idea di rafforzare una vittimizzazione sottesa a
un certo discorso islamico ottenebrato anch’esso dall’idea un eterno complotto
immaginario verso l’islam. Discorso questo che peraltro veicola lo stesso tipo
di stereotipi: la visione dell’occidente considerato come un blocco omogeneo di
un sistema amorale che ha perduto i suoi valori. Si tratta piuttosto di
denunciare la strumentalizzazione politica di alcune problematiche come, tra le
altre, quella relativa alle donne musulmane e di denunciare ciò che una certa
visione occidentale ne vuole fare estremizzandola. Questo, senza dimenticare
che ciò è il risultato di una certa realtà concreta garantita da un sistema
religioso che nei paesi di maggioranza islamica strumentalizza anch’esso la
questione delle donne musulmane.
Donne
musulmane: quale realtà?
Credo
che sia necessario ammettere che tra tutte le critiche fatte all’islam e ai
musulmani quelle sullo status delle donne restano in fondo relativamente giuste
nonostante l’insopportabile strumentalizzazione politica e mediatica
internazionale.
Bisogna
dirlo chiaramente: malgrado le diverse situazioni in cui vivono le donne
musulmane nel mondo è evidente che la loro situazione resta segnata dalla
visione egemone di una ideologia islamica ufficiale tradizionalista e rigorista
che è diventata più marcata a partire dal riflusso religioso degli anni ’80.
Esiste
nelle varie società islamiche una sorta di compromesso generale riguardo a
questa questione intorno alla quale ci
sono raggiunti taciti consensi alle spalle delle donne e della loro
emancipazione. Dall’islam ufficiale degli stati ai movimenti islamici di
opposizione, passando per gli alti consigli degli Ulema o per la cultura
popolare, è sempre di una stessa visione tradizionalista misogina e chiaramente
discriminatoria che si tratta.
«
L’islam onora la donna, le ha concesso
tutti i diritti, l’ha protetta…» ecco la sostanza del discorso detto e ripetuto
da molti musulmani, molto spesso sinceri dal momento che riflette in fondo la
veridicità del messaggio spirituale, ma che resta assolutamente insufficiente e
infruttuoso sul piano argomentativo. Un discorso sulla difensiva che perde via
via vigore mentre si affanna a smentire delle accuse purtroppo confermate dalla
constatazione tagliente della realtà delle società islamiche. C’è in effetti un
palese contrasto tra quel discorso che si dice e si vuole rispettoso dei valori
islamici e la realtà di un vissuto in cui si giustificano le peggiori forme di
discriminazione nei confronti delle donne.
Di
fatto, anche se la situazione delle donne musulmane ha conosciuto in questi
ultimi decenni un concreto miglioramento e cambia in modo ragguardevole da un
paese all’altro (codice moudawwana in
Marocco e Code de Statut Personnel in
Tunisia) a seconda del livello socio-culturale ciò non toglie che lo status
giuridico delle donne musulmane resta di gran lunga tra i più precari del
mondo.
Bisognerebbe
riconoscere che gli schemi educativi tradizionali, le disposizioni
discriminatorie del diritto di famiglia e il codice de statut personnel perpetuano, a seconda dei paesi e in grado
variabile, in modo eclatante le disuguaglianze e la subordinazione delle donne
e ciò nella grande maggioranza dei paesi islamici. Dall’analfabetismo (i tassi
nei paesi arabi sono i più alti del mondo: 40% di analfabeti -65milioni, di cui
le donne rappresentano i due terzi) allo stato giuridico di minore a vita,
all’assenza di autonomia, agli ostacoli patenti alla partecipazione politica
(5% di donne parlamentari), passando per i matrimoni forzati e i crimini
d’onore in certe regioni, tutti questi abusi restano purtroppo la quotidianità
di un gran numero di musulmane e sono nella maggior parte dei casi garantite da
una certa lettura del religioso.
Il
discorso islamico attuale sulle donne si riduce ad una visione semplicistica e
normativa incentrata essenzialmente su «le derive tentatrici del corpo delle
donne», o «Fitna», e presenta come unica alternativa l’invisibilità fisica e
sociale delle donne come sfogo di tutte le frustrazioni culturali.
Questo
discorso tradizionalista è quindi sfasato in rapporto alla realtà sociale
musulmana che evolve e si trasforma in modo lampante agli occhi di alcuni dotti
musulmani che, sbalorditi da questa evoluzione, si ostinano a cercare delle
soluzioni datate tra le riflessioni dei loro predecessori di vari secoli fa.
Questo
rifiuto di appoggiare qualunque tentativo di riforma, in particolare relativa
alla condizione della donna, è molto rivelatore della crisi identitaria che
vive il mondo musulmano. Infatti le donne musulmane sembrano rappresentare
l’ultimo baluardo da difendere da parte di società minacciate da altre
situazioni di precarietà politica ed economica, le quali, in mancanza di
meglio, si attaccano per quanto è possibile a valori morali molto primitivi.
Così le donne sono condannate ad essere le guardiane di questa morale e per
estensione della religione stessa.
I
musulmani, da parte loro, di fronte a questa ostilità crescente per la loro
religione e alla valanga di accuse contro di loro si barricano dietro un
discorso non meno caricaturale in quanto essenzialmente alimentato da reazioni
impulsive e ripiegamenti giustificatori. Soggetto ad una congiuntura
internazionale e a delle condizioni politiche percepite come umilianti, il
mondo islamico, già indebolito da una tradizionale chiusura, dalla povertà, dal
sottosviluppo e dal dispotismo dei suoi regimi, percepisce questo genere di
critiche e in modo particolare quelle relative alle donne come un segno di
ingerenza culturale totalmente inopportuna e insopportabile.
Il
discorso di liberazione portato avanti dall’occidente non può essere credibile da
un certo punto di vista islamico perché, oltre ad essere screditato da
politiche internazionali fondamentalmente ingiuste nei confronti di un gran
numero di paesi musulmani, va a toccare uno degli ultimi baluardi dell’identità
musulmana, cioè la donna. In effetti la donna sembra rappresentare per questo
mondo islamico dall’identità ferita, l’ultimo baluardo da difendere…La donna
musulmana ormai rappresenta la vittima ideale di questa costruzione ideologica
speculare e si vede costretta ad incarnare, data la sua posizione di guardiana
della morale, il contro modello rispetto a quello veicolato dall’occidente
considerato privo di valori.
Va
sottolineato poi che, malgrado l’avvento delle rivoluzioni arabe e del vento di
liberazione che ha soffiato nelle piazze, le vittorie contro i regimi dispotici
hanno lasciato il posto ad una grande confusione nello spazio politico in cui le
donne, nonostante il ruolo chiave che hanno avuto nelle varie rivoluzioni, sono
ancora una volta emarginate dall’azione politica in nome di una certa lettura
del religioso (Egitto, Libia, Yemen…e in grado minore la Tunisia che sembra
differenziarsi…il Marocco, dove le forti manifestazioni, anche senza
rivoluzione, hanno portato al cambiamento della Costituzione, ma dove tuttavia
il nuovo governo ostenta un arretramento riguardo la rappresentanza femminile).
Analisi e
conclusioni
Come
abbiamo detto all’inizio la realtà e i pregiudizi convivono all’interno di
questa tematica così complessa.
La
realtà in cui vivono le donne musulmane è molto complessa e non risponde a
questa visione essenzialista che viene riprodotta a livello internazionale e
che dipinge le donne musulmane come sottomesse e alienate.
Le
donne musulmane rappresentano infatti una diversità e una pluralità di vissuti,
di storie, di sofferenze e di lotte, ma anche di successi e di imprese
quotidiane…
Allora,
è il religioso e quindi l’islam, che appaiono così presenti in queste società,
ad essere all’origine di questa cultura discriminatoria oppure sono le
innumerevoli interpretazioni che ne sono derivate e che hanno fatto di questa
religione un potente strumento del patriarcato?
A
questo punto io credo che bisognerebbe fare una riflessione e rifiutare
l’affermazione secondo cui la discriminazione e la svalutazione delle donne
sarebbero intrinseci ai testi sacri dell’islam. Nessuno può contestare la
deplorevole condizione delle donne così come è vissuta nelle società a
maggioranza islamica, ma sarebbe corretto distinguere tra il contenuto
spirituale del messaggio islamico e le sue diverse interpretazioni, così come bisognerebbe distinguere tra ciò che
deriva da una cultura sociale locale strutturalmente patriarcale e ciò che
dipende da precetti spirituali.
Bisognerebbe
far differenza tra le fonti originali
dove troviamo degli orientamenti davvero emancipatori e le interpretazioni
classiche che hanno svuotato il messaggio dal suo contenuto spirituale e
l’hanno fissato in compilazioni di contenuto strettamente giuridico. E’
importante saper riconoscere che non è il messaggio spirituale dell’islam ad
essere intrinsecamente incompatibile con i diritti della donna, bensì
l’interpretazione abusiva di leggi e testi centrali da parte delle autorità
patriarcali.
Per
non cadere in questa visione stereotipata si dovrebbe distinguere tra il
messaggio spirituale dell’islam e i vissuti, le tradizioni e i sistemi
religiosi che hanno sclerotizzato tutto il pensiero islamico.
Le
ragioni di questa blindatura sono complesse, ma quella predominante è la
strumentalizzazione politica del religioso in terra d’islam, e questo da
secoli. Il dramma del mondo musulmano
non è religioso, è essenzialmente politico.
E’
interessante constatare che la questione delle donne e quella del potere
politico in islam sono strettamente e curiosamente legate dal punto di vista
storico.
In
effetti le donne sono state –e lo sono tuttora- vittime di un doppio
dispotismo: il patriarcato e l’autocrazia. Sono questi due poteri assoluti che
le hanno imbavagliate per secoli e che hanno contribuito alla progressiva
regressione del loro status ratificato del resto dal declino della civiltà
islamica.
Se
a questo si aggiunge lo choc dell’incontro con la colonizzazione occidentale si
può facilmente capire l’ampiezza dei danni devastanti sullo status della donna
e le sue ripercussioni traumatiche ancora percepibili ai nostri giorni. Per
proteggersi contro il mondo colonizzatore il mondo musulmano ha in prima battuta
sequestrato la donna per paura che si identificasse col modello di
emancipazione occidentale e che ne trasmettesse i valori giudicati come
necessariamente anti islamici…
L’epoca
dell’indipendenza non è stata peraltro proficua né per le donne né per gli
uomini musulmani dal momento che un buon numero di lemma come nazionalismo,
panarabismo, laicità, democrazia, sono rimaste parole vuote che hanno
legittimato le peggiori ruberie perpetrate da regimi corrotti con la
benedizione dei vecchi colonizzatori.
Conclusioni
In
questo modo le donne musulmane nelle loro più varie rappresentazioni restano
imprigionate tra due visioni conflittuali e perennemente contrapposte: un
approccio musulmano tradizionalista, rigido e anacronistico e un approccio
occidentale etnocentrico che veicola stereotipi e clichés semplicistici e sempre più islamofobi.
Tra
queste due visioni del mondo è soprattutto la parola delle donne musulmane ad
essere zittita…L’emancipazione delle donne musulmane non può diventare
effettiva senza una vera e propria presa di coscienza e di parola da parte di
loro stesse e non di altre che parlino al posto loro!
Le
donne musulmane devono quindi inventarsi un altro cammino fuori da questi
sentieri battuti in nome delle loro convinzioni spirituali nonché della loro
prospettiva di donne moderne. E’ quindi su un doppio registro, quello dei
diritti umani universali e quello di un religioso riconquistato, che il cammino
di una vera emancipazione delle donne musulmane può compiersi ed avere tutte le
chances di riuscire.
Vorrei
precisare che è in questa terza via che mi riconosco come donna impegnata nella
lotta per i diritti all’eguaglianza e alla dignità delle donne musulmane. Un
terza via che sa di doversi liberare sia dell’alienazione occidentale che dal tradizionalismo
religioso sclerotizzato.
Una
terza via che in nome di un riferimento e di radici spirituali, ma anche in
nome dei valori condivisi di uguaglianza, dignità e rispetto dei diritti
individuali, lotta contro gli estremismi di ogni tipo e rifiuta la svalutazione
giuridica, culturale e sociale delle donne.
Abbiamo
visto che con le rivoluzioni arabe le donne si sono ribellate alla lettura
culturale tradizionalista e ai dispotismi politici. E’ in questo senso che
bisognerebbe smontare questa doppia componente: quella delle disuguaglianze
socio-politiche e quella delle discriminazioni sessiste tradizionali. Ed è
lavorando su questi due fronti, democrazia
e riformismo religioso, che le trasformazioni sociali possono
concretizzarsi davvero sul campo.
Ci
saranno sicuramente sempre enormi resistenze verso questo processo di
emancipazione, ma il meccanismo si è già messo in moto e niente e nessuno può
invertire il corso della storia quando il cambiamento è in atto. La storia del
mondo musulmano che è di nuovo in cammino non potrà più farsi ormai senza le
sue donne.
Femmes musulmanes
et stéréotypes occidentaux:
réalités ou préjugés ?
réalités ou préjugés ?
(Testo originale della relazione)
Introduction :
Les deux
coexistent et l’un alimente l’autre dans un monde qui semble jour après jour
s’enfermer un peu plus dans la crispation identitaire et le refus de l’autre .
Mais qu’est ce qu’un stéréotype sinon
une opinion préconçue répétitive, acceptée sans réflexion ni critique profonde
mais qui est parfois voire souvent imposée par un comportement, un vécu ou une
expérience personnelle, généralisée par la suite ?. Il existe donc des
stéréotypes générés par une vision occidentale sur les musulmans comme il
existe des stéréotypes générés par une vision orientale (musulmane) sur les
occidentaux. Et au delà de certaines réalités particulières aux uns comme aux
autres, les deux types de visions s’auto entretiennent au sein d’un monde de
plus en plus marquée par l'égoïsme, la
peur de l’autre et l’ignorance cultivée.
Il
faut préciser de prime abord, avant d’entrer
dans le vif du sujet, que notre grand
problème aujourd’hui c’est que chacun juge l’autre à partir de son propre point
de vue et de son particularisme. Alors que la solution serait plutôt comme
l’avait préconisé Ibn Rochd (Averroès) (penseur musulman et occidental) déjà au
12ème siècle, c’est de
comprendre l’autre dans son propre système de référence. C’est
malheureusement ce qui nous fait cruellement défaut au sein du monde
d’aujourd’hui où malgré les incroyables moyens de communication que nous offre
la technologie de la vie moderne, nous sommes incapables de nous comprendre
autrement que par le jugement et le rejet portés sur nos différences
respectives.
Les stéréotypes occidentaux :
Les
principaux stéréotypes occidentaux se résument à cette vision essentialiste où
toutes les femmes musulmanes - quelques soient leurs histoires, leurs
situations sociales, géographique ou économique - sont au cœur de l’incompatibilité entre deux blocs imaginaires : islam et
Occident. L’islam – d’ailleurs on peut
se demander de quel islam il s’agit : religion, histoire, civilisation,
culture ??- ce bloc homogène, semble être et depuis bien longtemps,
réfractaire à tous les corollaires
de la Civilisation : modernité,
droits humains, démocratie, laïcité, etc.… Parmi les clichés les plus en
vogue ; on retrouvera : Oppression,
voile, burqua, lapidation, charia, polygamie : ce sont là les mots
clés universels qui à travers une médiatisation acharnée ont finit par
catégoriser une fois pour toute, les femmes musulmanes dans cette grille
figée de : « la femme musulmane » victime inéluctable de l’islam.
L’islam a
toujours été considéré, selon cette vision stéréotypée, comme une religion anhistorique et donc en
marge d’une histoire occidentale, seule détentrice d’une vocation
universaliste…(C’est ce qu’a très bien expliqué E Said dans son analyse de
l’orientalisme ou comment l’Orient a été créé et construit par l’Occident…)
On
assiste donc à une véritable construction idéologique du sujet « femme
musulmane » et de là à une surexploitation de cette thématique où l’on
décrit les femmes appartenant cette
culture comme étant apparemment recluses
dans un univers de « non droits » et
faisant partie d’un univers
différent, autre et définitivement étranger à la culture universelle. Ce qui a pour but finalement d’ériger l’identité féminine islamique en véritable modèle « repoussoir » par
rapport à la modernité, la liberté et la civilisation.
La
terrifiante « machine médiatique » qui est la source la plus
importante de stéréotypes a édifié des normes, désormais internationales, d’un
profil type de la « femme musulmane » réduite à sa symbolique la plus
archaïque : celle d’une représentation unique, anhistorique, pâle
« remake » de la classique vision orientaliste.
En effet,
la « sur médiatisation » internationale et le discours récurent autour de la
thématique « femmes musulmanes victimes de l’islam »,
avec leur statut juridique précaire, leur émancipation retardée, leur mise sous
tutelle culturelle, leurs « Burquas » et « voiles » de tout
genre, a finit par instaurer dans l’imaginaire collectif contemporain une image
indélébile : celle de femmes
éternellement soumises et inéluctablement aliénées. Image, qui entretient,
sournoisement, l’idée que l’inégalité des sexes est finalement structurelle à
la seule symbolique islamique dont, d’ailleurs,
le seul qualificatif d’islamique
dispense de toute analyse ou réflexion profonde. Il y a donc un acharnement
dramatique à vouloir faire des femmes musulmanes - toutes les femmes musulmanes
- les principales victimes, d’un Islam forcément tyrannique, inégalitaire et
aux relents barbares que seules les voies d’une émancipation occidentale
idéalisée et universalisée à outrance, sont à même de libérer.
Cette
nécessité symbolique de « libération » des femmes musulmanes, induite
par un ethnocentrisme intellectuel qui n’en se cache plus a finit par
relativiser voir à absoudre les autres
cultures et sociétés, notamment occidentales, de toute accusation de discrimination envers leurs femmes qui seraient, elles, « naturellement libérées» et
supposées avoir acquis tous les droits.
Ce « droit
d’ingérence » intellectuel
profondément ancré dans une certaine idéologie occidentale fait donc
toujours partie des préalables requis du
discours politiquement correct. « Libérer
les pauvres femmes musulmanes victimes de l’islam » est une formule politique
qui se « vend » donc toujours
très bien et qui témoigne, tant que faire se peut, d’une indubitable
appartenance au monde de « civilisé ».
Le
métadiscours actuel sur la musulmane, voilée, recluse et opprimée, n’est
finalement qu’une reproduction perpétuelle de la vision orientaliste et
colonialiste, toujours en vogue dans les représentations contemporaines post
coloniales et que certaines féministes européennes ont désigné à juste titre
comme étant l’imbrication du sexisme et du racisme…Ce discours paternaliste et
éternellement accusateur sert surtout « d’alibi » à toutes les attitudes
politiques de domination culturelle et conforte l’analyse binaire qui oppose le
plus naturellement du monde deux modèles antinomiques : le modèle “universel”
de la femme occidentale « libérée » et le « particularisme » de la musulmane opprimée
et donc « à libérer ». D’ailleurs cette obsession de « libération » de la femme
musulmane a même servit de « prétexte » politique pour légitimer des
entreprises coloniales comme la guerre en Afghanistan où l’armée américaine a
tenté de libérer les pauvres afghanes de leur horrible burka …
- Or, il
serait peut être utile de rappeler ici, deux évidences.
*La
première concerne l’extrême diversité des femmes musulmanes. Il y a autant de
sociétés musulmanes différentes, que de modèles de femmes musulmanes, qui de
l’Indonésie au Maroc, en passant par l’Arabie saoudite ou l’Europe centrale et
l’Afrique subsaharienne, sont, ne serait ce que géographiquement parlant bien
représentantes d’une hétérogénéité socioculturelle importante. Cette pluralité
existante est en contradiction flagrante avec l’image monolithique et
uniformisante de « LA » femme musulmane, reproduite par les
stéréotypes occidentaux et qui tend à
réduire systématiquement toutes les
femmes musulmanes à une seule et unique
dimension culturelle.
*La
seconde évidence à rappeler et que l’on oublie trop souvent est celle de
« l’universalité » de la culture de discrimination envers les
femmes. L’inégalité des droits entre
femmes et hommes a été la règle pendant des millénaires et malgré des acquis incontestables, la situation
subalterne des femmes est un phénomène qui transcende, à des degrés variables
bien entendu, toutes les cultures et
toutes les civilisations. Aujourd’hui, l’imbrication du patriarcat et de
l’ultralibéralisme ont induit de nouvelles formes dites « modernes »,
d’exploitation et de domination des femmes et ces dernières aussi bien au Sud qu’au Nord, se retrouvent
dans les mêmes situations de précarité « mondialisée ». L’égalité, ce
principe fondateur des systèmes démocratiques universalistes, reste l’une des
promesses les plus inaccomplies de la modernité et il apparaît donc évident que
la lutte pour la reconnaissance et l’institutionnalisation des droits égalitaires entre hommes et femmes
est un combat encore inachevé dans le monde actuel[2].
Il serait
important de préciser ici qu’il ne s’agit pas de refuser les critiques sur ce sujet
mais ce qui est à refuser, ce n’est pas
tant, la critique de l’injustice dont sont victimes les femmes en terre d’islam
et dans l’idéologie traditionaliste en cours,
et qui disons le clairement est une réalité malheureusement, mais ce qui est critiquable c’est la centralité, la logique du « un poids
deux mesures » et la manipulation injustifiable dont fait l’objet cette
question des femmes musulmanes dans l’agenda politique de certains
gouvernements occidentaux et dans la vision paternaliste de certaines
féministes occidentales.
(On
véhicule des clichés récurrents et qui ont fait le tour du monde sur la femme
afghane tant que cela justifie la main mise militaire et politique sur ce pays.
Quant à l’idéologie sexiste de l’allié saoudien qui inonde, grâce aux
pétrodollars, la production littéraire islamique, jusqu’à l’intérieur des
sociétés occidentales, elle est « tolérée », vu les innombrables
intérêts en jeu. Silence sur les exactions de ben Ali au nom d’une libération
des femmes alibi de certains despotismes arabes !)
Loin de
nous donc l’idée de diaboliser l’Occident et de le rendre responsable de tous
nos maux et de nous conforter dans cette situation d’éternelles victimes comme
le véhicule un certain discours islamique obnubilé, lui aussi, par un éternel et imaginaire complot contre
l’islam.( idée de l’agenda politique
extérieure occidentale à chaque fois que l’on a des débats concernant les
femmes !)
Ce même
discours islamique qui lui aussi véhicule la même vision sur l’Occident
considéré comme un bloc homogène, avec le même type de stéréotypes et qui
réduit tout l’Occident à un système amoral et en pertes de valeurs.
Il s’agit
donc plutôt de dénoncer l’instrumentalisation politique de certaines
problématiques comme celle, entre autres, des femmes musulmanes et de dénoncer
ce qu’une certaine vision occidentale veut faire de cette problématique en
l’essentialisant à outrance. Mais sans oublier pour autant que ceci n’est que
le résultat d’une certaine réalité concrète cautionnée par un système religieux
qui dans les pays majoritairement islamiques, lui aussi, instrumentalise cette
question des femmes musulmanes.
Quelle réalité des femmes
musulmanes ?
A ce
niveau là, je crois qu’il faudrait savoir admettre, que,
parmi toutes les critiques faites
à l’égard de l’islam et des musulmans, celles concernant le statut
des femmes, reste au fond relativement
juste et ce malgré l’insoutenable instrumentalisation politique et médiatique
internationale qui la sous tend.
Il faut
le dire clairement, malgré les différentes situations dans laquelle vivent les
femmes musulmanes de part le monde, il est évident, que leur situation reste
marquée par la vision hégémonique d’une idéologie islamique officielle
traditionaliste et rigoriste, et qui est devenue plus marquée depuis l’avènement du retour du religieux depuis les
années 80.
Il existe
une sorte de « compromis » général par rapport à cette question
autour de laquelle il y a des consensus tacites effectués à l’insu des femmes
et de leur émancipation dans les différentes sociétés islamiques. De l’islam
officiel des Etats, aux opposants islamistes en passant par les hauts conseils
des Oulémas musulmans ou dans la culture populaire, c’est d’une même vision
traditionaliste, misogyne et clairement discriminatoire envers les femmes dont
il s’agit.
«
L’islam honore la femme, lui a octroyé tous ses droits, l’a protégé… » C’est là l’essentiel du propos
ressassé par beaucoup de musulmans, très souvent sincères, puisqu’il reflète
dans le fond la véracité du message spirituel, mais qui n’en reste pas moins
très insuffisant voire infructueux sur le plan de l’argumentaire. Un discours
sur la défensive, qui s’essouffle avec le temps, car il s’évertue à démentir
des imputations malheureusement contredites par le constat cinglant de la
réalité des sociétés islamiques. Il y a en effet un contraste patent entre ce
discours là et la réalité d’un vécu qui se dit et se veut respectueux des
valeurs islamiques et où l’on justifie les pires discriminations envers les
femmes.
En effet,
même si la situation des femmes musulmanes a connu ces dernières décennies une
amélioration concrète et varie de façon notable d’un pays à l’autre, (code
moudawwana au Maroc , statut personnel en Tunisie) selon le niveau socioculturel et
éducationnel, il n’en reste pas moins que le statut juridique des femmes musulmanes reste, de loin, des plus
précaires au monde.
Il
faudrait savoir reconnaître que les schémas éducatifs traditionnels, les
dispositions discriminatoires du droit de la famille et le code du statut
personnel, perpétuent, selon les pays, et à des degrés variables, de façon
flagrante les inégalités et la subordination des femmes et ce dans la grande
majorité des pays islamiques.
De
l’analphabétisme (les taux dans les pays arabes sont les plus élevés au monde :
40% d’analphabétisme - 65 millions -
dont les femmes représentent les deux tiers), au statut juridique de mineure à
vie, à l’absence d’autonomie, aux obstacles flagrants à la participation politique
(5% de femmes parlementaires), en passant par les mariages forcés et les crimes
d’honneur dans certaines régions…Tous ces abus restent malheureusement
l’apanage quotidien d’un grand nombre de musulmanes et sont dans la plupart des
cas cautionnés par une certaine lecture du religieux.
Le
discours islamique actuel sur les femmes se réduit à une vision simpliste et
normative centralisée essentiellement sur « les dérives tentatrices du
corps des femmes », ou
« Fitna » et présente
comme seule alternative, l’invisibilité physique et sociale des femmes comme
« défouloir » de toutes les frustrations culturelles.
Ce discours
traditionaliste est donc en déphasage par rapport à la réalité sociale
musulmane qui évolue et se transforme de manière fulgurante sous les yeux de
certains savants musulmans qui, dépassés
par ces évolutions, s’entêtent à
chercher des solutions surannées dans les réflexions de leurs prédécesseurs
d’il y a plusieurs siècles.
Ce refus de
cautionner toute tentative de « réforme » en particulier pour la
condition des femmes est très révélateur de la crise identitaire que vit le
monde musulman. En effet, les femmes, semblent représenter, le « dernier
rempart » à défendre pour des sociétés minées par d’autres paramètres de
précarité sociopolitique et économique et par défaut ces sociétés s’accrochent,
tant que faire se peut, à des valeurs morales très rudimentaires. Les femmes sont ainsi condamnées à être les
« gardiennes » de cette morale et par extension de la religion elle
même.
Les
musulmans, quant à eux, confrontés à cette hostilité grandissante envers leur
religion et devant l’avalanche d’accusations érigés à leur encontre,
s’enferment , quant à eux, dans un discours non moins caricatural puisque
essentiellement alimenté par la réaction passionnelle et le repli justificatif.
Soumis à une conjoncture internationale et des conditions politiques perçues
comme humiliantes, le monde de l’islam, affaiblit déjà par un enfermement
traditionnel, la pauvreté, le sous développement et le despotisme de ses
régimes, perçoit ce genre de critiques et particulièrement celles qui ont
attrait aux femmes, comme une marque d’ingérence culturelle totalement
inconvenante voire intolérable.
Le
discours de libération prônée par l’occident ne peut être crédible pour une
certaine vision islamique car en plus d’être discrédité par des politiques
internationales fondamentalement injustes envers un grand nombre de pays
musulmans, il touche à l’un des derniers remparts de l’identité musulmane à
savoir la femme. En effet, la femme semble représenter pour ce monde islamique
à l’identité meurtrie, le dernier bastion à défendre…La femme musulmane
symbolise à l’heure actuelle la victime de choix de cette construction
idéologique en miroir et elle se doit, étant donné, sa position de gardienne de
la morale, d’incarner le « contre modèle » de celui véhiculé par un occident
considéré
comme étant en pertes de valeurs.
Et l’on
remarque que malgré l’avènement des révolutions arabes, du vent de libération
qui a soufflé dans ses contrées, la lutte réussie contre les régimes
despotiques, a laissé place à une grande confusion au sein de l’espace
politique et où malheureusement les femmes, malgré le rôle majeur qu’elles ont
joué au sein des différentes révolutions, sont encore une fois marginalisées de
l’action politique au nom d’une certaine lecture du religieux. (Egypte, Lybie,
Yemen...à moindre degré, la Tunisie qui semble émerger…le Maroc même sans
révolution, les fortes manifestations qui ont mené au changement de la
constitution , le nouveau gouvernement affiche un retour en arrière par rapport
à la représentation féminine !).
Analyses et conclusions : répondre à la question femmes musulmanes et
stéréotypes occidentaux : réalités ou préjugés ?
Comme on
l’a évoqué au tout début de la conférence, la réalité et les préjugés
cohabitent ensemble au sein de cette thématique très complexe des femmes
musulmanes.
La
réalité au sein de laquelle vivent les femmes musulmanes est donc très complexe
car elle ne répond pas à cette vision
essentialiste qui est reproduite internationalement et qui dépeint les femmes musulmanes comme étant soumises et
aliénées.
Les
femmes musulmanes représentent une diversité et une pluralité de vécus,
d’histoires, de souffrances, de luttes mais aussi de réussite et d’exploits de
tous les jours…
Alors, est ce le religieux et donc l’islam
apparemment si présent dans ces sociétés qui serait à l’origine de cette
culture de discrimination envers les femmes ou bien les innombrables
interprétations qui en ont été soutirées et qui ont fait de cette religion un
puissant outil du patriarcat?
A ce
niveau là je pense qu’il faudrait faire la part des choses et refuser
l’assertion qui prétend que la discrimination et la dévalorisation des femmes
seraient inhérentes aux textes sacrés de l’islam. Nul ne peut contester la
situation déplorable des femmes telle
qu’elle est vécue dans les sociétés majoritairement islamique, mais il serait
juste de distinguer entre le contenu spirituel du message de l’islam et ses
diverses interprétations comme il faudrait savoir différencier entre ce qui
émane d’une culture locale sociale structurellement patriarcale et ce qui
relève des prescriptions spirituelles.
Il
faudrait savoir différencier entre les sources originelles où l’on retrouve des
orientations véritablement émancipatrices pour les femmes et les interprétations
classiques qui ont vidé le message de son contenu spirituel et l’ont figé dans
des compilations à contenu strictement juridique. Il est important de
reconnaître que ce n’est pas le message spirituel de l’islam qui est
intrinsèquement incompatible avec les droits de la femme mais l’interprétation
sélective et abusive des lois et textes centraux par les autorités
patriarcales.
Il
faudrait donc pour ne pas tomber dans cette vision stéréotypée savoir faire la
part des choses entre le message spirituel de l’islam et le vécu, les
traditions et les systèmes religieux qui ont sclérosé toute la pensée
islamique. Les raisons de ce verrouillage sont complexes, mais celle qui
prédomine est principalement représentée par l’instrumentalisation politique du
religieux en terres d’islam et ce depuis des siècles. Le drame du monde musulman n’est pas religieux il est essentiellement
politique.
Il est
curieux de constater que la question des
femmes et celle du pouvoir
politique en islam, sont étroitement et étrangement liées du point de vue
historique.
En effet,
les femmes ont été – et le sont toujours-
victimes d’un double despotisme : le patriarcat et l’autocratie. Ce sont
ces deux pouvoirs absolus qui vont les
bâillonner pendant des siècles et
contribuer à la régression progressive de leur statut entérinée par ailleurs
par le déclin de l’ensemble de la civilisation islamique.
Si l’on
rajoute à tout cela le choc de la rencontre avec la colonisation occidentale on
pourra aisément comprendre l’ampleur des dégâts dévastateurs sur le statut de
la femme et ses séquelles traumatiques perceptibles encore de nos jours. Il
faudrait aussi sur ce point rappeler l’importance de la dimension coloniale et
de ses conséquences sur la question de la femme. En se protégeant contre le
colonisateur, le monde musulman a d’abord séquestré la femme de peur qu’elle ne
s’identifie à l’émancipation occidentale et qu’elle n’en transmette des valeurs
jugées comme étant forcément anti-islamiques …
L’époque
fragile des indépendances n’a pas pour autant été profitable, ni pour les
femmes ni pour les hommes musulmans puisque bon nombre de slogans comme le nationalisme,
le panarabisme, la laïcité, la démocratie, sont restés des slogans creux, dévoyés, et qui ont surtout légitimé les pires exactions,
perpétrées par des régimes corrompus, sous la bénédiction des anciens
colonisateurs…
Conclusion:
C’est
ainsi que les femmes musulmanes, dans
leurs représentations les plus diverses,
restent prise en otage entre deux
visions conflictuelles et en éternelle confrontation : celle d’une approche
musulmane traditionaliste, figée et anachronique et celle d’une approche
occidentale ethnocentrique, véhiculant stéréotypes et clichés réducteurs et
devenant actuellement de plus en plus islamophobe.
Entre ces
deux perceptions c’est avant tout la parole des femmes musulmanes en question
qui est dangereusement occultée…Et l’émancipation des femmes musulmanes ne peut
réellement devenir effective sans une véritable prise de conscience et prise de
la parole de ces femmes musulmanes elles mêmes et non des autres qui parleront
pour elles et à leurs places !
Elles
doivent donc se forger un autre chemin, en dehors de ces sentiers battus, au
nom de leurs convictions spirituelles mais aussi de leur perspective de femmes modernes. C’est donc sur un double
registre, celui des droits humains universels et celui d’un référentiel
religieux réapproprié que le chemin d’une véritable émancipation des femmes
musulmanes peut avoir lieu et avoir toutes les chances de réussite.
Je
voudrais avant de terminer préciser que c’est au sein de cette troisième voie
que je m’inscris en tant que femme engagée dans la lutte des droits des femmes
musulmanes à l’égalité et la dignité. Une troisième voie qui se doit d’être
libérée aussi bien de l’aliénation occidentale que du traditionalisme religieux sclérosé…
Une
troisième voie, qui, au nom d’un référentiel et d’un enracinement spirituel,
mais aussi au nom des valeurs partagées d’égalité, de dignité et de respect des
droits individuels, lutte contre les extrémismes de tout bord et refuse la
dévalorisation juridique, culturelle et sociale des femmes.
On a bien vu lors de ces révolutions
arabes que les femmes se sont révoltées contre deux discours : celui
de la lecture culturelle traditionaliste et celui des despotismes politiques.
C’est dans ce sens qu’Il faudrait savoir déconstruire cette double composante :
celle des inégalités sociopolitiques et celles des discriminations sexistes
traditionnelles. Et c’est en travaillant sur ces deux volets démocratie et réformisme religieux que
les transformations sociales peuvent avoir des chances de véritablement se
concrétiser au sein de la réalité du terrain…
Il y aura surement encore d’énormes
résistances à ce processus d’émancipation mais la dynamique est déjà en
marche…et rien ni personne ne peut inverser le cours de l’histoire quand le
changement est là…et l’histoire du monde musulman qui est de nouveau en
marche ne pourra désormais jamais plus
se faire sans ses femmes !
2-
FEMMINISMO ISLAMICO:
I PRECETTI DEL CORANO A PARTIRE DALLA
PROSPETTIVA DELL'UGUAGLIANZA DI GENERE
(Traduzione a cura di Casa Africa)
1- Introduzione
Molti
sembrano dubitare della legittimità del Femminismo Islamico (FI): perché tutto
attualmente sembra dimostrare che femminismo e islam non possono che
contraddirsi, anzi opporsi. E’ proprio grazie agli studi accademici e alle
ricerche elaborate dalle donne nell’ambito del FI che si sono potuti mettere in
evidenza all’interno dei testi sacri dell’islam dei principi fondanti
dell’eguaglianza fra uomo e donna.
La
prospettiva dell’eguaglianza di genere, o dell’approccio di genere, è recente
nella strategia per la promozione dell’eguaglianza tra uomo e donna (adottata a
Pechino nel 1995). Questa attualmente è considerata essenziale e addirittura
prioritaria in tutti i campi al fine di assicurare l’eguaglianza dei diritti.
Noi vogliamo dimostrare come a partire dal Corano e dai suoi precetti stabiliti
1400 anni fa e grazie ad una lettura riformista possiamo ritrovarvi dei
concetti chiave riguardo la formulazione degli obiettivi della prospettiva di genere,
cioè la promozione dell’uguaglianza dei diritti, così come dell’equa divisione
delle risorse e delle responsabilità tra uomo e donna.
Ma
prima bisognerebbe smontare qualche idea preconcetta sul femminismo e
sull’islam
2- Rimettere
a posto alcune idee: smontare le idee preconcette.
Il
femminismo in senso lato indica in un certo immaginario collettivo un movimento
femminile, nato in occidente, che ha rivendicato l’uguaglianza, l’emancipazione
e la liberazione da tutte le alienazioni, compresa quella culturale e
patriarcale e, in particolare, quelle che hanno a che fare con la religione.
Quanto
all’islam di per sé e in modo specifico la questione delle donne musulmane,
essi riflettono un sistema di pensiero e un’ideologia che -secondo la visione
di molti- si sono costruiti fuori dalla storia, dall’occidente e dalla
modernità e sembrano costituire da un certo momento in poi l’esempio per
eccellenza di una religione che opprime le donne!
Allora
come si può parlare di femminismo musulmano quando le contraddizioni sono
evidenti e i due concetti in antitesi?
Bisognerebbe
innanzitutto smontare l’idea che esiste un solo femminismo:
Definire il femminismo: Storicamente si può formulare la
definizione di femminismo a partire da due ipotesi che apparentemente sembrano
essere le uniche.
1- Definizione
ideologica restrittiva: che considera il femminismo una corrente politica che è
nata in occidente e in modo specifico negli Stati Uniti e in Francia dopo la
rivoluzione industriale e cioè verso la seconda metà del XIX secolo.
2- Definizione
universalista: che considera il femminismo come prodotto di una continua lotta
delle donne contro l’oppressione patriarcale e che concepisce quindi una
continuità di questa lotta lungo tutta la storia dell’umanità fuori da un
contesto storico e/o geografico dato.
Peraltro
è difficile delineare una teoria unica e precisa del femminismo dal momento che
quest’ultimo è attraversato da varie correnti teoriche eterogenee, ma che tentano
tutte di spiegare e di capire perché le donne si ritrovano, in un contesto dato
e in un preciso momento in una condizione di subordinazione.
Comunque,
per chiarire ciò e tentare di fornire un approccio concettuale del femminismo,
si può riprendere questa definizione così come è stata formulata da Louise
Toupin: “Il femminismo è una presa di
coscienza prima individuale e poi collettiva seguita da una rivolta contro il
modo in cui sono stati organizzati di rapporti tra i sessi e la posizione
subordinata che le donne vi occupano in una data società, in un dato momento
storico. Si tratta anche di una lotta per cambiare questi rapporti e questa
situazione”
Il problema è che c’è
confusione tra i principi universali della lotta delle donne (femminismo) e i
differenti modelli di femminismo.
Esistono
dei principi universali che costituiscono il fondamento delle lotte delle
donne, di tutte le donne, principi che attraversano il mondo intero e i diversi
modi di lottare: uguaglianza, lotta
contro la discriminazione, libertà, dignità…mentre i modelli di lotta sono
differenti e specifici in ciascun contesto: quindi sono dei femminismi.
Esempi
di Differenti modelli:
-
Il femminismo liberale: egualitario o riformista (fedele allo spirito della
rivoluzione francese).
-
Il femminismo radicale: differenzialista
-
Il femminismo politico o marxista
-
Evoluzioni attuali e metamorfosi: Gender studies (anni ’70); il Movimento Queer
(gender
trouble di Judith Butler); il femminismo
ecologista…
-
Il femminismo religioso: teologia della liberazione, cattolico (L’autre parole
Quebec) o ebraico,
buddista….
-
Il femminismo postcoloniale: femminismo che denuncia i rapporti di dominazione
a cui sono state soggette le donne del Sud. Il femminismo postcoloniale è
un’entità plurale rappresentata dal femminismo nero, il femminismo “chicana”
(ispanico), il femminismo autoctono (dei popoli nativi d’America), il
femminismo arabo-musulmano e il femminismo indigeno. Questi diversi movimenti,
pur mantenendo la loro specificità hanno contribuito a far emergere un nuovo
pensiero femminista impegnato a ripensare l’oppressione delle donne alla luce
dell’oppressione coloniale e dei contesti specifici delle donne del terzo
mondo. Dei concetti come la colonizzazione, il razzismo o la schiavitù, assenti
nel pensiero femminista egemone sono stati studiati dalle donne del Sud partire dalla loro propria esperienza ed
hanno permesso loro di sviluppare una loro propria strategia di resistenza e
mobilitazione.
Il
principale fronte comune di questi diversi movimenti è quello del rifiuto del
discorso femminista egemone che ha fatto della condizione delle donne bianche della
classe media occidentale LA condizione universale delle donne. Il femminismo
post coloniale si colloca in questo senso, in rottura con il femminismo egemone
che non ha considerato la voce delle altre donne, quella della così detta maggioranza
silenziosa delle donne, rappresentata dalle nere, le ispaniche, le asiatiche e
le donne arabe[3].
Il femminismo egemone ha costruito lo stereotipo delle donne del terzo mondo
come donne passive, sempre vittime di una oppressione generalizzata e
totalizzante. Così, focalizzandosi su questa immagine perfetta di vittima, le
femministe occidentali, attraverso un sottile gioco del rovescio, vedono la
loro propria emancipazione rivalorizzata e confermano la propria superiorità in
quella che certe femministe post coloniali hanno chiamato «la differenza del terzo - mondo». Questa differenza definisce la
donna del terzo mondo come «religiosa» leggi «non progressista», «familista»
leggi «tradizionale», «legalmente minorenne» leggi «che non ha ancora i suoi
diritti», «illetterata» leggi «ignorante». Questa immagine in negativo della
donna del terzo-mondo è necessaria per creare quella della donna occidentale
emancipata, liberata, autonoma: l’una non esisterebbe senza l’altra[4]
(scritti di Chandra Mohanty).
Il femminismo post
coloniale, quindi, ha effettuato due grandi rotture in questo discorso teorico
femminista egemonico, la prima è stata quella di decostruire l’immagine della
donna del terzo -mondo così come è stata veicolata nel pensiero femminista
dominante, la seconda è stata quella di
porre la domanda essenziale: “chi parla per chi?”.
Conclusioni:
Ecco
che le donne musulmane ne hanno avuto abbastanza di vedere le altre parlare a
nome loro, di vedere che erano soggetti passivi della loro storia e del loro
vissuto. Hanno deciso di parlare loro per se stesse e di smontare loro stesse
che l’islam, la loro religione, fosse la causa della loro oppressione e della
loro disuguaglianza! Di qui l’emergere del femminismo islamico.
3- Il
femminismo islamico: emergere di un movimento di rinnovamento femminile
nell’islam
Smontare l’idea di un
islam che opprime le donne e di donne musulmane soggetti passivi della loro storia.
Non
lo si ripeterà mai abbastanza: non è l’islam che opprime le donne, ma piuttosto
la lettura che ne è stata fatta da secoli e che attraverso interpretazioni
umane e l’accumularsi di compilazioni esegetiche ha radicato una visione
discriminatoria delle donne sicuramente favorita da culture strutturalmente
patriarcali.
E’quello
che alla fine hanno capito alcune donne musulmane che da una ventina d’anni
cercano di lottare contro questa lettura discriminatoria e armate del loro
sapere accademico, teologico e sociologico sono andate a vedere direttamente
cosa dicono i testi sacri dell’islam. Così hanno scoperto che c’era una
discrepanza enorme tra ciò che diceva il messaggio spirituale e ciò che raccomandava
la maggior parte delle letture interpretative e in particolare quelle del
diritto musulmano o Fiqh.
Il rinnovamento
femminile in questione
- Non si può quindi fare a meno di
constatare l’esistenza all’interno del mondo musulmano, ma anche nelle comunità
che vivono in occidente, di una dinamica femminile in cammino che lungi
dall’essere uniformata pare essere attraversata da sensibilità diverse e di
cui, ciascuna a suo modo, cerca di mettere in discussione il conformismo socio
politico tradizionale dello status delle donne.
Il
fatto è che di fronte ad un discorso islamico che rimane ancorato al passato e
completamente scollato nei confronti della realtà attuale le nuove generazioni
di musulmane -e di musulmani-esprimono il bisogno di una terza via che non
toglierebbe nulla né alla loro ricerca di senso spirituale né alla loro
aspirazione ad una cittadinanza egualitaria decente in questa modernità
«globalizzata».
L’emergere
di questa nuova coscienza femminile musulmana all’interno di questa globalizzazione
e di questa crisi identitaria diffusa costituisce un posta in gioco
fondamentale per il futuro delle società arabo musulmane come anche delle
comunità e delle minoranze musulmane in occidente. Il vissuto delle donne musulmane per sia quanto diversificato, sembra rappresentare uno stesso dilemma, quello di
donne che per la maggior parte si ritrovano lacerate tra la loro appartenenza
culturale -con le sue costrizioni e contraddizioni- e la loro ambizione
legittima a più libertà, più autonomia e più diritti egualitari riconosciuti.
Il
nucleo di questo rinnovamento femminile nell’islam risiede nella rivendicazione
legittima da parte di donne musulmane, accademiche, teologhe, universitarie,
militanti di associazioni ed altre, a sviluppare un discorso che sia loro
proprio. Bisogna dirlo chiaramente le donne musulmane non ne possono più di
essere «oggetto di studio», di essere dei carpi espiatori, di vedere che si
parla sempre al loro posto e che le si rimanda sempre allo stesso stereotipo:
quello di essere perennemente minori, soggetti passivi della loro storia e
ostaggi di discorsi che gli altri fanno e rifanno a seconda degli avvenimenti
geopolitici!
E’
così che una della principali tappe di questo rinnovamento è stato quello di
scomporre il discorso religioso tradizionalista e profondamente discriminatorio
nei confronti delle donne proponendo contemporaneamente una nuova lettura delle
scritture a partire da una prospettiva femminile.
Tutto
ciò innanzitutto per ovviare alle lacune storiche dovute all’assenza della
visione femminile nella produzione islamica, ma anche allo scopo di apportare
le prospettive e le scelte proprie delle donne musulmane d’oggi. Questo
progetto intellettuale è un progetto di emancipazione delle donne che
costituisce una nuova via contestualizzata di comprensione dell’islam,
comprensione che da molto tempo era monopolio esclusivo dei soli uomini e Ulema
musulmani.
Il
discorso portato avanti da questa nuova generazione di donne musulmane, è un
discorso che paradossalmente di fronte all’idea veicolata di un islam
generatore di discriminazioni sottolinea
la centralità e l’importanza della dinamica liberatrice nell’ambito del mondo
islamico . Avendo avuto accesso alle fonti testuali e in particolare alla
dimensione etica del Corano queste donne hanno capito che la loro reclusione
millenaria non dipende dal messaggio
spirituale dell’islam, ma piuttosto da tutte le interpretazioni umane che si
sono accumulate nelle compilazioni accademiche religiose –oltre che nella
mentalità- e che sono state favorite da contesti socio culturali
strutturalmente sfavorevoli alla presenza femminile nello spazio pubblico.
Il
patriarcato di ieri e di oggi connesso a manipolazioni politiche ricorrenti della
religione hanno costituito nel corso dei secoli fino ad oggi i principali
meccanismi di controllo delle donne musulmane -e degli uomini-.
Le
donne portatrici di questo rinnovamento sono quindi coscienti della dinamica
determinata dal messaggio spirituale dell’islam per la liberazione delle donne
nel corso della rivelazione storica.
E’
in questo senso che cercano di tornare allo «spirito» del Corano che ha giocato
un ruolo propulsivo in materia di
emancipazione delle donne e questo spesso in controtendenza con i costumi
patriarcali dell’epoca. Grazie alle loro ricerche teologiche ed accademiche
queste donne hanno dimostrato, argomenti testuali del Corano alla mano, che il
discorso sull’uguaglianza tra uomini e donne è assolutamente valido all’interno
stesso dell’islam e che le fonti dell’islam non costituiscono in alcun modo un
ostacolo all’instaurarsi dei diritti di uguaglianza tra uomini e donne. Queste
così dette proibizioni religiose che riguardano le donne e che ci tirano fuori
in ogni occasione semplicemente non esistono nei testi sacri, ma solo nella
lunga tragedia storica di una lettura del religioso che è rimasta ostaggio
delle sue derive secolari.
Per
questo l’approccio del FI consiste in una nuova lettura dei testi a partire da
una prospettiva femminile e riformista.
4- Necessità di una lettura riformista: Lo studio approfondito e l’approccio riformista delle fonti devono tener conto della presenza di tre diversi livelli nei versetti del Corano:
a-
Versetti universali: che prescindono dal genere e che
mettono l’essere umano (al insan) al centro di tutta la filosofia spirituale.
Essi costituiscono di fatto la base del messaggio coranico, e riproducono i
valori universali di giustizia e di uguaglianza. Questi versetti sono da
considerare come il riferimento universale da condividere con il resto
dell’umanità. Sono questi i valori che sono attualmente sanciti da tutte le
convenzioni internazionali che promuovono innanzitutto il rispetto dei diritti
e della dignità umana (wa lakad karamna bani adam).
b-
Versetti congiunturali: Che sono stati rivelati per
rispondere a domande esplicite all’epoca della rivelazione, come quelle
riguardano la schiavitù, la preda di guerra, il concubinato, o quelle che attengono
alle punizioni corporali, e che corrispondono ad un tappa conclusa della
civiltà umana.
c-
Versetti specifici: Che si volevano in accordo con le
aspettative e le strutture patriarcali dell’epoca e che hanno avvallato dei
comportamenti discriminatori, o che li hanno attenuati senza peraltro
abrogarli. E’ questo il caso della poligamia che fu considerata come una
concessione agli arabi dell’epoca molto legati a questa tradizione, ma che contemporaneamente
venne condizionata per dissuaderne i sostenitori. Bisogna ricordare che i primi
riformisti musulmani dell’epoca della Nahada non hanno avuto alcuna esitazione
a rivendicare la soppressione pura e semplice della poligamia (Mohammed Abdou
in Egitto e Allal el Fassi in Marocco).
Questa è
una visione globale che deve essere capita a livello dell’etica del Corano,
cioè quella che attribuisce la priorità ai valori universali di giustizia,
uguaglianza e rispetto della dignità umana.
Ritornare
sulla visione degli uomini e delle donne entro la visione olistica vuol dire
ritornare sulla visione degli «esseri umani» e sullo sconvolgimento spirituale
che ha conosciuto la civiltà umana con l’avvento dell’islam cioè quello della
liberazione dell’essere umano da tutte le oppressioni. La base del messaggio
coranico si trova in questa esigenza di giustizia (el adl: 300 volte nel
Corano) e di liberazione: cosa che ritroviamo nei concetti di
«almooustadaafoune fil ard et muhrarran»
La ragione, la giustizia, la libertà
di coscienza (el
aql, el adl, huryate al aquida man chaa
falyouamine) sono i valori fondanti che sono al centro della fede coranica e
che l’islam è venuto a far rinascere dalle ceneri dell’oblio dei messaggi
precedenti e dall’indifferenza del cuore degli esseri umani.
E’ a partire da questi tre valori,
veri fondamenti dell’islam che bisognerebbe rileggere oggi il Corano e
rimettere la tematica delle donne al centro dell’esigenza coranica di
liberazione degli esseri umani.
Esempi di
concetti chiave di uguaglianza…(omissis)
Riferimenti
ai documenti annessi: versetti egualitari…(omissis)
Conclusioni: Il FI: essere
femminista musulmana vuol dire liberarsi sia del patriarcato religioso che di
quello politico
La
maggioranza delle donne mussulmane di oggi aspirano a vivere un islam
addolcito, in armonia con le loro libertà individuali e la loro ricerca di
senso. Esse vogliono vivere come donne, musulmane, pienamente attrici dei loro
cambiamenti, dei loro sogni e delle loro ambizioni…E’ importante smontare e
demistificare l’immagine stereotipata del mondo musulmano e soprattutto delle
sue donne mediante dibattiti realisti e costanti per mettere in discussione
l’approccio etnocentrico alla storia delle lotte per l’uguaglianza che tende a
presentare le donne occidentali e il referente occidentale come i soli
detentori degli ideali egualitari.
Tutte le
lotte umane per la giustizia sociale, l’uguaglianza e la libertà e i loro
protagonisti, quali essi siano, devono essere rispettati e accettati
all’interno di un referente umano veramente universale. Nessuna cultura e
civiltà ha il monopolio dell’uguaglianza, della perfezione democratica, o
ancora meno di una società ideale. Ne è prova il fatto che la primavera araba
ha mobilitato uomini e donne in quanto cittadini/cittadine sul fronte delle
rivendicazioni per la dignità, l’uguaglianza e la democratizzazione della vita
politica. Anche se il futuro è ancora incerto, resta fermo il fatto che
all’interno del mondo arabo e musulmano il FI
è una opportunità sia per le donne che per gli uomini, dato che la
liberazione delle donne a partire dal loro riferimento islamico permetterà di
portare a compimento la transizione democratica attualmente in corso.
Féminisme
islamique : les préceptes du Coran à partir de la perspective d’égalité de
genre
(Testo originale della relazione)
1- Introduction :
Beaucoup semblent douter de la légitimité du
FI : car tout semble démontrer actuellement que F et islam ne peuvent que
se contredire voire s’opposer. Or c’est bien grâce aux études académiques et
recherches élaborés par les femmes dans le domaine du FI, que l’on a pu mettre
en évidence au sein des textes sacrés de l’islam , des principes fondateurs de
l’égalité entre H et F.
La perspective de l’égalité de genre ou
approche genre est récente dans la stratégie de promotion de l’égalité entre H
et F (adoptée en 1995 à Beijing). Elle est actuellement considérée comme étant
essentielle voire prioritaire dans tous les domaines afin d’assurer cette
égalité de droits. Nous allons démontrer comment à partir du Coran et de ses
préceptes édictés il y a 1400 ans et grâce
à une lecture réformiste on peut y retrouver des concepts clés quant à la
formulation des objectifs de l’approche genre, à savoir, la promotion de l’égalité des droits ainsi
qu’un partage équitable des ressources et responsabilités entre les F et les H.
Mais avant cela, il faudrait déconstruire
quelques idées reçues sur le féminisme et islam.
2- Remettre quelques idées en
place : déconstruire les idées reçues :
Le féminisme dans sa conception la plus large
désigne, dans un certain imaginaire collectif,
un mouvement féminin, nait en Occident,
qui a revendiqué l’égalité, l’émancipation et la libération de toutes
les aliénations aussi bien culturelle, que patriarcale et dont notamment celles en rapport avec le
religieux.
L’islam quant à lui et particulièrement cette
question des femmes musulmanes reflète quant à elle un système de pensée et une
idéologie qui – selon la vision de
beaucoup – s’est édifié en dehors de l’histoire, de l’occident, de la
modernité…et semble illustrer depuis un certain moment maintenant la
religion qui opprime les femmes par excellence !
Alors comment peut-on parler de féminisme
musulman alors que les contradictions sont flagrantes et que les deux
concepts apparaissent antinomiques.
Il faudrait d ‘abord
commencer par déconstruire l’idée de l’existence d’un seul féminisme :
Définir le féminisme : historiquement,
on peut formuler la définition du féminisme selon deux hypothèses, apparemment
exclusives.
1- Définition idéologique restrictive :
qui considère que le féminisme est un courant politique qui a pris naissance en
Occident - plus particulièrement aux Etats Unis et en France- après l’âge
industriel, à savoir, vers la deuxième moitié du XIXe siècle.
2- Définition
universaliste : qui considère que
le féminisme est le produit d’une lutte
continue des femmes contre l’oppression patriarcale et qui conçoit donc une
continuité de cette lutte au cours de l’histoire de l’humanité en dehors d’un
contexte historique ou géographique donnés
Il reste aussi difficile de cerner une
théorie précise et unique du féminisme,
puisque ce dernier est traversé par divers courants théoriques hétérogènes,
mais qui, tous tentent d’expliquer et de comprendre pourquoi les femmes, se
retrouvent-elles, dans un contexte donnée et à un moment précis, dans une
position de subordination .
On peut cependant, pour illustrer le propos et
tenter de donner une approche conceptuelle du féminisme, reprendre cette
définition telle que formulée par Louise Toupin : « Le féminisme est une prise de conscience
d’abord individuelle, puis ensuite collective, suivie d’une révolte contre
l’arrangement des rapports de sexe et la position subordonnée que les femmes y
occupent dans une société donnée, à un moment donnée de son histoire. Il s’agit
aussi d’une lutte pour changer ces rapports et cette situation »
Le problème est qu’il y a Confusion entre les principes universels
de la lutte des femmes (féminisme) et les différents modèles de féminisme
Il existe des
principes universels qui
constituent le fondement des luttes des femmes de toutes les femmes à travers
le monde et les différents modèles de lutte : égalité, lutte contre la
discrimination, liberté, dignité…tandis que les modèles de lutte sont
différents et spécifiques à chaque contexte : donc des féminismes
Exemples de Différents modèles :
-
Le féminisme libéral : égalitariste ou
réformiste
(fidèle à l’esprit de la révolution française)
(fidèle à l’esprit de la révolution française)
-
Le féminisme radical :
différentialiste
-
Le féminisme politique ou marxiste
-
Evolutions actuelles et
métamorphoses :
Gender studies (années 70)
, le Mouvement Queer (gender trouble de Judith
Butler) ;le féminisme écologique…
- Le féminisme religieux :
théologie de la libération , catholique (l’autre parole
Québec) ou juif., bouddhiste..
- Le féminisme postcolonial : féminisme qui dénonce les rapports de domination dont sont restées soumises les femmes du Sud. Le féminisme postcolonial est une entité plurielle représentée par le féminisme noir, le féminisme chicana (latino), le féminisme autochtone (des peuples amérindiens), le féminisme arabo-musulman et le féminisme indigène. Ces différents mouvements, tout en gardant leur propre spécificité, ont contribué à faire émerger une nouvelle pensée féministe qui s’est attelé à repenser l’oppression des femmes à la lumière de l’histoire coloniale et des contextes particuliers des femmes du tiers monde. Des concepts comme la colonisation, le racisme ou l’esclavage, absents dans la pensée féministe hégémonique, ont été étudiés à partir de la propre expérience des femmes du Sud et ont permit à ces dernières de développer leur propre stratégie de résistance et de mobilisation.
Québec) ou juif., bouddhiste..
- Le féminisme postcolonial : féminisme qui dénonce les rapports de domination dont sont restées soumises les femmes du Sud. Le féminisme postcolonial est une entité plurielle représentée par le féminisme noir, le féminisme chicana (latino), le féminisme autochtone (des peuples amérindiens), le féminisme arabo-musulman et le féminisme indigène. Ces différents mouvements, tout en gardant leur propre spécificité, ont contribué à faire émerger une nouvelle pensée féministe qui s’est attelé à repenser l’oppression des femmes à la lumière de l’histoire coloniale et des contextes particuliers des femmes du tiers monde. Des concepts comme la colonisation, le racisme ou l’esclavage, absents dans la pensée féministe hégémonique, ont été étudiés à partir de la propre expérience des femmes du Sud et ont permit à ces dernières de développer leur propre stratégie de résistance et de mobilisation.
Le principal front commun des ces différents
mouvements est sans aucun doute celui du refus du discours féministe
hégémonique qui a érigé la condition des femmes blanches de la classe moyenne
occidentale comme étant LA condition universelle des femmes. Le féminisme postcolonial se situe, dans ce
sens, en rupture avec le féminisme hégémonique qui n’a pas pris en compte la
voix des autres femmes autrement dit de la majorité silencieuse des femmes ,
représentée par les noires, les latinos, les asiatiques et les femmes arabes[5].. Le féminisme hégémonique a surtout
érigé les femmes du tiers monde comme des femmes passives, toujours victimes d’une oppression
généralisée et totalisante. En se focalisant ainsi sur ces victimes de choix,
les féministes occidentales, par un subtil jeu d’inversion , voient leur propre
émancipation revalorisée et confirment leur supériorité dans ce que certaines
féministes postcoloniales ont dénommé « la différence du tiers -
monde » . Cette différence définit la femme du tiers monde comme
« religieuse » comprenez « pas progressiste »,
« familialiste » comprenez « traditionnelle » ,
« légalement mineure » comprenez « qu’elles n’ont pas encore
leurs droits », « illettrée » comprenez
« ignorante » … : cette figure repoussoir de la femme du
tiers monde est nécessaire pour créer celle de la femme occidentale émancipée,
libérée, autonome, l’une n’existerait pas sans l’autre[6].
(travaux de Chandra Mohanty).
Le féminisme postcolonial,
a donc, opéré deux ruptures
majeures dans le discours théorique féministe : la première étant la
déconstruction de l’image de la femme du tiers monde telle qu’elle a été
véhiculée dans la pensée féministe dominante et la deuxième rupture étant de
poser la question essentielle de qui parle pour qui ?
Conclusion :
Justement les femmes musulmanes ont eu assez
de voir les autres parler en leur nom, de voir qu’elles étaient des actrices
passives de leur histoire et de leur vécu. Elles ont décidé de parler pour
elles mêmes et de déconstruire elles mêmes l’idée que l’islam, leur religion
était la cause de leur oppression et de leur inégalité ! D’où l’émergence
du FI.
3- Le Féminisme islamique :
émergence d’un mouvement de renouveau féminin en islam
Déconstruire l’idée d’un islam oppresseur des femmes et des femmes
musulmanes actrices passives de leur histoire :
On ne le dira jamais assez : ce n’est pas
l’islam qui opprime les femmes mais bien la lecture qui en a été faites depuis
des siècles et qui à travers des interprétations humaines et l’accumulation des
compilations d’exégèse ont enraciné dans les mentalités une vision
discriminatoire des femmes, favorisée certes par des cultures structurellement
patriarcales.
C’est ce qu’ont finalement compris des femmes
musulmanes qui depuis une 20 d’années maintenant tentent de lutter contre cette lecture
discriminatoire et armées de leurs savoir académique, théologique et
sociologique sont elles mêmes partis voir ce que disent les textes sacrés de
l’islam. Elles ont alors découvert qu’il
y a avait un décalage énorme entre ce que disait le message spirituel et ce que
prônait la majorité des lectures interprétatives et notamment celles du droit
musulman ou Fiqh.
Le renouveau féminin en question
- Force est de constater donc, l’existence, au
sein du monde musulman, mais aussi dans les communautés vivant en
Occident, d’une dynamique féminine en
marche qui loin d’être uniformisée, semble être traversée par des sensibilités
diverses et dont chacune à sa manière, tente de
remettre en cause le conformisme sociopolitique traditionnel du statut
des femmes.
C’est que, devant un discours islamique qui
reste passéiste et complètement décalé par rapport à la réalité actuelle, les
nouvelles générations de musulmanes - et de musulmans –, formulent le besoin
d’une troisième voie qui ne ferait l’économie, ni de leur quête de sens spirituel
ni de leur aspiration à une citoyenneté égalitaire décente dans cette modernité
« mondialisée ».
L’émergence de cette nouvelle conscience
féminine musulmane, au sein de cette
mondialisation et de cette crise identitaire diffuse, constitue un enjeu primordial pour le devenir
des sociétés arabo-musulmanes mais aussi des communautés et des minorités
musulmanes vivant en Occident. Le
vécu des femmes musulmanes, aussi diversifié qu’il soit, semble être
représentatif d’un même dilemme, celui de femmes qui pour la plupart d’entre
elles, se retrouvent déchirées entre leur appartenance culturelle - avec ses contraintes et contradictions - et leur ambition légitime à plus de liberté,
d’autonomie et de droits égalitaires reconnus.
Le noyau central de ce renouveau féminin en
islam réside dans la revendication légitime de femmes musulmanes,
académiciennes, théologiennes, universitaires, militantes associatives et
autres à développer un discours qui leur soit propre. Il faut le dire
clairement, les femmes musulmanes, ont assez d’être des « sujets
d’étude », d’être des boucs émissaires, de voir que l’on parle toujours à
leur place et qu’on les renvoie toujours à la même symbolique : celles
d’éternelles mineures, sujets passives de leur histoire et otages de discours
que les autres font et refont au gré des évènements géopolitiques!
C’est ainsi que l’une des principales étapes
dans ce renouveau a été de déconstruire
le discours religieux traditionaliste et profondément discriminatoire envers
les femmes tout en proposant une
nouvelle lecture des textes scripturaires à partir d’une perspective féminine.
Ceci, afin d’abord de pallier aux lacunes
historiques dues à l’absence de la vision féminine dans la production
islamique, mais aussi afin d’y apporter leurs propres perspectives et leurs
propres choix de femmes musulmanes d’aujourd’hui. Ce projet intellectuel est un
projet d’émancipation des femmes qui constitue une nouvelle voie,
contextualisée de compréhension de l’islam, laquelle compréhension a longtemps était le monopole exclusif des
seuls hommes et Oulémas musulmans.
Le discours prôné par cette nouvelle
génération de femmes musulmanes est un discours qui paradoxalement à l’idée
véhiculée d’un islam générateur de discriminations, est un discours qui souligne
la centralité et l’importance de la dynamique libératrice au sein du
référentiel islamique . Ayant eu accès aux sources textuelles et notamment à la
dimension éthique du Coran, ces femmes ont comprit que ce n’est pas le message
spirituel de l’islam qui est en cause dans leur réclusion millénaire, mais bien
toutes les interprétations humaines, qui se sont accumulés dans les
compilations académiques religieuses – mais aussi dans les mentalités - et qui
ont été favorisés par des contextes socioculturels structurellement
défavorables à la présence féminine dans l’espace public.
Le patriarcat d’hier et d’aujourd’hui intriqué
à des manipulations politiciennes récurrentes de la religion ont, depuis des
siècles et jusqu’à présent, constitués les principaux mécanismes de contrôle
des femmes -et des hommes- musulmans.
Les femmes porteuses de ce renouveau sont
ainsi conscientes de la dynamique impulsée par le message spirituel de l’islam
dans la libération des femmes au cours de la révélation historique.
C’est dans ce sens qu’elles essayent de
revenir à « l’état d’esprit » du Coran qui a joué un rôle propulseur
en matière d’émancipation des femmes et ce souvent d’ailleurs à contre courant
des coutumes patriarcales de l’époque. Grâce à leurs recherches théologiques et
académiques ces femmes ont démontré, arguments coraniques à l’appui, que le
discours sur l’égalité entre hommes et femmes est complètement valide de
l’intérieur de l’islam et que les sources scripturaires de l’islam ne
constituent en aucun cas une entrave à l’instauration des droits égalitaires
entre hommes et femmes. Ces soit disant interdits religieux envers les femmes
que l’on nous sort à chaque occasion n’existent tout simplement pas dans les
textes sacrés mais dans la longue tragédie historique d’une lecture du
religieux qui est restée otage de ses propres dérives séculaires.
Pour cela l’approche du FI consiste à faire
une nouvelle lecture des textes à partir d’une perspective féminine et
réformiste.
4-
Nécessité d’une lecture réformiste : L’étude approfondie et
l’approche réformiste des sources doit
tenir compte de la présence des trois différents niveaux de versets dans le
Coran :
a- Des
versets universels : qui transcendent le genre, et qui mettent
l’être humain (al insan) au centre de toute la philosophie spirituelle. Ils
constituent de ce fait le socle du
message coranique, et reproduisent les
valeurs universelles, de justice et d’égalité. Ces versets sont à considérés
comme un référentiel universel à partager avec le reste de l’humanité. Ce sont
ces valeurs qui sont prônées actuellement par toutes les conventions
internationales qui prônent avant tout
le respect des droits et de la dignité humaine (wa lakad karamna bani adam).
b- Des versets conjoncturels : qui ont été révélés afin de répondre à des demandes explicites de l’époque de la révélation comme ceux concernant l’esclavage, le butin de
guerre, le concubinage ou ceux qui ont
attrait aux châtiments corporels et qui correspondent à une étape révolue de la
civilisation humaine.
c- Des versets spécifiques : qui se voulaient en accord avec les attentes et les structures
patriarcales de l’époque et qui ont avalisé ou atténué des comportements discriminatoires sans pour autant les
abroger. C’est le cas de la polygamie, qui fut considérée comme une concession
permise aux arabes de l’époque très attachés à cette tradition, mais tout en
l’a conditionnant afin de dissuader les partisans. Il est à rappeler que les
premiers réformistes musulmans de l’époque de la Nahda n’ont eu aucune
hésitation à revendiquer la suppression pure et simple de la polygamie
(Mohammed Abdou en Égypte et Allal el fassi au Maroc).
C’est une vision globale qui doit être comprise au niveau du
sens et de l’éthique du Coran, à savoir celle qui érige en priorité les valeurs
universelles de justice, d’égalité et de respect de la dignité humaine.
Revenir sur la vision des hommes et des femmes
au sein de la vision holistique, c’est
revenir sur la vision des « êtres humains » et au bouleversement spirituel qu’a connu la
civilisation humaine avec l’avènement de l’islam à savoir celui de la
« libération » de l’être humain de toutes les oppressions. Le socle
du message coranique se situe là dans cette exigence de justice (el adl :
300 fois dans le Coran) et de libération : c’est ce que l’on retrouve dans
les concepts de « almooustadaafoune fil ard et muhrarran »
La raison, la justice et la liberté de
conviction et (el aql, el adl, huryate
al aquida man chaa falyouamine)sont ces valeurs socles qui sont au cœur de la
foi coranique, que l’islam est venu faire renaitre, des cendres de l’oubli des
messages antérieures et de l’indifférence des cœurs des êtres humains.
C’est à travers ces trois valeurs, véritables fondamentaux de
l’islam, qu’il faudrait relire le Coran aujourd’hui et replacer la thématique
des femmes au cœur de cette exigence
coranique de la libération des êtres humains.
Exemples de concepts clé égalité (…omissis)
Voir documents annexes : versets
égalitaires dans le Coran (…omissis)
Conclusion : Le FI : être féministe musulmane c’est se libérer aussi bien
du patriarcat religieux que politique.
La majorité des femmes musulmanes
d’aujourd’hui aspirent à vivre un islam apaisé, en harmonie avec leurs libertés
individuelles et leur quête de sens. Elles veulent vivre en tant que femmes,
musulmanes, épanouies, actrices de leurs propres changements, de leurs rêves,
et de leurs ambitions…Il est important
de déconstruire et de démystifier l’image stéréotypée du monde musulman mais surtout de
ses femmes à travers des débats réalistes et constants afin de déconstruire
cette approche ethnocentrique de l’histoire des luttes pour l’égalité qui tend
à présenter les femmes occidentales et le référentiel occidental comme étant
les seuls détenteurs des idéaux égalitaristes.
Toutes les luttes humaines pour la justice
sociale, l’égalité et la liberté et ce quelques que soient leurs référentiels,
doivent être respectées et acceptées au sein d’un véritable référentiel
universel humain. Aucune culture ni
civilisation n’a le monopole de l’égalité, de la perfection démocratique ni
encore moins de l’idéal sociétal…La preuve en n’est est que le printemps arabe
a mobilisé hommes et femmes en tant que citoyens /citoyennes et par le biais de
revendications en terme de dignité, égalité et démocratisation de la vie
politique. Même si les lendemains sont incertains encore il reste qu’au sein du
monde arabe et musulman le FI est une chance aussi bien pour les femmes que
pour les hommes, puisque la libération des femmes à partir de leur référentiel
islamique leur permettra de faire aboutir
la transition démocratique en marche actuellement…
[1]
Le statistiche sulle donne nel mondo sono allarmanti: 100 milioni di donne
scomparse in Asia, la tratta delle bianche nel cuore dell’Europa, il fenomeno
della violenza contro le donne (vedi il rapporto di Amnesty International), sul nostro pianeta almeno il 20% delle donne
sono vittime di stupri o di maltrattamenti: in www.aidh.org/Femme/sit_amnesty01.htm.
[2]
Les statistiques sur les femmes dans le
monde sont alarmantes : 100 millions de femmes manquantes en Asie, la
traite des blanches au cœur de l’Europe, le phénomène de la violence contre les
femmes : voir le rapport d’Amnesty International ; sur notre
planète au moins 20% des femmes sont victimes de viols ou de mauvais
traitements ; in www.aidh.org/Femme/sit_amnesty01.htm.
[3]
Vedi per maggiori dettagli l’articolo di
Laetitia Dechaufour, « Introduction
au féminisme postcolonial et genèse de ce courant » :
www.resistingwomen.net.
[4]
Third world différence ; vedi l’articolo supra
[5]
Voir pour plus de détails l’article de Laetitia Dechaufour, « Introduction au féminisme postcolonial et
genèse de ce courant » : www.resistingwomen.net.
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