ottobre 10, 2013

PAKISTAN. "Burka Avenger", la giustiziera in burka che difende i diritti delle donne



La maggior parte dei supereroi indossano mantelli e maschere per nascondere la loro identità. Ma che dire del burka?
Una nuova serie di cartoni animati in Pakistan ha come protagonista una donna che indossa il burka per diventare “Burka Avenger”, ovvero una giustiziera che difende i diritti delle donne.





Burka Avenger è un progetto del pakistano pop star Haroon
Vi proponiamo l’intervista che Haroon ha rilasciato alla CNN
"Il progetto è nato nel 2010 quando lessi molti articoli su scuole femminili che venivano chiuse dagli estremisti”.
"Quando si vive in Pakistan ci si incappa in questi problemi in continuazione. Poi, quando crei l'arte, la musica o qualsiasi altra cosa come una serie di cartoni animati, desideri incorporare messaggi sociali".
Insegnante di giorno, di notte Burqa Avenger utilizza un velo speciale per proteggere le scuole femminili e combattere i cattivi che cercano di chiuderle.
"Burka Avenger di nome Jiya, è una ragazza orfana adottata da un maestro Kabbadi, che è un maestro nell'arte marziale mistica, chiamata Takht Kabbadi: arte del combattimento con i libri e le penne. Dà il messaggio dell'importanza dell’istruzione e che la penna è più potente della spada ", dice Haroon.
“Il burka è un capo controverso. Per alcuni, è un simbolo di oppressione, per altri è un simbolo di libertà dal sessismo, in quanto impedisce che una donna sia vista semplicemente come un oggetto sessuale. Poiché il burka le copre il corpo, la donna è vista come un essere umano non come un oggetto del desiderio”.
"Lei non indossa il burka perché è oppressa. Lei sceglie di vestire il burka per nascondere la propria identità così come i supereroi Batman o Catwoman indossano i loro costumi".
“I talebani hanno sequestrato la religione” dice Haroon “e la usano per la loro propaganda.
“Quando sono venuti a Swat, nel 2007, bruciarono e attaccarono con esplosivi le scuole dei bambini. Questa brutale campagna è stata fermata da un'operazione militare nel 2008 e nel 2009, ma anni dopo, nel 2012, hanno effettuato un attacco che ha sconvolto il mondo: hanno sparato a Malala Yousufzai”.
Haroon afferma che ha scelto il burka anche per combattere coloro che ritengono che rivendicare l’istruzione femminile sia anti-islamico. "Con indosso un burka , dimostra che è una musulmana e una eroina. Difende le cose buone del vero Islam, i valori islamici, che sono l'uguaglianza, i diritti delle donne, l'educazione e la pace. Non l'Islam sequestrato dagli elementi radicali ".
Per dare voce ai personaggi della serie, Haroon ha invitato suoi amici famosi . Alcuni dei più celebri talenti musicali del Medio Oriente: il rapper Adil Omar ha scritto Lady in Black e il rocker Ali Baba Bandook Azmad canta una canzone di uno dei principali personaggi che cercano di chiudere le scuole femminili.
In totale ci sono 13 episodi e ognuno affronta un problema diverso del Pakistan , tra cui la discriminazione, il lavoro minorile, la violenza settaria, la mancanza di energia elettrica e la protezione dell'ambiente.
"Questi sono problemi veramente difficili, e come si può parlare di questi temi a dei bambini? Presentandoli in modo divertente, pieni di avventura  e comicità ", dice Haroon .
La pop star dice che spera che la serie abbia un impatto sui bambini che in Pakistan non sanno leggere o scrivere, o i cui genitori non possono leggere loro le storie della buona notte. E così come le fiabe ogni episodio ha alla fine una morale.
"Mi ricordo che quando ero bambino, mia madre mi leggeva delle storie e alla fine diceva: ' la morale della storia è questa . ' Mi ero abituato a leggere queste storie mentre imparavo a leggere. Esse riecheggiavamo nella mia mente e mi aiutarono a costruire la mia morale e la mia etica " .
"E’ ciò che accade anche in questa serie: alla fine di ogni episodio Burka Avenger arriva e dice: ' ragazzi okay, la morale di questa storia è questa. ' "
Dal sito CNN Latino

mg

ottobre 05, 2013

MIGRAZIONI. Mare chiuso. Strage di Lampedusa. Appello per l'apertura di un canale umanitario






3 ottobre 2013. Strage di Lampedusa. Un barcone di quindici metri, con a bordo circa cinquecento persone si è rovesciato dopo un incendio a bordo. In soccorso ai naufraghi, oltre alla Guardia Costiera, sono arrivati quattro pescherecci. I primi 120 superstiti hanno raggiunto Lampedusa, ma un po' più in là, al largo dell’isola, centinaia di persone tra cui moltissime donne e bambini giacciono in mare sotto il relitto del barcone che si è inabissato.




Melting Pot lancia un appello per

l’apertura di un canale umanitario fino all’Europa per il diritto d’asilo europeo affinché chi fugge dalla guerra possa chiedere asilo alle istituzioni europee senza doversi imbarcare alimentando il traffico di essere umani e il bollettino dei naufragi.

"Nessun appalto dei diritti, nessuna sollevazione di responsabilità ai governi europei, piuttosto la necessità che l’Europa cambi profondamente la sua politica di controllo delle frontiere, di gestione delle crisi umanitarie, la sua politica comune in materia di diritto d’asilo:
convertendo le operazioni di pattugliamento in operazioni volte al soccorso delle imbarcazioni, gestendo in maniera condivisa le domande di protezione superando le gabbie del regolamento Dublino, aprendo canali umanitari che permettano di presentare le richieste di protezione direttamente alle istituzioni europee presenti nei Paesi Terzi per ottenere un permesso di ingresso nell’Unione, dove le domande vengano esaminate con le medesime garanzie previste dall’attuale normativa europea, senza per questo affievolire in alcun modo il diritto di accesso diretto al Vecchio continente e gli obblighi degli Stati Membri"

MIGRAZIONI. Mare chiuso. La Corte Europea dei Diritti Umani condanna l'Italia






Tra maggio 2009 e settembre 2010 oltre duemila migranti africani vennero intercettati nelle acque del Mediterraneo e respinti in Libia dalla Marina e dalla Polizia italiana;  in seguito agli accordi tra Gheddafi e Berlusconi, infatti, le barche dei migranti venivano sistematicamente ricondotte in territorio libico, dove i richiedenti asilo non godevano di alcun diritto e la polizia esercitava indisturbata varie forme di abusi e di violenze. Non si è mai potuto sapere ciò che realmente succedeva ai migranti durante i respingimenti, perché nessun giornalista era ammesso sulle navi e perché tutti i testimoni furono poi destinati alla detenzione in Libia.

Per questi fatti il 23 febbraio 2012  la Corte Europa dei Diritti Umani ha condannato lo Stato Italiano stabilendo che il respingimento verso Tripoli operato dalle navi militari italiane costituisce violazione dell'art. 3(tortura e trattamento inumano) della Convenzione europea dei diritti umani, perché la Libia non offriva alcuna garanzia di trattamento secondo gli standard internazionali dei richiedenti asilo e dei rifugiati e li esponeva anzi ad un rimpatrio forzato. Inoltre la Corte ha condannato lo Stato italiano per violazione del divieto di espulsioni collettive e per non aver offerto alle vittime alcuna effettiva forma di riparazione per le violazioni subite.

Nel marzo 2011 con lo scoppio della guerra in Libia, migliaia di migranti africani sono scappati e tra questi anche i rifugiati etiopi, eritrei e somali che erano stati precedentemente vittime dei respingimenti italiani e che si sono rifugiati nel campo UNHCR di Shousha in Tunisia. Qui Stefano Liberti e Andrea Segre li hanno incontrati perché raccontassero in prima persona cosa vuol dire essere respinti. I loro racconti di grande dolore e dignità, ricostruiti con precisione e consapevolezza sono stati pubblicati nel documentario Mare Chiuso di cui il video soprariportato costituisce una presentazione.  Sono le testimonianze dirette che ancora mancavano sulle violenze e le violazioni commesse dall'Italia ai danni di persone indifese, innocenti e in cerca di protezione. Una strategia politica che ha purtroppo goduto di un grande consenso nell'opinione pubblica italiana.

mg