gennaio 31, 2019

AFRICA. Il 2019 cruciale all'esame della democrazia



Elettori in attesa di votare
Buoni propositi. Promesse. Sempre più le Afriche sono ridotte a un pugno di slogan emotivi che eliminano ogni senso di complessità. Osserviamo, da nord, ciò che accade a sud con il binocolo miope che vede solo terrorismo, migrazioni e povertà. E ogni tentativo di approfondimento è sepolto da perentorie semplificazioni.
Invece, mai come ora, con questo 2019 agli esordi, serve pazienza e attenzione. Perché si apre un anno gonfio di stereotipi da sfatare. Ad esempio, vanno al voto 11 paesi (9 dell’area subsahariana e 2 del Nordafrica): il 28,7% della popolazione africana.
Ma, soprattutto, saranno chiamate alle urne le prime due economie continentali: la Nigeria (oltre 376 miliardi di dollari di Pil, dati Banca mondiale) e il Sudafrica (349 miliardi di Pil). E, a nord, dovranno votare due democrazie dalle fondamenta ancora fragili: Algeria e Tunisia. Resta il dato di fondo: si mette in coda per i seggi metà del Prodotto interno lordo africano. Ecco, quindi, che con il 2019 sarà messo alla prova uno dei luoghi comuni che perseguitano il continente: la politica africana come pratica allergica al dissenso e brutale contro l’opposizione. Dove l’alternanza, quella vera, è privilegio di poche nazioni. Un luogo comune che ha evidenti radici nella storia di molti paesi, che presentano un curriculum politico e civile non irreprensibile. Dove il voto si è travestito da libera espressione di consenso. Mentre, nella sostanza, era solo uno strumento per confermare il potere esistente. Il tempo ha così fatto emergere una contraddizione stridente: un continente con i presidenti più vecchi al mondo e con la popolazione più giovane in assoluto ( ne sono esempi Paul Biya, in Camerun, 85 anni, al potere da 36; Denis Sassou Nguesso, presidente della repubblica del Congo-Brazzaville o Congo francese dal 1979, salvo il periodo 92-97; la dinastia dei Bogo in Gabon che governa il paese da 51 anni ; ndr)
Il 2019 è, dunque, un anno di svolta: o gli equilibri democratici ne usciranno rafforzati, oppure la “democrazia” si confermerà una truffa semantica. Un semplice intercalare fisso che percorre il rude vangelo di 
molti potenti.
L’andamento economico aiuterà (o boicotterà) questo passaggio. Le Afriche escono da alcuni anni (specialmente dal 2014 al 2017) di crisi dovuta al crollo dei prezzi di alcune materie prime (metalli e beni agricoli) e al rafforzamento del dollaro. Secondo Bm il 2019 sarà un anno di assestamento. Ma ciò che temono le istituzioni finanziarie è che si possa nuovamente abbattere sulle Afriche una crisi del debito. A fine 2017, il rapporto debito/Pil in molti paesi ha raggiunto una media del 57%. Quasi il doppio rispetto ai livelli rilevati 5 anni prima. Il peso degli interessi, nello stesso periodo, è passato dal 4 all’11% del bilancio pubblico. Cifre che non si vedevano dagli anni ’90.

Economie strozzate rischiano di prosciugare le speranze di cambiamento.

Crisi del debito
Uno studio del 2018 (Honest Account 2017) dell’organizzazione britannica Global Justice Now mostra, in base ai dati del 2015, quanto siano zavorrate dagli interessi le economie africane: i governi avevano ricevuto prestiti per 32,8 miliardi di dollari, pagando interessi per 18 miliardi. Lo studio stima, poi, che nel 2015 i paesi africani avrebbero ricevuto 161,6 miliardi di dollari tra prestiti, rimesse e aiuti. Ma ne avrebbero persi 203 tra elusione fiscale, pagamento del debito ed estrazioni di risorse. L’Africa, impoverita, avrebbe vantato, quindi, un credito nei confronti del resto del mondo di circa 41,3 miliardi di dollari. 

Per approfondire:

Honest Accounts, come il mondo trae profitto dalle ricchezze dell'Africa

Africa, un corpo vivo dalle vene aperte. Il sistema della fatturazione mendace delle multinazionali


 mg