Vent’anni fa, nel novembre del 1995, lo scrittore e poeta nigeriano
Ken Saro-Wiwa, da anni schierato contro le attivita' della Shell in Nigeria, fu condannato
a morte e impiccato da un tribunale militare insieme altri otto attivisti
ogoni.
Quale la sua colpa? Quella di aver usato la sua
visibilità di scrittore e di produttore televisivo per puntare i riflettori sulla
devastazione ambientale messa in atto dalla Shell nella sua terra, la regione
degli Ogoni nel delta del Niger. Ken Saro Wiwa sottolineava che quello che la
Shell faceva nella sua terra mai e poi mai sarebbe stato lecito in occidente.
La accusava di razzismo ambientale e di genocidio.
Con il suo impegno e la sua determinazione, Saro-Wiwa fondò il MOSOP, il Movimento per la sopravvivenza
del popolo ogoni. Il 4 maggio 1993, in occasione della giornata delle
popolazioni indigene proclamata dalle Nazioni Unite, riuscì a far scendere per
le strade dell’Ogoniland, oltre 300mila persone. Uomini, donne e bambini che,
cantando canzoni di protesta, dichiararono la sussidiaria della Shell in
Nigeria persona non grata.
Prima di morire disse: "Io sono un uomo di pace, di
idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una
terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa
terra" (leggi il suo testamento e la sua poesia).
Nel 2009, quattordici anni dopo la sua morte, il colosso
petrolifero anglo-olandese Shell accettò di pagare 15 milioni e mezzo di
dollari per evitare di comparire in un clamoroso processo in cui era accusata di complicità con l’ex regime militare nigeriano per quel che riguarda
l’esecuzione di Ken Saro-Wiwa e degli altri otto attivisti che si opponevano ai
suoi metodi di estrazione del petrolio.
Purtroppo negli ultimi due decenni la situazione nel delta
del Niger non sembra essere mutata, come certificano autorevoli studi di
organizzazioni internazionali.
Il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, basato su 14 mesi di ricerche e
pubblicato nell’agosto del 2011, illustra il devastante impatto
dell’inquinamento prodotto da mezzo secolo di attività petrolifera sulla vita
della popolazione del Delta del Niger.
“L’inquinamento -si
legge nel rapporto- è penetrato molto in profondità, più di quanto si poteva
immaginare, ed il sottosuolo è
avvelenato anche in zone che in superficie sembrano pulite;
almeno 10 comunità bevono acqua contaminata da idrocarburi
e in una comunità la popolazione prende l’acqua da pozzi contaminati con
benzene, noto cancerogeno, ad un livello che supera di 900 volte quella massima
stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità;
l’impatto del petrolio
sulla vegetazione di mangrovie è
stato disastroso, ha lasciato le piante prive di foglie e steli, con radici
rivestite di uno strato di sostanze bituminose spesso anche un centimetro e
più; le perdite di petrolio causano frequenti incendi che distruggono la
vegetazione e la compromettono anche per gli anni a venire;
l’habitat dei pesci è stato distrutto e molti pescatori e chi si dedicava alla pisci-cultura è stato
rovinato da una cappa galleggiante e permanente di olio;
la contaminazione dell’aria
derivante dalle operazioni dell’industria petrolifera colpisce circa un milione
di persone…
Il rapporto conclude
che per pulire l’area saranno necessari 25 o 30 anni e almeno un miliardo di
dollari che dovrebbero essere erogati dal governo e dalle compagnie
petrolifere, entrambi sotto accusa: il primo per l’inadeguatezza della
normativa in materia di attività estrattiva e le seconde per l’inadeguatezza di
controlli e manutenzione delle infrastrutture petrolifere”
Nel 2013 la compagnia petrolifera Shell è stata
condannata da un tribunale olandese con una sentenza storica a risarcire un
contadino le cui terre erano state inondate dal petrolio.
Ma la lotta intrapresa da Ken Saro Wiwa oltre 20 anni fa non è
ancora finita.
E’ di pochi giorni fa la notizia che governo nigeriano ha
confiscato un’opera d’arte in forma di bus a lui dedicata e che doveva essere
insediata nella città di Bori ."The Bus", questo è il nome della
scultura in metallo che riproduce a grandezza naturale un autobus stilizzato sui
cui lati è inciso il celebre j’accuse dell’attivista: “accuso le compagnie petrolifere di praticare un genocidio contro gli ogoni” (Fonte: unimondo).