novembre 29, 2015

NIGERIA. "Accuso le compagnie petrolifere di praticare il genocidio degli Ogoni"



Vent’anni fa, nel novembre del 1995, lo scrittore e poeta nigeriano Ken Saro-Wiwa, da anni schierato contro le attivita' della Shell in Nigeria, fu condannato a morte e impiccato da un tribunale militare insieme altri otto attivisti ogoni.
Quale la sua colpa? Quella di aver usato la sua visibilità di scrittore e di produttore televisivo per puntare i riflettori sulla devastazione ambientale messa in atto dalla Shell nella sua terra, la regione degli Ogoni nel delta del Niger. Ken Saro Wiwa sottolineava che quello che la Shell faceva nella sua terra mai e poi mai sarebbe stato lecito in occidente.
La accusava di razzismo ambientale e di genocidio.
Con il suo impegno e la sua determinazione, Saro-Wiwa fondò il MOSOP, il Movimento per la sopravvivenza del popolo ogoni. Il 4 maggio 1993, in occasione della giornata delle popolazioni indigene proclamata dalle Nazioni Unite, riuscì a far scendere per le strade dell’Ogoniland, oltre 300mila persone. Uomini, donne e bambini che, cantando canzoni di protesta, dichiararono la sussidiaria della Shell in Nigeria persona non grata.
Prima di morire disse: "Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra" (leggi il suo testamento e la sua poesia).
Nel 2009, quattordici anni dopo la sua morte, il colosso petrolifero anglo-olandese Shell accettò di pagare 15 milioni e mezzo di dollari per evitare di comparire in un clamoroso processo in cui era accusata di complicità con l’ex regime militare nigeriano per quel che riguarda l’esecuzione di Ken Saro-Wiwa e degli altri otto attivisti che si opponevano ai suoi metodi di estrazione del petrolio.
Purtroppo negli ultimi due decenni la situazione nel delta del Niger non sembra essere mutata, come certificano autorevoli studi di organizzazioni internazionali.
Il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambientebasato su 14 mesi di ricerche e pubblicato nell’agosto del 2011, illustra il devastante impatto dell’inquinamento prodotto da mezzo secolo di attività petrolifera sulla vita della popolazione del Delta del Niger.
“L’inquinamento -si legge nel rapporto- è penetrato molto in profondità, più di quanto si poteva immaginare, ed il sottosuolo è avvelenato anche in zone che in superficie sembrano pulite;
almeno 10 comunità bevono acqua contaminata da idrocarburi e in una comunità la popolazione prende l’acqua da pozzi contaminati con benzene, noto cancerogeno, ad un livello che supera di 900 volte quella massima stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità;
l’impatto del petrolio sulla vegetazione di mangrovie è stato disastroso, ha lasciato le piante prive di foglie e steli, con radici rivestite di uno strato di sostanze bituminose spesso anche un centimetro e più; le perdite di petrolio causano frequenti incendi che distruggono la vegetazione e la compromettono anche per gli anni a venire;
l’habitat dei pesci è stato distrutto e molti pescatori e chi si dedicava alla pisci-cultura è stato rovinato da una cappa galleggiante e permanente di olio;
la contaminazione dell’aria derivante dalle operazioni dell’industria petrolifera colpisce circa un milione di persone…
Il rapporto conclude che per pulire l’area saranno necessari 25 o 30 anni e almeno un miliardo di dollari che dovrebbero essere erogati dal governo e dalle compagnie petrolifere, entrambi sotto accusa: il primo per l’inadeguatezza della normativa in materia di attività estrattiva e le seconde per l’inadeguatezza di controlli e manutenzione delle infrastrutture petrolifere”

Nel 2013 la compagnia petrolifera Shell è stata condannata da un tribunale olandese con una sentenza storica a risarcire un contadino le cui terre erano state inondate dal petrolio.

Ma la lotta intrapresa da Ken Saro Wiwa oltre 20 anni fa non è ancora finita.
E’ di pochi giorni fa la notizia che governo nigeriano ha confiscato un’opera d’arte in forma di bus a lui dedicata e che doveva essere insediata nella città di Bori ."The Bus", questo è il nome della scultura in metallo che riproduce a grandezza naturale un autobus stilizzato sui cui lati è inciso il celebre j’accuse dell’attivista: “accuso le compagnie petrolifere di praticare un genocidio contro gli ogoni” (Fonte: unimondo). 
Guarda i video "Il petrolio della Nigeria" nel nostro blog
mg

novembre 11, 2015

"We are many", il documentario sulla protesta globale del 15 febbraio 2003 contro la guerra in Iraq.




Il 15 febbraio 2003 milioni di persone in 800 città del mondo manifestarono contro l’imminente (e poi realizzata) invasione americana dell’Iraq, nella più grande protesta globale della storia.

Dall’Asia, passando per la Russia, fino all’Africa e al Medio Oriente, per arrivare in Europa e poi su, in America, per le strade di New York. Una manifestazione lunga un week end, con le città che si riempivano seguendo i fusi orari.

In Italia 3 milioni di bandiere della pace riempirono il Circo Massimo.

Era in gioco il sistema dei valori universali riconosciuti. L’opinione pubblica mondiale quel giorno rese evidente che la guerra era immorale, ingiusta e illegale. Aveva capito che celava interessi e piani geopolitici che andavano ben al di là delle dichiarazioni rese dai capi di governo.

“No blood for oil” era lo slogan scandito nelle piazze. Il 17 febbraio 2003 il New York Times scrisse che la mobilitazione del 15 lanciava un messaggio chiaro: “Nel mondo esistono due superpotenze: gli Stati Uniti d’America, e l’opinione pubblica mondiale”.

Il 12 settembre 2002 il presidente George W. Bush, davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, aveva accusato il governo di Saddam Hussein di nascondere “armi di distruzione di massa” e definito “necessaria la liberazione del paese”.
L’accusa, di nascondere “armi di distruzione di massa” venne, come è noto, ben presto clamorosamente smentita. Lo stesso Tony Blair, all’epoca alleato di ferro di  George W. Bush, ammette oggi che l'aver abbattuto Saddam Hussein ha contribuito alla creazione dell’ISIS!

Nonostante l’opposizione mondiale, le manifestazioni di massa e le resistenze dell’Onu, il 20 marzo 2003 gli Stati Uniti – con il sostegno di Gran Bretagna, Australia e Polonia, e affiancati da una ‘coalizione di volenterosi’ composta da 48 paesi, tra cui l’Italia – invadevano l’Iraq.


Il nuovo documentario "We Are Many", del regista inglese di origini iraniane Amir Amirani, candidato all’Oscar nella categoria di miglior documentario, ripercorre quegli eventi e dimostra come quell’apparente fallimento abbia in realtà cambiato per sempre il mondo (Fonte: Pressenza. Continua a leggere).


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