novembre 11, 2015

"We are many", il documentario sulla protesta globale del 15 febbraio 2003 contro la guerra in Iraq.




Il 15 febbraio 2003 milioni di persone in 800 città del mondo manifestarono contro l’imminente (e poi realizzata) invasione americana dell’Iraq, nella più grande protesta globale della storia.

Dall’Asia, passando per la Russia, fino all’Africa e al Medio Oriente, per arrivare in Europa e poi su, in America, per le strade di New York. Una manifestazione lunga un week end, con le città che si riempivano seguendo i fusi orari.

In Italia 3 milioni di bandiere della pace riempirono il Circo Massimo.

Era in gioco il sistema dei valori universali riconosciuti. L’opinione pubblica mondiale quel giorno rese evidente che la guerra era immorale, ingiusta e illegale. Aveva capito che celava interessi e piani geopolitici che andavano ben al di là delle dichiarazioni rese dai capi di governo.

“No blood for oil” era lo slogan scandito nelle piazze. Il 17 febbraio 2003 il New York Times scrisse che la mobilitazione del 15 lanciava un messaggio chiaro: “Nel mondo esistono due superpotenze: gli Stati Uniti d’America, e l’opinione pubblica mondiale”.

Il 12 settembre 2002 il presidente George W. Bush, davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, aveva accusato il governo di Saddam Hussein di nascondere “armi di distruzione di massa” e definito “necessaria la liberazione del paese”.
L’accusa, di nascondere “armi di distruzione di massa” venne, come è noto, ben presto clamorosamente smentita. Lo stesso Tony Blair, all’epoca alleato di ferro di  George W. Bush, ammette oggi che l'aver abbattuto Saddam Hussein ha contribuito alla creazione dell’ISIS!

Nonostante l’opposizione mondiale, le manifestazioni di massa e le resistenze dell’Onu, il 20 marzo 2003 gli Stati Uniti – con il sostegno di Gran Bretagna, Australia e Polonia, e affiancati da una ‘coalizione di volenterosi’ composta da 48 paesi, tra cui l’Italia – invadevano l’Iraq.


Il nuovo documentario "We Are Many", del regista inglese di origini iraniane Amir Amirani, candidato all’Oscar nella categoria di miglior documentario, ripercorre quegli eventi e dimostra come quell’apparente fallimento abbia in realtà cambiato per sempre il mondo (Fonte: Pressenza. Continua a leggere).


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mg

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