ottobre 29, 2014

IRAN. Reyhaneh Jabbari giustiziata per aver difeso la verità. La sua ultima volontà: il mondo deve sapere.


All’alba di sabato 25 ottobre la 26enne Reyhaneh Jabbari, nonostante la mobilitazione internazionale che un mese fa aveva fatto sospendere l’esecuzione,  è stata giustiziata con l’impiccagione nel carcere di Teheran dove era richiusa da sette anni. Arrestata nel 2007 quando aveva 19 anni, era stata condannata a morte per avere ucciso  l’uomo che aveva cercato di violentarla: Morteza Abdoladi Sarbandi, ex dipendente dell'intelligence iraniana

Il fatto che si fosse trattato di legittima difesa non è stato riconosciuto dal tribunale che ha giudicato Reyhaneh colpevole di omicidio premeditato a conclusione di un processo viziato da gravi irregolarità come aveva denunciato il Relatore Speciale per i Diritti Umani in Iran delle Nazioni Unite
  
Reyhaneh avrebbe potuto aver salva la vita se avesse ritrattato l’accusa di aver subito un tentativo di stupro come le era stato richiesto dalla famiglia della vittima in cambio del perdono, ma lei ha rifiutato di farlo. L’ordinamento della Repubblica Islamica dell’Iran prevede infatti che la pena capitale sia annullata se i familiari della vittima concedono il perdono. E’ l’istituto del qisas del diritto islamico.




Prima di morire Reyhaneh ha reso questa ultima testimonianza affinché il mondo sappia...

“Io sono Reyhaneh Jabbari e ho 26 anni. Con la corda dell’impiccagione davanti a me di cui non ho paura. Se scrivo è solo per raccontare ciò che mi è accaduto, senza aggiungere né togliere niente.

Voglio dirvi tutto ciò che ho detto nei tribunali e non hanno voluto capire, tutte le percosse che ho ricevuto senza pietà da quattro inquisitori che si credevano  Dio e non mi sentivano mentre urlavo: ora voglio dirvelo.

Voglio che le persone sappiano e poi giudichino, voglio che sentano e poi se vorranno, stringano la corda più forte intorno al mio collo. Voglio che sappiano cos’è successo  a me quando avevo 19 anni e che ora non ho paura della morte. Voglio parlare, affinché sappiano come si è strozzato in gola il mio grido. Il motivo per cui oggi vengo chiamata assassina, accusata da una sentenza ottenuta con menzogne.

Io, Reyhaneh, una ragazza di 26 anni, mi trovo attualmente dentro il carcere di Shahrerey, aspetto la fine della mia vita. (...) Diverse volte ho voluto scrivere ma ho sempre abbandonato perché mettere una lama su questa ferita vecchia fa più male, ma in questa notte senza fine, reparto  due del carcere di Shahrerey, sotto la luce artificiale e nel silenzio del carcere vomito il dolore senza rumore. (...) Non ho altre vie che non parlare: se non parlo muoio. Forse così il dolore finirà. (...) In tutti questi anni ho fatto finta di esistere, trasformavo solo la notte in giorno e il giorno in notte, la mia anima è morta. La mia anima pura morì a 19 anni, per molte notti ho affrontato incubi. (...) In questi anni ho imparato che la morte è la fine del dolore di molti. E forse un nuovo inizio. Io Reyhaneh Jabbari di 26 anni non ho paura della morte: però Reyhaneh a 19 anni aveva paura”. 


Ed il mondo ancora una volta ha saputo, attraverso il gesto estremo del sacrificio di una vita, quanto difficile sia per una donna far valere la verità e ottenere giustizia contro la violenza subita e quanto la giustizia può diventare altrettanto violenta dello stupratore nei confronti della donna, come commentò l'avvocata Tina Lagostena Bassi, difensora di parte civile nel famoso "processo per stupro" celebrato in Italia nel 1978 e trasmesso in TV sotto forma di documentario.   





Reyhaneh non è stata creduta a dispetto delle numerose risultanze processuali che provavano la sua versione dei fatti. Non è stata creduta perché l’onore del suo carnefice veniva prima della verità. E così da vittima è diventata imputata di un delitto punibile nel suo paese con la pena capitale.

Ancora una volta il mondo è stato testimone  delle aberrazioni a cui può arrivare “il patriarcato, la dominazione sistemica della donna da parte dell’uomo” che alligna, seppure con modalità e intensità differenti, a livello globale e attraversa frontiere, razze, classi e religioni (queste le conclusioni a cui è pervenuto lo "Studio a fondo su tutte le forme di violenza contro la donnadelle Nazioni Unite). 

Oggi in occidente l’intreccio fra patriarcato e ultraliberalismo ha prodotto nuove forme moderne di sfruttamento della donna (tratta, donna oggetto, donna merce), mentre nel mondo islamico la donna è diventata l’ultimo baluardo dell’identità musulmana da difendere da parte di società minacciate da altre situazioni di precarietà geopolitica ed economica (così Asma Lamrabet, Islam e femminismo, in questo blog)   

Ma il mondo ha anche appreso che persino in un paese blindato come l’Iran le donne sono capaci di lanciare la loro sfida alla violenza del potere patriarcale.



Le donne iraniane non hanno paura scrive il premio Nobel Shirin Ebadi 

Oggi l’Iran è un paese dove le donne sono più istruite rispetto ai loro connazionali maschi; più del 60% degli studenti universitari sono donne, così come molti docenti universitari. Le donne iraniane sono medici ed avvocati ed hanno ottenuto il diritto a votare e a divenire membri del parlamento mezzo secolo fa, prima delle donne svizzere che hanno ottenuto questo diritto nel 1971.

L’Iran è un paese di donne consapevoli e istruite, che stanno lottando per i propri diritti.







mg

vedi anche 

Tunisia. Il caso della ragazza violentata e accusata per oltraggio al pudore..

Tunisia. Con un consenso quasi plebiscitario approvata la nuova costituzione che garantisce la parità di genere

Marocco. Amina Filali e Fadoua Laroui. Dignità e Giustizia per le donne a costo della vita

Egitto. Stupri di massa come arma di guerra

Egitto. Protesta globale contro il terrorismo sessuale esercitato sulle manifestanti egiziane

La Primavera Araba è donna

Afghanistan. Lal Bibi, la ragazza afghana che sfida le tradizioni tribali che schiavizzano la donna


IRAN. In migliaia, donne e uomini, manifestano contro gli attacchi con l'acido alle donne


In migliaia, donne e uomini, hanno manifestato nella città iraniana di Isfahan per protestare contro la recente ondata di attacchi con l’acido che viene spruzzato sui volti delle ragazze considerate non adeguatamente vestite secondo i canoni del regime. Gli attacchi vengono compiuti da bande di motociclisti che si sospetta siano affiliate e comunque tollerate dalle autorità, versione questa che è stata però categoricamente smentita dal governo e dai media ufficiali.  



A seguito delle manifestazioni la Magistratura iraniana si è impegnata a prendere seri e tempestivi provvedimenti promettendo la punizione più dura possibile per i colpevoli.