ottobre 31, 2012

NIGERIA, Delta del Niger, quattro contadini portano la Shell davanti ai giudici dell’Aja per disastro ambientale









Il prossimo 30 gennaio il tribunale civile dell’Aja si pronuncerà nella causa intentata da quattro contadini nigeriani contro la multinazionale anglo-olandese Royal Dutch Shell. L’accusa è di aver inquinato campi coltivati e corsi d’acqua a causa di fuoriuscite di petrolio.  “Hanno ucciso la pesca e distrutto il bosco, il mio paese è adesso una terra fantasma” dice Eric Dooh, abitante di Goi, uno dei villaggi più colpiti.

E’ il primo caso che vede un processo realizzarsi a carico di un’impresa con sede centrale in Europa per contaminazione prodotta in un paese terzo. Un precedente che potrebbe facilitare l’avvio di altri processi contro altre industrie petrolifere che contaminano fuori del proprio territorio.

Il Niger è il terzo fiume dell’Africa e il suo delta occupa 70.000 kilometri quadrati. Con 31 milioni di abitanti è tra le riserve naturali più ricche di flora e fauna del continente africano. Tuttavia a partire dal 1958 vi ha cominciato ad operare l’industria petrolifera dopo la scoperta di ingenti giacimenti di petrolio da parte dell’allora Shell British Petroleum (attuale Royal Dutch Shell). Oggi i settori del gas e del petrolio costituiscono il 79,5% del bilancio del paese, una ricchezza che però non arriva alla popolazione. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo oltre il 60% della popolazione locale continua infatti a dipendere per il suo sostentamento dall’ambiente naturale e vive di pesca ed agricoltura, attività rese oggi pressoché impossibili dalle devastazioni dell’acqua e della terra prodotte dalla scriteriata attività delle compagnie petrolifere.

Il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, basato su 14 mesi di ricerche e pubblicato nell’agosto del 2011, illustra il devastante impatto dell’inquinamento prodotto da mezzo secolo di attività petrolifera sulla vita della popolazione del Delta del Niger.

L’inquinamento -si legge nel rapporto- è penetrato molto in profondità, più di quanto si poteva immaginare, ed il sottosuolo è avvelenato anche in zone che in superficie sembrano pulite; almeno 10 comunità bevono acqua contaminata da idrocarburi e in una comunità la popolazione prende l’acqua da pozzi contaminati con benzene, noto cancerogeno, ad un livello che supera di 900 volte quella massima stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; l’impatto del petrolio sulla vegetazione di mangrovie è stato disastroso, ha lasciato le piante prive di foglie e steli, con radici rivestite di uno strato di sostanze bituminose spesso anche un centimetro e più; le perdite di petrolio causano frequenti incendi che distruggono la vegetazione e la compromettono anche per gli anni a venire; l’habitat dei pesci è stato distrutto e molti pescatori e chi si dedicava alla pisci-cultura è stato rovinato da una cappa galleggiante e permanente di olio; la contaminazione dell’aria derivante dalle operazioni dell’industria petrolifera colpisce circa un milione di persone…Il rapporto conclude che per pulire l’area saranno necessari 25 o 30 anni e almeno un miliardo di dollari che dovrebbero essere erogati dal governo e dalle compagnie petrolifere, entrambi sotto accusa: il primo per l’inadeguatezza della normativa in materia di attività estrattiva e le seconde per l’inadeguatezza di controlli e manutenzione delle infrastrutture petrolifere.
Dell’industria petrolifera nel Delta del Niger fanno parte oltre alla Royal Dutch Shell e al governo della Nigeria, altre succursali di compagnie multinazionali quali Eni, Chevron, Total ed Exxon Mobil.

mg

ottobre 19, 2012

PAKISTAN: "Allah salvi Malala", il paese unito contro la violenza talebana




“Dateci penne oppure i terroristi metteranno in mano alla mia generazione le armi”.

Questa frase è di Malala Yousufzai, 14 anni, la giovanissima studentessa a cui un gruppo di talebani ha sparato alla testa il 9 ottobre scorso all’uscita da scuola. Il fatto è avvenuto nella valle dello Swat, nel nord-ovest del Pakistan, regione ancora controllata dai talebani.
Malala è stata presa di mira dai talebani a causa della sua battaglia a favore dell'istruzione per le ragazze. Da quando aveva 11 anni gestisce un blog su internet in cui denuncia i soprusi dei talebani nella valle dello Swat soprattutto nei confronti delle donne ed è diventata un simbolo per tante donne e bambine nel Pakistan delle aree tribali.
Lo scorso anno aveva ottenuto il primo premio per la pace dal governo pakistano.
Dopo l’attentato Malala è stata ricoverata d’urgenza a Mingora, la città principale dello Swat, e quindi  trasportata con un elicottero governativo messo a disposizione dal premier pakistano Raja Pervez Ashraf nell’ospedale di Peshawar. Da lunedì è stata trasferita con un aereo-ambulanza degli Emirati Arabi nell'ospedale Queen Elizabeth a Birmingham, nel Regno Unito. Le condizioni di Malala migliorano. I medici  non ritengono che abbia subito danni cerebrali e pensano che abbia buone  probabilità di recupero.
Il governo del pakistano ha condannato l’attentato compiuto e rivendicato dai talebani ed ha fissato una taglia per la cattura dei responsabili. Centinaia sono stati finora gli arresti.
Intanto una grande campagna di solidarietà e di protesta contro la violenza dei talebani ha scosso l'intero Pakistan. Venerdì nelle moschee si è pregato “Allah salvi la giovane Malala” e il paese si è fermato per osservare un minuto di silenzio.
Malala ha davvero vinto la sua battaglia.
Nel mondo 39 milioni di ragazze, tra gli 11 e i 15 anni, ovvero una su tre, non sono scolarizzate. Soggette a subire una doppia discriminazione, di genere e di età, sono il gruppo più marginalizzato del mondo. Molte di loro subiscono costrizioni e abusi, vengono obbligate a sposarsi con degli uomini magari anche molto più grandi di loro. Vivono una realtà fatta di isolamento e soffrono violenze in famiglia. Per questo le Nazioni Unite anno indetto una Giornata Internazionale delle Bambine che a partire da quest’anno viene celebrata l'11 ottobre.

mg

ottobre 05, 2012

TUNISIA, il caso della ragazza violentata accusata di oltraggio al pudore. La collera della popolazione e le scuse del presidende della Repubblica Marzouki







Il 26 settembre a Ain Zaghwan, sobborgo balneare e residenziale tra Cartagine e Rawad, una ragazza è stata violentata da due agenti di polizia in servizio, mentre il loro collega neutralizzava il compagno della ragazza e lo ricattava. La coppia era stata sorpresa flirtare e perciò la ragazza violentata è stata denunciata dagli stessi funzionari di polizia per oltraggio al pudore e alla morale. Leggi l'articolo di Abdelwahab Meddeb: viol a Tunis 

Diverse organizzazioni, tra cui l' Asssociazione tunisina delle donne democratiche, la Lega tunisina per la difesa dei diritti umani e del Consiglio nazionale per le libertà, hanno fermamente reagito di fronte a questo episodio di estrema gravità che tenta di trasformare una vittima in imputato all'evidente scopo di dissuaderla dal presentare una denuncia nei confronti degli aggressori.
L'episodio ha suscitato sdegno fra l'interna popolazione e una grande manifestazione di protesta si è svolta davanti al tribunale il 2 ottobre, giorno in cui era previsto l'interrogatorio della ragazza.
Al termine dell'udienza l'avvocata della ragazza, Monia Bousselmi, ha dichiarato di avere fiducia nella giustizia e di essere ottimista che l’accusa verrà archiviata. L'avvocata ha poi sottolineato la “responsabilità storica” che ha il giudice investito del caso, dato che "il mondo intero attende la sua decisione che sarà decisiva per l’instaurazione dello stato di diritto in Tunisia".
Il Presidente della Repubblica, Marzouki, ha ricevuto la ragazza e il suo fidanzato per presentare le scuse del governo tunisino per la violenza subita ed ha fermamente condannato l'episodio affermando che esso getta disonore sui loro autori, mentre ha salutato le forze di sicurezza che hanno rifiutato di coprire il comportamento dei colleghi. Il Presidente ha quindi assicurato che seguirà da vicino questo caso in modo che siano garantiti il rispetto dei diritti e la fiducia da parte dei tunisini nelle loro istituzioni statali.

mg