dicembre 28, 2017

NIGER. I fondi destinati a combattere la povertà usati per militarizzare il paese e controllarne le risorse



La notizia di un’imminente missione italiana militare in Niger con lo scopo di combattere il traffico di migranti e il terrorismo, annunciata ufficialmente dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni al termine del G5 Sahel  di Parigi (l’incontro tra i cinque paesi del Sahel: Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger e i capi di stato di Francia, Germania e Italia) fa accendere i riflettori su quella che è l’attuale politica dell’UE in questa zona strategica del continente africano  e sugli interessi che tale politica cela.

          Nell’articolo In Niger l’UE si traveste da benefattrice per non fare il lavoro sporco”, pubblicato nel n.11/17 di Limes, Andrea De Gregorio (Ispi Associate Research Fellow su terrorismo nel Shael), spiega come la pletora dei c.d. aiuti ‘allo sviluppo’ erogati al Niger, abbia in realtà come vero obiettivo quello bloccare i migranti e accaparrarsi le risorse di questo paese. 

“Se il binomio minaccia terroristica globale-gestione dei flussi migratori funge da pretesto per la crescente militarizzazione del Niger”, afferma De Gregorio, “gli interessi nascosti di alcune potenze mondiali qui impegnate sembrano invece rappresentare mire di natura neo-coloniale. Sfruttamento delle risorse locali (uranio, gas naturale, oro e diamanti, n.r.d.) e creazione di basi militari per il controllo di vasti territori strategici sono i veri pilastri della «corsa al Niger», una partita diventata negli ultimi mesi decisiva nella ridefinizione delle sfere d’influenza nel Sahel e, più in generale, nell’intera Africa occidentale. La pressione della Cina e di altri nuovi attori regionali, quali Sudafrica e India, sta spingendo le potenze occidentali a un rinnovato impegno militare e diplomatico in Niger...”

Francia, Stati Uniti e Germania sono gli attori principali e l’Italia non vuole rimanere indietro.


Limes, n.11/2017

           Il Niger figura fra gli Stati che sono considerati  beneficiari “prioritari” degli aiuti “allo sviluppo” stanziati dal Fondo Fiduciario di Emergenza per l’Africa (EUTF).  Tale Fondo, istituito nell’ottobre  2015 in occasione del vertice euro-africano tenutosi a La Valletta  con l’obiettivo di finanziare con rapidità iniziative per «affrontare le cause profonde delle migrazioni irregolari», ammonta ad a 2,8 miliardi di euro di cui l’80% è preso dall’European Development Fund (FES), il fondo principale per gli aiuti europei allo sviluppo il quale vede conseguentemente ridotte le sue capacità d’azione nel lungo periodo.

Sviamento di fondi

           In tal modo quest’ultimo fondo, che per la legge europea dovrebbe essere deputato alla lotta alla povertà e allo sviluppo sostenibile per affrontare sfide di tipo strutturale  e di lungo periodo dei Paesi africani, viene usato per un intento sostanzialmente politico, quello di porre un freno al fenomeno migratorio nel breve periodo. Ciò che avviene attraverso una vera e propria militarizzazione del paese che, in ultima analisi, appare destinata al controllo del territorio e delle risorse.

Questo denaro, infatti, va a finire per la fornitura di attrezzature militari, la formazione di forze di polizia, l’istituzione di centri di detenzione per migranti e sistemi per la raccolta di dati biometrici, anziché per scuole, acqua potabile, assistenza sanitaria, etc. 


Di fatto – come denuncia un rapporto di Global Health Advocates - alcuni paesi hanno aumentato il proprio bilancio per la sicurezza e la difesa, a discapito di investimenti in settori chiave come istruzione e salute. In Niger il Fondo Monetario Internazionale ha registrato che nel 2015, quando è stata approvata, sotto pressione dei partner europei, una legge ad hoc sulla lotta al traffico di migranti sono stati tagliati i fondi per la salute e l’educazione e dirottati sulle politiche di sicurezza.

La piaga della corruzione: corrotti e corruttori

        Una deviazione di fondi quella attuata dal Fondo Fiduciario di Emergenza fortemente criticata dal Parlamento Europeo che ne ha denunciata la poca trasparenza e ha inoltre messo in guardia circa l'invio di denaro verso Stati autoritari e corrotti.

Durante la conferenza ad alto livello "per un Nuovo Partenariato con l'Africa", organizzata dal Parlamento europeo il 22 novembre scorso ad una settimana dal quinto Vertice Africa–Ue di Abidjan, il filantropo multimiliardario sudanese Mohammed ‘Mo’ Ibrahim ha messo il dito nella piaga della corruzione. “Noi africani -ha detto- siamo consapevoli delle nostre responsabilità. Sappiamo che questa è la nostra battaglia, ma da parte vostra abbiamo bisogno di più trasparenza. Un politico africano di certo non si corrompe da solo, no?” (v.p.es. il caso "uranium-gate" che ha coinvolto Areva). Ha quindi spiegato che se l’Europa non si decide a combattere l’esistenza dei paradisi fiscali dove i governanti africani nascondono i propri soldi e i casi di corruzione di quegli stessi governanti da parte dei “businessman europei”, un partenariato tra Europa e Africa è praticamente inutile. Nonostante le più buone intenzioni.

Una forma di neocolonialismo

        Il rapporto di monitoraggio sul Fondo Fiduciario d’Emergenza per l’Africa pubblicato quest’anno da CINI (Coordinamento Italiano NGO Internazionali) e  CONCORD (Network delle ONG in Europa per lo sviluppo e l’emergenza) mette in rilievo quali sono i punti critici della gestione del Fondo che viene per lo più attuata secondo una tipica logica neocoloniale. Ciò a conferma della reale finalità del Fondo, destinato a soddisfare più gli interessi europei che a combattere la povertà dei paesi africani. Infatti, si legge nel rapporto:  

“I progetti (finanziati dal Fondo n.r.d.) sono ideati direttamente dagli Stati membri e a Bruxelles, riflettendo le priorità nazionali europee.

Il processo di selezione non è trasparente e soggetto a pressioni da parte degli Stati membri, che spingono per l’ammissione a finanziamento dei propri progetti.

I fondi ritornano quindi negli Stati e nelle loro agenzie di attuazione.

Inoltre, spesso, soprattutto nelle fasi iniziali, diversi progetti possono risultare lontani dai bisogni locali e privi di una visione a tutto tondo.

Gli attori locali sono raramente consultati, e comunque questo avviene solo quando le decisioni sono già state prese”


Effetti distorsivi in termini di sviluppo

           Il risultato di tale gestione, conclude il rapporto citando i casi studio sulla Libia e sul Niger, è che la politica dell’EUTF, contestata oltretutto dalla maggioranza delle organizzazioni della società civile africane, può generare gravi effetti avversi in termini di sviluppo, di tutela dei diritti umani e della stessa gestione delle migrazioni. I progetti, essendo frutto delle priorità politiche dei paesi europei, rischiano di alimentare governi inadeguati, di incoraggiare attività di contrabbando e traffico di esseri umani più rischiose per i migranti, di facilitare le politiche di detenzione e violazione dei diritti umani, di limitare l’impatto economico positivo della migrazione regolare e di impedire ai rifugiati di accedere alla protezione di cui hanno bisogno.

Viene infine sottolineato come  la parola “emergenza” cui fa riferimento il Fondo Eutf sia una contraddizione in termini, dato che  la vera emergenza in Africa e in particolare in Niger è lo sviluppo e la lotta alla povertà che non possono essere risolti rapidamente, ma richiedono  processi di lungo periodo e soluzioni di carattere strutturale.

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mg