dicembre 29, 2014

IRAN. Istituito il servizio di taxi gestito da donne





Mentre in Arabia Saudita alle donne è fatto divieto di guidare, in Iran è stato istituito un servizio di taxi gestito da sole donne. I “taxi rosa” sono identificati dal colore verde e si caratterizzano per essere utilizzati soprattutto dalle donne che affermano di sentirsi più sicure se al volante c’è una donna.

Le esigenze della vita moderna provocano in Iran contrapposizioni continue tra i modelli culturali patriarcali islamici e le condizioni di vita femminili. Una caratteristica della cultura  iraniana è che il forte senso della tradizione si accompagna ad una altrettanto forte fede nel progresso, nella scienza e nel sapere, che è condivisa da tutti i gruppi politici. E così nemmeno la politica integralista del presidente Ahmadinejad è riuscito a rimandare le donne al focolare.

Le donne sono il motore del cambiamento sociale in Iran, ha detto Shirin Ebadipremio Nobel per la pace, che è diventata il simbolo del movimento femminista iraniano.


Ci sono donne a Teheran che dirigono ospedali e giornali, che lavorano come ingegneri dei cantieri di costruzione, che sono a capo dei reparti femminili della polizia. Le ragazze sono il 65 per cento degli studenti universitari. E ai test per l'ammissione alle università (tutte a numero chiuso) le ragazze sono ogni anno più del 60 per cento e i ragazzi meno del 40 per cento degli ammessi tanto che il regime ha deciso di fissare delle quote azzurre, in modo da assicurare la presenza di più maschi negli atenei. Molti deputati conservatori che vorrebbero la divisione per sesso tra i medici (le donne medico a loro avviso dovrebbero riservare le loro prestazioni alle pazienti femmine) hanno visto un nuovo pericolo nella crescita delle donne medico. Lo stesso per quanto riguarda farmacisti e dentisti, tra i quali i laureati sono già al 60 per cento donne (da la Repubblica.it esteri, leggi tutto).

mg

ARABIA SAUDITA. Hisham Fageeh, "No Woman, No Drive"




Hisham Fageeh è un comico e attivista sociale saudita, nato a Riyad il 26 ottobre 1987. Nel giorno del suo 26° compleanno, il 26 ottobre 2013, giornata scelta dalle attiviste saudite per sfidare il divieto di guida, ha pubblicato su YouTube la canzone "No Woman, No Drive", "remake" della famosissima canzone di Bob Marley "No Woman, No Cry", a sostegno della lotta delle donne saudite per il diritto di guidare, a dimostrazione che quella del divieto di guida per le donne non è solo una questione femminile.


No donna, no guida
No donna, no guida
No donna, no guida
No donna, no guida

 Eh, eh,
 Eh, ricordo quando te ne stavi seduta
 Nell'auto di famiglia, ma sul sedile dietro
 Le uova, le ovaie tutte belle al sicuro
 Così puoi fare un sacco di bambini

 Buoni amici avevamo, buoni amici abbiamo perso
 Sull'autostrada
 In questo futuro luminoso
 Non puoi dimenticare il passato
 Quindi metti via le chiavi della macchina

 No donna, no guida
 No donna, no guida
 Hey, sorellina, non toccare quel volante
 No donna, no guida

 Ricordo quando te ne stavi seduta
 Nell'auto di famiglia, ma sul sedile dietro
 Certo l'autista può portarti dappertutto
 Perché le regine non guiiiiidano

 Però puoi prepararmi il pranzo
 Che potrei dividere con te
 Il tuo unico mezzo di trasporto sono i piedi
 Ma solo dentro casa
 E quando te lo dico io, insomma!

 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene

 No donna, no guida
 No donna, no donna, no guida
 Hey, sorellina, non toccare quel volante
 No donna, no guida.

ARABIA SAUDITA. Women to Drive, per il diritto di condurre la propria vita





Nuovo giro di vite in Arabia Saudita contro le donne al volante, un comportamento considerato una forma eccessiva di emancipazione femminile. Dovranno comparire davanti ad un tribunale che si occupa di «terrorismo» le due militanti arrestate recentemente per aver difeso il diritto delle donne a guidare. Una delle due donne è Loujain Hathloul, che era stata arrestata il primo dicembre, dopo essere stata fermata alla frontiera tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti da dove proveniva a bordo di un’auto. La seconda è la giornalista Maysaa Alamoudi, anche lei saudita ma trasferitasi negli Emirati, arrestata per aver difeso Loujain. «Il loro caso sarà portato davanti ad un tribunale anti-terrorismo», ha detto un attivista precisando che i loro avvocati sono pronti a ricorrere in appello. Le due donne hanno creato un programma su Youtube contro il divieto per le donne di stare al volante (leggi la notizia).


Da anni le donne saudite hanno iniziato forme di mobilitazione per il diritto di guidare, che altro non significa che il diritto di condurre la propria vita.

Nel giugno 2011, sull’onda della primavera araba, vi è stata la prima mobilitazione ufficiale delle donne contro il divieto di guidare. La mobilitazione è andata avanti nonostante l'arresto dell'organizzatrice, Manal al-Sharif. 

Un anno fa, ad ottobre del 2013, le donne saudite hanno lanciato la campagna per il diritto a guidare. La campagna "26 ottobre" ha visto aumentare considerevolmente la presenza femminile al volante per le strade del regno, mentre la petizione che chiede di togliere tale divieto ha raccolto migliaia di firme.

Attivisti e militanti - anche uomini - hanno incoraggiato le loro compagne a mettersi alla guida delle auto e a postare su Twitter le loro immagini mentre guidano sotto l’hashtag «#IWillDriveMyself».

Da quel giorno attiviste del movimento femminile saudita hanno postato sul web dei video che documentavano varie donne al volante, pur senza precisare dove questo era successo.

L’Arabia Saudita, storico e fedele alleato dell’occidente nel mondo arabo, è l’unico Stato al mondo in cui alle donne è vietato guidare. Quelle che hanno bisogno di spostarsi in auto devono farlo con un autista o con un uomo della loro famiglia. Il divieto si inquadra nel più ampio sistema normativo in vigore nel paese che priva le donne dei più elementari diritti e le tratta come soggetti incapaci. Le donne in Arabia Saudita non possono viaggiare, lavorare o subire interventi medici senza il permesso formale di un maschio di famiglia, il MALE GUARDIAN - l’uomo guardiano-, generalmente un marito o un padre, a cui vengono riconosciuti pieni diritti sulle donne della propria famiglia.

Si tratta di una forma estrema di patriarcato resa possibile dall’assenza nel paese di qualsivoglia struttura democratica: l'Arabia Saudita è infatti una monarchia assoluta, governata dai discendenti del sultano del Najd, ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd (Dinastia Saudita). Nel paese non esistono elezioni parlamentari né esistono partiti politici. Le leggi del Regno si basano sulla Sharīʿa, e al clero, in ultima istanza, spetta di decidere la conformità alla legge islamica di ogni legge o iniziativa presa dal re. Ciò pone la corte reale in un rapporto di sudditanza nei confronti del clero. Ne deriva che molto difficili risultano i timidi tentativi che ultimamente il re Abdallah, considerato un “cauto riformatore”, ha tentato di realizzare per venire incontro alle sollecitazioni di quelle donne che lottano per raggiungere forme elementari di emancipazione e che sempre più numerose si stanno affacciando nel paese nonostante la politica ultrarepressiva.

Nel 2005 il re ha  introdotto le elezioni municipali (l'unico tipo di elezioni permesse) e nel settembre del 2011, sull'onda della primavera araba, ha annunciato che le donne potranno votare e addirittura candidarsi a quelle del 2015 (leggi la notizia su osservatorioiraq).

Nel febbraio scorso per la prima volta nella storia del Paese una donna è stata nominata direttore di un quotidiano nazionale

Nel marzo scorso a Riad è stato aperto il primo studio privato di una donna avvocato.

mg

leggi anche nel nostro blog:


dicembre 25, 2014

IRAQ. La televisione irachena si prende gioco del sedicente "Stato Islamico"



La televisione irachena si prende gioco del sedicente Stato Islamico (ISIS) e manda in onda "Stato Mitico" una serie televisiva di trenta episodi condivisa ampiamente dalla rete che ridicolizza le azioni e l’ideologia del gruppo terrorista.

Lo scopo, afferma Thaer al Hasnawi, ideatore e autore del programma, è quello di contrastare con la risata la propaganda dell’ISIS che usa le reti sociali per terrorizzare la gente. “Far sì che i telespettatori ridano dell’ISIS, li aiuta a superare la paura”. La comicità permette di trasformare in personaggi comici quelle figure che nella realtà causano terrore. 





dicembre 17, 2014

PALESTINA. 800 intellettuali israeliani firmano un appello ai Parlamenti europei affinché riconoscano lo Stato di Palestina. Nove Paesi UE hanno già detto sì...e l'Italia?




Due anni fa la Palestina veniva ammessa alle Nazioni Unite come Stato osservatore con una storica risoluzione dell'Assemblea Generale (A/RES/67/19) approvata con una schiacciante maggioranza: 138 stati contro i 193 facenti parte dell'ONU.

L’ammissione come semplice Stato osservatore, anziché come membro a pieno titolo, è derivata dal fatto che ai sensi dell’art. 4 della Carta istitutiva delle Nazioni Unite l’ammissione di uno Stato come membro può avvenire solo su proposta del Consiglio di Sicurezza, presupposto quest’ultimo per il momento non realizzabile stante la posizione contraria degli Stati Uniti che nel Consiglio di Sicurezza vantano (insieme a Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, cioè le cinque potenze uscite vincitrici della seconda guerra mondiale), come è noto, il diritto di veto (sull'argomento vedi il nostro post: PALESTINA. Storico ingresso alle Nazioni Unite). 

Peraltro nel frattempo molti stati hanno deciso di riconoscere la Palestina come Stato ed avere con questo rapporti bilaterali. Oggi la Palestina è riconosciuta come Stato da circa 135 Paesi, ma ancora pochi sono quelli dell'UE (vedi la mappa degli stati). I primi sono stati la Svezial'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia (ma queste ultime tre prima di entrare a far parte dell'Unione).

Alcuni giorni fa Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua, tre scrittori tra i più noti del panorama letterario israeliano, insieme ad altri 800 intellettuali israeliani tra cui il premio Nobel per l'economia Daniel Kahneman, l'ex presidente della Knesset Avraham Burg e l'ex ministro degli Esteri Yossi Sarid, hanno firmato un appello ai Parlamenti europei affinché riconoscano lo Stato di Palestina


Nella loro lettera si legge: "Noi cittadini d'Israele, che desideriamo che il nostro sia un Paese sicuro e fiorente, siamo preoccupati per la continua situazione di stallo politico e per il proseguimento delle attività di occupazione e insediamento che portano a ulteriori scontri e minano le possibilità di un compromesso. Per questo è chiaro che le prospettive per la sicurezza e l'esistenza di Israele dipendono dall'esistenza di uno Stato palestinese a fianco di Israele. (...)Israele dovrebbe riconoscere lo Stato di Palestina e la Palestina dovrebbe riconoscere lo Stato di Israele, sulla base dei confini del 1967". 

L'appello ai parlamentari europei conclude: "La vostra iniziativa per riconoscere lo Stato di Palestina farà progredire le prospettiva di pace e incoraggerà israeliani e palestinesi a porre fine al loro conflitto".



Il prossimo 18 dicembre il Parlamento Europeo voterà una risoluzione a favore del riconoscimento dello Stato della Palestina.

In un comunicato pubblicato nella sua pagina web l’ufficio di Roma dell’ECFR (Consiglio europeo delle relazioni estere) spiega 5 motivi a favore del riconoscimento di uno Stato palestinese 

“Gaza ha subito il più letale periodo di violenze mai vissuto, costato la vita a più di 2000 palestinesi. L’ondata di violenza è stata così efferata che molti israeliani l’hanno paragonata alla Seconda Intifada...Le azioni del governo israeliano a Gerusalemme Est e in Cisgiornadia insieme alla crescente forza del movimento dei colonihanno minato ulteriormente la prospettiva di raggiungimento della soluzione dei due stati...Proprio a causa dell'escalation delle violenze gli europei devono prendere una decisione politica...Il riconoscimento confermerebbe anche la posizione dell'UE sull'illegittimità dell'occupazione da parte di Israele, che considera le attività dei coloni israeliani dannose per la pace e la sicurezza. Il riconoscimento è molto più di un gesto simbolico in quanto apporta una serie di benefici pratici che possono bloccare il deterioramento delle condizioni di sicurezza e realizzare l'obiettivo di uno Stato palestinese che viva a fianco di Israele in pace e sicurezza...". Così si legge nel comunicato.

Intanto dopo la Svezia, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia altri Paesi dell’Unione hanno cominciato a muoversi. Il Parlamento irlandese e la Camera dei Comuni del Parlamento britannico hanno votato a grande maggioranza per il riconoscimento dello Stato palestinese. Sono seguiti, a breve distanza, i sì del Parlamento spagnolo (con 319 voti favorevoli, due voti contrari e un’astensione), dellAssemblea Nazionale francese (con 339 voti favorevoli e 151 contrari) e del Parlamento portoghesementre sono in corso di discussione analoghe decisioni in Belgio e Danimarca.  

E l'Italia? No, lei mantiene il suo storico vassallaggio agli USA e ancora latita. Il ministro degli Esteri Gentiloni ritiene che sia giusto discuterne, ma che per il momento il riconoscimento non sia opportuno 



mg

vedi anche i nostri post:




novembre 24, 2014

AFRICA. FOLI: non c'è movimento senza ritmo, tutta la vita è ritmo

FOLI è  il termine che significa ritmo nella lingua dei Malinke, un popolo che vive nell'Africa occidentale, in particolare Guinea, Mali, Gambia.

Fondatori tra il XIII e il XVII secolo dell’ Impero africano del Mali, uno dei più potenti imperi dell’Africa Occidentale, i Malinke furono vittime del traffico di schiavi che alimentò le economie europee nelle Americhe, e successivamente per circa un secolo (1864-1960) furono sudditi dell'impero coloniale francese.

FOLI nella cultura Malinke significa però molto più del ritmo creato da strumenti musicali a percussione come  il djembe (da questa regione provengono i migliori percussionisti del mondo),  significa il ritmo creato da ogni gesto della vita quotidiana.

Tutto, ogni passo, ogni azione, ogni parola è ritmo, è FOLI, bisogna saperlo ascoltare. 

In questo breve video girato da Thomas Roebers e Floris Leeuwenberg in un villaggio Malinke vicino alla città di Baro in Guinea, si possono ritrovare i ritmi del lavoro e della vita del villaggio.



La rivista di educazione musicale "Musicheria" ha realizzato la trascrizione approssimativa del FOLI  eseguibile con le voci e/o con strumenti a piacere.


  

Si ringrazia chiarasalvini del sito neldeliriononeromailsolaper la segnalazione



novembre 23, 2014

AFRICA. “Se solo mi guardassi”, Fiorella Mannoia madrina della 12 ª edizione dell’Ottobre Africano.




“Ottobre Africano” è un festival itinerante che si tiene ogni anno nel mese di ottobre in alcune delle principali città Italiane, tra cui Roma, Milano, Torino, Parma, Reggio Emilia, Lecce, Napoli e Crotone

Un fitto programma di convegni, eventi letterari,  teatrali e musicali, mostre di pittura e fotografia che ha come protagonisti artisti e intellettuali del continente africano.

Ci racconta Cleophas Adrien Dioma, direttore e fondatore del Festival, scrittore e documentarista originario del Burkina Faso ma da anni residente a Parma, che il Festival è nato 11 anni fa a Parma su iniziativa dell’associazione di promozione sociale "Le Réseau", costituita per favorire la reciproca conoscenza e la collaborazione fra immigrati e italiani e una convivenza fondata sul rispetto, la comunicazione e lo scambio culturale. E’ presto uscito però dai confini di Parma e a fine 2013 ha vinto il premio dedicato ai migliori eventi africani in Italia, l’Africa-Italy Excellence Award.

L’obiettivo dell’edizione 2014, spiega ancora Adrien Dioma,  “è riflettere sulla cultura o le culture che conoscerà l’Italia del domani, sui cambiamenti futuri del paese, sulle possibili chiavi di lettura che contribuiranno alla creazione di un’Italia che appartenga a tutti coloro che la vivono e che ci vivono: l’Italia degli italiani, dei nuovi italiani e delle seconde generazioni.

Con la nascita di tanti eventi e realtà culturali ideati e promossi da persone di origini e cultura non italiane ma residenti in Italia, con la voglia di partecipazione politica, culturale, economica e sociale dei nuovi italiani, non è più possibile non cercare di immaginare l’Italia del futuro, un’Italia che sarà sempre più ricca di mescolanze, incontri e colori”

Tra le novità di quest’anno, l’evento "Se solo mi guardassi": due giornate di musica, cibo e arte, nate su proposta della madrina del festival Fiorella Mannoia.

Tra i numerosi protagonisti presenti al Festival possiamo citare:

Saidou Dicko - Burkina Faso.
All’età di 5 anni, piccolo pastore Fulani, impara a disegnare le ombre delle “sue” pecore sui suoli aridi del Sahel. Artista autodidatta, ha iniziato nella fotografia dal 2005, la sua specialità, le ombre….i suoi amici gli hanno dato il soprannome di “le voleur d’ombres” (il ladro di ombre).

Samia Yaba Christina Nkrumah – Ghana
Politica, presidente del Convention People’s Party, nel 2008 è stata eletta alle elezioni parlamentari del suo paese. Attualmente ha dato le dimissioni dal posto di parlamentare con il progetto di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali. A Roma e a Torino ha parlato della sua lotta per l’indipendenza e l’unità del popolo africano

Cheikh Tidiane Gaye - Senegal.

Poeta e scrittore, è membro di Pen Club Internazionale Lugano Retoromancia Svizzera. È il primo africano a tradurre Senghor in italiano.




Ara Compaoré - Burkina Faso

La sua passione per i bellissimi tessuti del suo paese la spinge a diffonderli anche fuori dall’Africa e a creare così un nuovo stile nato dalla combinazione Occidente- Africa.



Reda Zine – Marocco

E’ stato uno dei fondatori del più grande festival di musica indipendente dell’Africa, L’Boulevard di Casablanca, e della sua rivista L’Kounache Magazine (urban music and street culture).



Cristina Ubax Ali Farah  – Somalia
Scrittrice e poetessa (padre somalo e madre italiana) si laurea in Lettere a Roma. Al festival Ottobre Africano ha presentato il suo ultimo libro (Il comandante del fiume) e per parlare con i giovani di seconde generazioni che stanno crescendo nel paese di immigrazione dei loro genitori ma che è semplicemente il loro paese.


Gabin Dabiré – Burkina Faso
Cantante, chitarrista, compositore. Ha creato con alcuni artisti milanesi il gruppo multimediale CORRENTI MAGNETICHE, suoni ed immagini dai primitivi all'elettronica. Imponente è il suo impegno culturale che lo porta nel 1984 a fondare a Milano il “CENTRO PER LA PROMOZIONE E LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA AFRICANA”, patrocinato dall’UNESCO.


Laurell Boyers-Bastiani - Sud Africa
Giornalista radioteleva. Nel 2009 ha vinto il Vodacom Journalist of the year: regional winner come producer di documentari e programmi televisivi di approfondimento per la Tv indipendente nazionale sudafricana E-tv (Enca). Successivamente è passata a lavorare per  Summit Tv, canale televisivo dedicato al mondo economico.

Jean Claude Mugabo Uwihangannye - Ruanda
Il suo nome vuol dire “l’uomo che ha pazienza”. Scrittore e ricercatore, in Italia da 25 anni, scrive favole e racconti interculturali ed è ricercatore delle tradizioni popolari e della filosofia africana. Realizza per le scuole programmi e animazione in chiave di “mondialità” con temi attuali e sensibili: ambiente, alimentazione, pace, solidarietà…Attualmente è presidente di “Immigrazionisti”, che pubblica il “libroagenda dei cittadini del mondo” un’agenda annuale a tema con ricorrenze, proverbi, personaggi, poesie, storie, concetti di tutte le culture di tutto il mondo.

Nyny-ryke Goungou – Togo
Cresciuta in Italia e diplomata in Fashion Design alla NABA di Milano, ha conseguito il Diploma Master in Modellistica industriale presso l’istituto “Carlo Secoli”. Le sue creazioni rappresentano un connubio fra la tenacia e la forza dei colori delle sue origini con la purezza, l’eleganza e i volumi Europei.

Lemnaouer Ahmine - Algeria

Documentarista. Vive in Italia e realizza documentari trasmessi dalle reti RAI e LA7. Molti dei suoi lavori trattano del difficile rapporto tra mondo arabo e occidentale



Dagmawi Yimer - Etiopia
Regista di documentari, ha esordito in Italia 
con Andrea Segre come coautore di “Come un uomo sulla terra” per il quale ha ricevuto una Menzione speciale al Bif&st 2009. Dal 2010 collabora con l’AMM -Archivio delle memorie migranti-, associazione di cui è vicepresidente che promuove forme di autonarrazione da parte di migranti.

mg

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novembre 21, 2014

PALESTINA e ISRAELE. "POP-pace of peace", il cartone realizzato da studenti israeliani e palestinesi.





"POP - pace of peace"

Nato da un'idea di Roberto Davide Papini e Attilio Valenti in partenariato con l'Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma e in collaborazione con le Municipalità di Raanana (Israele) e di Qalqilia (Palestina) il cartone è stato realizzato dagli studenti di due scuole, la  Aviv Secondary School (Raanana, Israele) e la Al Sadia Secondary School (Qalqilia, Palestina). La supervisione artistica è stata svolta da due tra i più prestigiosi autori italiani, Giulio Gianini e Emanuele Luzzati, due volte nomination allOscar”.

Si ringrazia Mariem Mastouri del direttivo di Casa Africa per la segnalazione

novembre 02, 2014

BURKINA FASO. A furor di popolo costretto alla fuga Blaise Compaoré, il presidente corrotto e golpista che tradì Thomas Sankara. Sarà una "Primavera Nera" o un golpe militare?



Il giovane popolo della “Terra degli uomini integri”  (Burkina Faso) ha messo  fine ai 27 anni del regime neoliberista di Blaise Compaoré che ha portato il paese alla miseria.

Il Burkina Faso è stato incluso dall'ONU tra i 25 più poveri Stati del mondo, sebbene sia il secondo paese produttore di cotone dell’Africa sub-sahariana e il quinto produttore d’oro della regione.

Un anno fa l’Agenzia Fides denunciava le condizioni in cui si trova il paese: “Il 46,4% della popolazione burkinabé ha meno di 15 anni, il 59,1% ha meno di 20 anni. Questa gioventù (...) è insoddisfatta e smarrita a causa dell’assenza di modelli sociali. L’immagine di chi esercita il potere è offuscata dalla corruzione e dal clientelismo (...). Il 43,9% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, e la ricchezza è detenuta da un piccolo gruppo, che si spartisce il potere politico e finanziario, attraverso la corruzione e l’uso a fini personali dei beni dello Stato (Fonte: Agenzia Fides

Il 30 ottobre scorso Blaise Campaorè si è dimesso ed è stato costretto alla fuga dopo cruente rivolte popolari che hanno portato all'occupazione e all'incendio del parlamento, all'occupazione della Radio e della Televisione, alla chiusura dell’aeroporto e all'occupazione di altri centri nevralgici per la vita politica del paese. Rivolte che sono costate la vita ad almeno 30 manifestanti (Fonte: Greenreport)


Ma l’esito della rivoluzione che Emile Pargui Pare, esponente del partito di opposizione Movement of People for Progress (Mpp), ha detto essere "la nostra primavera" battezzandola "Primavera Nera"è ancora incerto dopo che alla rivolta popolare è seguito un colpo di stato militare che ha messo al potere il colonnello Isaac Zida, numero due della guardia presidenziale, un corpo d’elite ben armato e ben pagato, creato dallo stesso Compaoré. Zida avrebbe il compito di creare un governo di transizione per portare il paese a libere elezioni entro12 mesi.

L'opposizione e la società civile  hanno rivolto un appello alla popolazione perché scenda in piazza per chiedere che la transizione democratica non sia gestita dai militari. Invocano a gran voce Kwamé Louguéex ministro della difesa rimosso dal suo incarico nel 2003 perché accusato di voler deporre Compaorè. Lougué sarebbe però stato fermato (non si capisce ancora bene da chi) a Ouagadougou mentre stava tentando di raggiungere piazza della Nazione, nel cuore della capitale per unirsi ai manifestanti.

                            
Chi è Blaise Compaoré l'uomo che i  burkinabè  
non vogliono più come presidente

E’ stato presidente del Burkina Faso dal 1987, anno in cui salì al potere grazie a un cruento colpo di Stato finanziato dalla Francia, dalla Libia e dagli Stati Uniti e sostenuto dai signori della guerra dell'area, il sanguinario liberiano Charles Taylor e Idriss Déby (Fonte: Panorama).

Dopo esserne stato ministro e amico fu Compaoré a tramare e organizzare il colpo di stato contro Thomas Sankara, il carismatico presidente burkinabè (1983-1987) che aveva imboccato una via autonoma allo sviluppo osteggiata sistematicamente da Banca Mondiale e FMI e che venne assassinato, secondo numerose testimonianzeproprio su mandato del deposto presidente.

Salito al potere Compaoré ha dato alla sua politica economica il forte impulso liberista preteso dal FMI ed è diventato stretto alleato di Stati Uniti e Francia. Il Burkina Faso ospita una base militare francese e basi aeree per i droni spia americani che volano principalmente sul Mali e sul Niger, paesi con cui Il Burkina Faso confina  e che sono strategicamente importanti per gli interessi economici occidentali e in particolare della Francia, ex potenza coloniale (v. il nostro post Mali. Le verità della guerra). 


Chi è Thomas Sankara, il presidente tradito  da Compaoré


Thomas Sankara ha governato il  Burkina Faso per quattro anni (1983-1987) durante i quali è stato alla ricerca del riscatto per un intero continente: “L’Africa agli africani” (Sankara e il sogno africano di Carlo Batà, Leggi tutto )

Una figura rivoluzionaria rispetto all’atteggiamento accondiscendente di tanti altri leader africani verso le nazioni straniere; rivoluzionaria rispetto ai diktat di potenze egemoni come la Francia e gli Stati Uniti.  Sankara denunciava i ricatti delle potenze occidentali e invitava i governi africani a non sottostare alle regole delle nazioni straniere e al liberismo globale, causa principale della povertà nei paesi del Sud del mondo. Povertà alimentata ad hoc dalle nazioni occidentali per continuare ad accaparrarsi in maniera indiscriminata delle ricchezze dell’Africa (Fonte: Missioni Africane. org. )

Thomas Sankara aveva uno stipendio presidenziale in linea con quello degli impiegati statali di basso livello. Tagliò le retribuzioni di generali, ministri, alti funzionari. Distribuì la terra ai contadini. Era un uomo integro, che pagò con la vita la sua integrità e il sogno di riconquistare la sovranità economica per il suo Paese, saccheggiato dai colonialisti e obbligato a antieconomiche monoculture in mano alle multinazionali francesi.

Sotto la sua presidenza Sankara promosse numerose donne a ministro o ai vertici delle forze armate, incoraggiò le donne a ribellarsi al maschilismo e a rimanere a scuola in caso di gravidanza, fu il primo presidente africano a mettere in guardia la popolazione dai rischi dell'AIDS, invitando i suoi compatrioti a prendere dei contraccettivi, abolì la poligamia e vietò l'infibulazione (Fonte: Panorama)
  
Per ridare impulso all’economia decise che il suo paese doveva contare sulle proprie forze e vivere all’africana, senza farsi abbagliare dalle imposizioni culturali provenienti dall’Europa: “Non c’è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti i tipi hanno cercato di venderci per anni”. “Consumiamo burkinabè”, si leggeva sui muri della capitale.  

Durante i suoi quattro anni di presidenza Sankara aveva invitato i Paesi africani a non pagare il debito estero per concentrare gli sforzi su una politica economica che colmasse il ritardo imposto da decenni di dominazione coloniale.


Celebre è rimasto il discorso sul debito che tenne nel 1986, durante i lavori della  25esima  sessione dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) tenutasi a Addis Abeba, pochi mesi prima di essere assassinato:  “Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo. […] Il debito nella sua forma attuale è una riconquista coloniale organizzata con perizia. […] Se noi non paghiamo, i prestatori di capitali  non moriranno, ne siamo sicuri; se invece paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi”:



mg

ottobre 29, 2014

IRAN. Reyhaneh Jabbari giustiziata per aver difeso la verità. La sua ultima volontà: il mondo deve sapere.


All’alba di sabato 25 ottobre la 26enne Reyhaneh Jabbari, nonostante la mobilitazione internazionale che un mese fa aveva fatto sospendere l’esecuzione,  è stata giustiziata con l’impiccagione nel carcere di Teheran dove era richiusa da sette anni. Arrestata nel 2007 quando aveva 19 anni, era stata condannata a morte per avere ucciso  l’uomo che aveva cercato di violentarla: Morteza Abdoladi Sarbandi, ex dipendente dell'intelligence iraniana

Il fatto che si fosse trattato di legittima difesa non è stato riconosciuto dal tribunale che ha giudicato Reyhaneh colpevole di omicidio premeditato a conclusione di un processo viziato da gravi irregolarità come aveva denunciato il Relatore Speciale per i Diritti Umani in Iran delle Nazioni Unite
  
Reyhaneh avrebbe potuto aver salva la vita se avesse ritrattato l’accusa di aver subito un tentativo di stupro come le era stato richiesto dalla famiglia della vittima in cambio del perdono, ma lei ha rifiutato di farlo. L’ordinamento della Repubblica Islamica dell’Iran prevede infatti che la pena capitale sia annullata se i familiari della vittima concedono il perdono. E’ l’istituto del qisas del diritto islamico.




Prima di morire Reyhaneh ha reso questa ultima testimonianza affinché il mondo sappia...

“Io sono Reyhaneh Jabbari e ho 26 anni. Con la corda dell’impiccagione davanti a me di cui non ho paura. Se scrivo è solo per raccontare ciò che mi è accaduto, senza aggiungere né togliere niente.

Voglio dirvi tutto ciò che ho detto nei tribunali e non hanno voluto capire, tutte le percosse che ho ricevuto senza pietà da quattro inquisitori che si credevano  Dio e non mi sentivano mentre urlavo: ora voglio dirvelo.

Voglio che le persone sappiano e poi giudichino, voglio che sentano e poi se vorranno, stringano la corda più forte intorno al mio collo. Voglio che sappiano cos’è successo  a me quando avevo 19 anni e che ora non ho paura della morte. Voglio parlare, affinché sappiano come si è strozzato in gola il mio grido. Il motivo per cui oggi vengo chiamata assassina, accusata da una sentenza ottenuta con menzogne.

Io, Reyhaneh, una ragazza di 26 anni, mi trovo attualmente dentro il carcere di Shahrerey, aspetto la fine della mia vita. (...) Diverse volte ho voluto scrivere ma ho sempre abbandonato perché mettere una lama su questa ferita vecchia fa più male, ma in questa notte senza fine, reparto  due del carcere di Shahrerey, sotto la luce artificiale e nel silenzio del carcere vomito il dolore senza rumore. (...) Non ho altre vie che non parlare: se non parlo muoio. Forse così il dolore finirà. (...) In tutti questi anni ho fatto finta di esistere, trasformavo solo la notte in giorno e il giorno in notte, la mia anima è morta. La mia anima pura morì a 19 anni, per molte notti ho affrontato incubi. (...) In questi anni ho imparato che la morte è la fine del dolore di molti. E forse un nuovo inizio. Io Reyhaneh Jabbari di 26 anni non ho paura della morte: però Reyhaneh a 19 anni aveva paura”. 


Ed il mondo ancora una volta ha saputo, attraverso il gesto estremo del sacrificio di una vita, quanto difficile sia per una donna far valere la verità e ottenere giustizia contro la violenza subita e quanto la giustizia può diventare altrettanto violenta dello stupratore nei confronti della donna, come commentò l'avvocata Tina Lagostena Bassi, difensora di parte civile nel famoso "processo per stupro" celebrato in Italia nel 1978 e trasmesso in TV sotto forma di documentario.   





Reyhaneh non è stata creduta a dispetto delle numerose risultanze processuali che provavano la sua versione dei fatti. Non è stata creduta perché l’onore del suo carnefice veniva prima della verità. E così da vittima è diventata imputata di un delitto punibile nel suo paese con la pena capitale.

Ancora una volta il mondo è stato testimone  delle aberrazioni a cui può arrivare “il patriarcato, la dominazione sistemica della donna da parte dell’uomo” che alligna, seppure con modalità e intensità differenti, a livello globale e attraversa frontiere, razze, classi e religioni (queste le conclusioni a cui è pervenuto lo "Studio a fondo su tutte le forme di violenza contro la donnadelle Nazioni Unite). 

Oggi in occidente l’intreccio fra patriarcato e ultraliberalismo ha prodotto nuove forme moderne di sfruttamento della donna (tratta, donna oggetto, donna merce), mentre nel mondo islamico la donna è diventata l’ultimo baluardo dell’identità musulmana da difendere da parte di società minacciate da altre situazioni di precarietà geopolitica ed economica (così Asma Lamrabet, Islam e femminismo, in questo blog)   

Ma il mondo ha anche appreso che persino in un paese blindato come l’Iran le donne sono capaci di lanciare la loro sfida alla violenza del potere patriarcale.



Le donne iraniane non hanno paura scrive il premio Nobel Shirin Ebadi 

Oggi l’Iran è un paese dove le donne sono più istruite rispetto ai loro connazionali maschi; più del 60% degli studenti universitari sono donne, così come molti docenti universitari. Le donne iraniane sono medici ed avvocati ed hanno ottenuto il diritto a votare e a divenire membri del parlamento mezzo secolo fa, prima delle donne svizzere che hanno ottenuto questo diritto nel 1971.

L’Iran è un paese di donne consapevoli e istruite, che stanno lottando per i propri diritti.







mg

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Egitto. Stupri di massa come arma di guerra

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