luglio 30, 2012

ISLAM E FEMMINISMO - Seminario 2012

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ISLAM E FEMMINISMO. Seminario. Programma


ISLAM E FEMMINISMO. Seminario. Relazioni di Asma LAMRABET

Asma LAMRABET

Presidente e co-fondatrice del GIERFI -Group international d’études et de réflexion sur femmes et Islam- coordinatrice del gruppo internazionale di ricerca sulla donna musulmana e il dialogo interculturale.









1-      DONNE MUSULMANE E STEREOTIPI OCCIDENTALI

        REALTA’ O PREGIUDIZI?

               (Traduzione a cura di Casa Africa)

Introduzione


Le due cose (realtà e pregiudizi) coesistono e l’una alimenta l’altra in un mondo che sembra ogni giorno di più barricarsi dietro identità irrigidite e nel rifiuto dell’altro. Ma che cosa è uno stereotipo se non un’opinione preconcetta, ripetitiva, accettata senza riflessione né critica profonda e che è talvolta, anzi spesso, imposta da un comportamento, un vissuto o una esperienza personale, poi generalizzati? Ci sono dunque degli stereotipi generati da una visione occidentale sui musulmani, così come esistono degli stereotipi generati da una visione orientale (musulmana) sugli occidentali. E al di la di certe realtà specifiche per gli uni come per gli altri, le due visioni si autoalimentano all’interno di un mondo sempre più segnato dall’egoismo, dalla paura dell’altro e che educa all’ignoranza.
Bisogna precisare subito, prima di entrare nel vivo dell’argomento, che il nostro grande problema oggi è che ciascuno giudica l’altro partendo dal suo punto di vista e dal suo particolarismo. Mentre la soluzione sarebbe piuttosto quella, come già aveva preannunciato Ibd Rochd (Averroès) (pensatore musulmano e occidentale) già nel XII secolo, di comprendere l’altro nel proprio sistema di riferimento. E’ purtroppo quello di cui sentiamo crudelmente la mancanza all’interno del mondo d’oggi, dove, malgrado gli incredibili mezzi di comunicazione che ci offre la tecnologia moderna, siamo incapaci di capirci se non attraverso il giudizio e il rifiuto delle nostre rispettive differenze.

Gli stereotipi occidentali


I principali stereotipi occidentali si riassumono nella visione essenzialista in cui le donne musulmane –quale che sia la loro storia, la loro situazione sociale, geografica o economica- sono al centro dell’incompatibilità tra due blocchi immaginari: islam e occidente. L’islam -peraltro ci si può domandare di quale islam si tratti: religione, storia, civiltà, cultura?-, questo blocco omogeneo, sembra essere da molto tempo refrattario a tutti i corollari della Civiltà: modernità, diritti umani, democrazia, laicità, etc…Tra i clichés più in voga troviamo: oppressione, velo, burka, lapidazione, sharia, poligamia. Ecco le parole chiave universali che attraverso un’accanita mediatizzazione hanno finito per inserire, una volta per tutte, le donne musulmane nello schema fisso de «la donna musulmana» ineluttabilmente vittima dell’islam.
L’islam è stato sempre considerato, secondo questa visione stereotipata, come una religione antistorica e dunque ai margini di una storia occidentale, la sola detentrice di una visione universalista (è ciò che ha spiegato molto bene E. Said nella sua analisi sull’orientalismo, o come l’Oriente è stato creato e costruito dall’Occidente).
Si assiste quindi ad una vera e propria costruzione ideologica del soggetto “donna musulmana” e da lì un supersfruttamento di questa tematica dove le donne appartenenti a questa cultura vengono descritte come recluse in un universo di «non diritti» e parte di un universo differente, altro e assolutamente estraneo alla cultura universale. Cosa che ha come obiettivo, alla fin fine, di definire l’identità femminile islamica proprio come modello in negativo rispetto alla modernità, alla libertà e alla civiltà.
La terrificante «macchina mediatica», che è la fonte primaria degli stereotipi, ha costruito delle norme ormai internazionali di un tipico profilo della donna musulmana ridotta alla sua simbologia più arcaica, quella di una rappresentazione unica, antistorica, pallido remake della classica visione orientalista.
Di fatto la «ultra mediatizzazione» internazionale e il discorso ricorrente riguardo la tematica “donne musulmane vittime dell’islam» con il loro status giuridico precario, con la loro ritardata emancipazione, la loro messa sotto tutela culturale, i loro burka e veli di ogni tipo, ha finito per instaurare nell’immaginario collettivo contemporaneo un’immagine indelebile, quella di donne perennemente sottomesse e fatalmente alienate. Immagine che mantiene sornionamente l’idea che la disuguaglianza dei sessi è, in fondo, strutturale alla sola simbologia islamica di cui, d’altronde, la  stessa qualificazione di islamica dispensa da qualunque analisi o riflessione profonda. C’è quindi un accanimento drammatico a voler fare delle donne musulmane, «tutte le donne musulmane», le principali vittime di un islam necessariamente tirannico, discriminatorio, di sapore barbarico, che soltanto le vie di una emancipazione occidentale idealizzata e universalizzata a oltranza sono in grado di liberare.
La necessità di questa parola d’ordine «liberiamo le donne musulmane», indotta da un etnocentrismo intellettuale ormai evidente, ha finito per relativizzare, se non addirittura per assolvere, le altre culture e società, in particolare quelle occidentali, da ogni accusa di discriminazione nei confronti delle loro donne che sarebbero, loro sì, «naturalmente liberate»  in quanto si suppone che abbiano acquisito tutti i loro diritti.
Questo «diritto di ingerenza» intellettuale profondamente ancorato in una certa ideologia occidentale fa sempre parte dei requisiti previ di un discorso politicamente corretto. «Liberare le povere donne musulmane vittime dell’islam» è così una formula politica che si vende sempre molto bene e che testimonia, per quanto possibile, una indubbia appartenenza al mondo «civilizzato».
Il meta-discorso attuale sulla donna musulmana, velata, reclusa, oppressa in fondo è soltanto un’eterna riproposizione della visione orientalista e colonialista, sempre in voga nelle contemporanee rappresentazioni postcoloniali,  che certe femministe europee hanno a giusto titolo indicato come l’intreccio di sessismo e razzismo…Questo discorso paternalista e perennemente accusatore serve soprattutto da alibi a tutte le tendenze politiche di dominazione culturale e supporta l’analisi binaria che oppone, come se fosse la cosa più normale, due modelli antinomici: il modello universale della donna occidentale liberata e il particolarismo della donna musulmana oppressa e quindi da liberare. Peraltro questa ossessione di liberare la donna musulmane ha anche servito da pretesto politico per legittimare imprese coloniali come la guerra in Afghanistan dove l’esercito americano ha cercato di liberare le povere afgane dal loro orribile burka…
Può essere utile ricordare qui due fatti evidenti.
* Il primo riguarda l’estrema varietà di donna musulmana. Ci sono tante società musulmane diverse quanti modelli di donna musulmana che dall’Indonesia al Marocco, passando per l’Arabia Saudita o l’Europa Centrale e l’Africa Sub-Sahariana, sono, non foss’altro che dal punto di vista geografico, rappresentativi di una importante eterogeneità socio-culturale. Questa pluralità esistente è in flagrante contraddizione con l’immagine monolitica e uniformizzante de LA donna musulmana, proposta dagli stereotipi  occidentali e che tende a ridurre sistematicamente tutte le donne musulmane ad un’unica sola dimensione culturale.
* Il secondo fatto da ricordare e di cui ci si dimentica troppo spesso è l’universalità della cultura discriminatoria nei confronti delle donne. La disuguaglianza dei diritti tra donne e uomini è stata la regola per millenni e nonostante conquiste incontestabili la situazione subalterna delle donne è un fenomeno che attraversa, beninteso in gradi diversi, tutte le culture e tutte le civiltà. Oggi l’ intreccio di patriarcato e ultraliberalismo hanno prodotto nuove forme «moderne» di sfruttamento e di soggezione delle donne e queste ultime, al sud come al nord, si ritrovano nelle stesse condizioni di precarietà globalizzata. L’uguaglianza, principio fondante dei sistemi democratici universalisti, resta una delle promesse maggiormente mancate della modernità ed è quindi evidente che la lotta per il riconoscimento e l’istituzionalizzazione dei diritti di uguaglianza tra uomini e donne è una battaglia ancora incompiuta nel mondo attuale[1].
E’ importante a questo punto precisare che non si tratta di rifiutare un dibattito su questo tema. La cosa da rifiutare non è tanto la critica dell’ingiustizia di cui sono vittime le donne in terra d’islam e nell’ideologia tradizionalista corrente (e che, diciamolo pure, è purtroppo una realtà), ma la centralità, la logica di «due pesi e due misure» e la manipolazione ingiustificabile che subisce la questione delle donne musulmane nell’agenda politica di certi governi occidentali e nella visione paternalista di certe femministe occidentali.
(Vengono veicolati dei clichès ricorrenti che hanno fatto il giro del mondo sulla donna afgana tanto da essere utilizzati per giustificare l’invasione militare e politica di questo paese. Quanto alla ideologia sessista dell’alleato saudita che inonda, grazie ai petrodollari, la produzione letteraria islamica fin dentro le società occidentali essa viene tollerata visti gli innumerevoli interessi in gioco. Silenzio sulle ruberie di Ben Alì in nome di una liberazione delle donne, alibi di certi dispotismi arabi!).
Peraltro lungi da noi l’idea di demonizzare l’occidente e considerarlo responsabile di tutti i nostri mali e lungi l’idea di rafforzare una vittimizzazione sottesa a un certo discorso islamico ottenebrato anch’esso dall’idea un eterno complotto immaginario verso l’islam. Discorso questo che peraltro veicola lo stesso tipo di stereotipi: la visione dell’occidente considerato come un blocco omogeneo di un sistema amorale che ha perduto i suoi valori. Si tratta piuttosto di denunciare la strumentalizzazione politica di alcune problematiche come, tra le altre, quella relativa alle donne musulmane e di denunciare ciò che una certa visione occidentale ne vuole fare estremizzandola. Questo, senza dimenticare che ciò è il risultato di una certa realtà concreta garantita da un sistema religioso che nei paesi di maggioranza islamica strumentalizza anch’esso la questione delle donne musulmane.

Donne musulmane: quale realtà?


Credo che sia necessario ammettere che tra tutte le critiche fatte all’islam e ai musulmani quelle sullo status delle donne restano in fondo relativamente giuste nonostante l’insopportabile strumentalizzazione politica e mediatica internazionale.
Bisogna dirlo chiaramente: malgrado le diverse situazioni in cui vivono le donne musulmane nel mondo è evidente che la loro situazione resta segnata dalla visione egemone di una ideologia islamica ufficiale tradizionalista e rigorista che è diventata più marcata a partire dal riflusso religioso degli anni ’80.
Esiste nelle varie società islamiche una sorta di compromesso generale riguardo a questa questione  intorno alla quale ci sono raggiunti taciti consensi alle spalle delle donne e della loro emancipazione. Dall’islam ufficiale degli stati ai movimenti islamici di opposizione, passando per gli alti consigli degli Ulema o per la cultura popolare, è sempre di una stessa visione tradizionalista misogina e chiaramente discriminatoria che si tratta.
« L’islam onora la donna, le ha concesso tutti i diritti, l’ha protetta…» ecco la sostanza del discorso detto e ripetuto da molti musulmani, molto spesso sinceri dal momento che riflette in fondo la veridicità del messaggio spirituale, ma che resta assolutamente insufficiente e infruttuoso sul piano argomentativo. Un discorso sulla difensiva che perde via via vigore mentre si affanna a smentire delle accuse purtroppo confermate dalla constatazione tagliente della realtà delle società islamiche. C’è in effetti un palese contrasto tra quel discorso che si dice e si vuole rispettoso dei valori islamici e la realtà di un vissuto in cui si giustificano le peggiori forme di discriminazione nei confronti delle donne.
Di fatto, anche se la situazione delle donne musulmane ha conosciuto in questi ultimi decenni un concreto miglioramento e cambia in modo ragguardevole da un paese all’altro (codice moudawwana in Marocco e Code de Statut Personnel in Tunisia) a seconda del livello socio-culturale ciò non toglie che lo status giuridico delle donne musulmane resta di gran lunga tra i più precari del mondo.
Bisognerebbe riconoscere che gli schemi educativi tradizionali, le disposizioni discriminatorie del diritto di famiglia e il codice de statut personnel  perpetuano, a seconda dei paesi e in grado variabile, in modo eclatante le disuguaglianze e la subordinazione delle donne e ciò nella grande maggioranza dei paesi islamici. Dall’analfabetismo (i tassi nei paesi arabi sono i più alti del mondo: 40% di analfabeti -65milioni, di cui le donne rappresentano i due terzi) allo stato giuridico di minore a vita, all’assenza di autonomia, agli ostacoli patenti alla partecipazione politica (5% di donne parlamentari), passando per i matrimoni forzati e i crimini d’onore in certe regioni, tutti questi abusi restano purtroppo la quotidianità di un gran numero di musulmane e sono nella maggior parte dei casi garantite da una certa lettura del religioso.
Il discorso islamico attuale sulle donne si riduce ad una visione semplicistica e normativa incentrata essenzialmente su «le derive tentatrici del corpo delle donne», o «Fitna», e presenta come unica alternativa l’invisibilità fisica e sociale delle donne come sfogo di tutte le frustrazioni culturali.
Questo discorso tradizionalista è quindi sfasato in rapporto alla realtà sociale musulmana che evolve e si trasforma in modo lampante agli occhi di alcuni dotti musulmani che, sbalorditi da questa evoluzione, si ostinano a cercare delle soluzioni datate tra le riflessioni dei loro predecessori di vari secoli fa.
Questo rifiuto di appoggiare qualunque tentativo di riforma, in particolare relativa alla condizione della donna, è molto rivelatore della crisi identitaria che vive il mondo musulmano. Infatti le donne musulmane sembrano rappresentare l’ultimo baluardo da difendere da parte di società minacciate da altre situazioni di precarietà politica ed economica, le quali, in mancanza di meglio, si attaccano per quanto è possibile a valori morali molto primitivi. Così le donne sono condannate ad essere le guardiane di questa morale e per estensione della religione stessa.
I musulmani, da parte loro, di fronte a questa ostilità crescente per la loro religione e alla valanga di accuse contro di loro si barricano dietro un discorso non meno caricaturale in quanto essenzialmente alimentato da reazioni impulsive e ripiegamenti giustificatori. Soggetto ad una congiuntura internazionale e a delle condizioni politiche percepite come umilianti, il mondo islamico, già indebolito da una tradizionale chiusura, dalla povertà, dal sottosviluppo e dal dispotismo dei suoi regimi, percepisce questo genere di critiche e in modo particolare quelle relative alle donne come un segno di ingerenza culturale totalmente inopportuna e insopportabile.
Il discorso di liberazione portato avanti dall’occidente non può essere credibile da un certo punto di vista islamico perché, oltre ad essere screditato da politiche internazionali fondamentalmente ingiuste nei confronti di un gran numero di paesi musulmani, va a toccare uno degli ultimi baluardi dell’identità musulmana, cioè la donna. In effetti la donna sembra rappresentare per questo mondo islamico dall’identità ferita, l’ultimo baluardo da difendere…La donna musulmana ormai rappresenta la vittima ideale di questa costruzione ideologica speculare e si vede costretta ad incarnare, data la sua posizione di guardiana della morale, il contro modello rispetto a quello veicolato dall’occidente considerato privo di valori.
Va sottolineato poi che, malgrado l’avvento delle rivoluzioni arabe e del vento di liberazione che ha soffiato nelle piazze, le vittorie contro i regimi dispotici hanno lasciato il posto ad una grande confusione nello spazio politico in cui le donne, nonostante il ruolo chiave che hanno avuto nelle varie rivoluzioni, sono ancora una volta emarginate dall’azione politica in nome di una certa lettura del religioso (Egitto, Libia, Yemen…e in grado minore la Tunisia che sembra differenziarsi…il Marocco, dove le forti manifestazioni, anche senza rivoluzione, hanno portato al cambiamento della Costituzione, ma dove tuttavia il nuovo governo ostenta un arretramento riguardo la rappresentanza femminile).


Analisi e conclusioni


Come abbiamo detto all’inizio la realtà e i pregiudizi convivono all’interno di questa tematica così complessa.
La realtà in cui vivono le donne musulmane è molto complessa e non risponde a questa visione essenzialista che viene riprodotta a livello internazionale e che dipinge le donne musulmane come sottomesse e alienate.
Le donne musulmane rappresentano infatti una diversità e una pluralità di vissuti, di storie, di sofferenze e di lotte, ma anche di successi e di imprese quotidiane…
Allora, è il religioso e quindi l’islam, che appaiono così presenti in queste società, ad essere all’origine di questa cultura discriminatoria oppure sono le innumerevoli interpretazioni che ne sono derivate e che hanno fatto di questa religione un potente strumento del patriarcato?
A questo punto io credo che bisognerebbe fare una riflessione e rifiutare l’affermazione secondo cui la discriminazione e la svalutazione delle donne sarebbero intrinseci ai testi sacri dell’islam. Nessuno può contestare la deplorevole condizione delle donne così come è vissuta nelle società a maggioranza islamica, ma sarebbe corretto distinguere tra il contenuto spirituale del messaggio islamico e le sue diverse interpretazioni,  così come bisognerebbe distinguere tra ciò che deriva da una cultura sociale locale strutturalmente patriarcale e ciò che dipende da precetti spirituali.
Bisognerebbe far  differenza tra le fonti originali dove troviamo degli orientamenti davvero emancipatori e le interpretazioni classiche che hanno svuotato il messaggio dal suo contenuto spirituale e l’hanno fissato in compilazioni di contenuto strettamente giuridico. E’ importante saper riconoscere che non è il messaggio spirituale dell’islam ad essere intrinsecamente incompatibile con i diritti della donna, bensì l’interpretazione abusiva di leggi e testi centrali da parte delle autorità patriarcali.
Per non cadere in questa visione stereotipata si dovrebbe distinguere tra il messaggio spirituale dell’islam e i vissuti, le tradizioni e i sistemi religiosi che hanno sclerotizzato tutto il pensiero islamico.
Le ragioni di questa blindatura sono complesse, ma quella predominante è la strumentalizzazione politica del religioso in terra d’islam, e questo da secoli. Il dramma del mondo musulmano non è religioso, è essenzialmente politico.
E’ interessante constatare che la questione delle donne e quella del potere politico in islam sono strettamente e curiosamente legate dal punto di vista storico.
In effetti le donne sono state –e lo sono tuttora- vittime di un doppio dispotismo: il patriarcato e l’autocrazia. Sono questi due poteri assoluti che le hanno imbavagliate per secoli e che hanno contribuito alla progressiva regressione del loro status ratificato del resto dal declino della civiltà islamica.
Se a questo si aggiunge lo choc dell’incontro con la colonizzazione occidentale si può facilmente capire l’ampiezza dei danni devastanti sullo status della donna e le sue ripercussioni traumatiche ancora percepibili ai nostri giorni. Per proteggersi contro il mondo colonizzatore il mondo musulmano ha in prima battuta sequestrato la donna per paura che si identificasse col modello di emancipazione occidentale e che ne trasmettesse i valori giudicati come necessariamente anti islamici…
L’epoca dell’indipendenza non è stata peraltro proficua né per le donne né per gli uomini musulmani dal momento che un buon numero di lemma come nazionalismo, panarabismo, laicità, democrazia, sono rimaste parole vuote che hanno legittimato le peggiori ruberie perpetrate da regimi corrotti con la benedizione dei vecchi colonizzatori.


Conclusioni


In questo modo le donne musulmane nelle loro più varie rappresentazioni restano imprigionate tra due visioni conflittuali e perennemente contrapposte: un approccio musulmano tradizionalista, rigido e anacronistico e un approccio occidentale etnocentrico che veicola stereotipi e clichés semplicistici e sempre più islamofobi.
Tra queste due visioni del mondo è soprattutto la parola delle donne musulmane ad essere zittita…L’emancipazione delle donne musulmane non può diventare effettiva senza una vera e propria presa di coscienza e di parola da parte di loro stesse e non di altre che parlino al posto loro!
Le donne musulmane devono quindi inventarsi un altro cammino fuori da questi sentieri battuti in nome delle loro convinzioni spirituali nonché della loro prospettiva di donne moderne. E’ quindi su un doppio registro, quello dei diritti umani universali e quello di un religioso riconquistato, che il cammino di una vera emancipazione delle donne musulmane può compiersi ed avere tutte le chances di riuscire.
Vorrei precisare che è in questa terza via che mi riconosco come donna impegnata nella lotta per i diritti all’eguaglianza e alla dignità delle donne musulmane. Un terza via che sa di doversi liberare sia dell’alienazione occidentale che dal tradizionalismo religioso sclerotizzato.
Una terza via che in nome di un riferimento e di radici spirituali, ma anche in nome dei valori condivisi di uguaglianza, dignità e rispetto dei diritti individuali, lotta contro gli estremismi di ogni tipo e rifiuta la svalutazione giuridica, culturale e sociale delle donne.
Abbiamo visto che con le rivoluzioni arabe le donne si sono ribellate alla lettura culturale tradizionalista e ai dispotismi politici. E’ in questo senso che bisognerebbe smontare questa doppia componente: quella delle disuguaglianze socio-politiche e quella delle discriminazioni sessiste tradizionali. Ed è lavorando su questi due fronti, democrazia e riformismo religioso, che le trasformazioni sociali possono concretizzarsi davvero sul campo.
Ci saranno sicuramente sempre enormi resistenze verso questo processo di emancipazione, ma il meccanismo si è già messo in moto e niente e nessuno può invertire il corso della storia quando il cambiamento è in atto. La storia del mondo musulmano che è di nuovo in cammino non potrà più farsi ormai senza le sue donne. 
  
 
Femmes musulmanes et stéréotypes occidentaux:
réalités ou préjugés ?
(Testo originale della relazione)

Introduction :
Les deux coexistent et l’un alimente l’autre dans un monde qui semble jour après jour s’enfermer un peu plus dans la crispation identitaire et le refus de l’autre . Mais qu’est  ce qu’un stéréotype sinon une opinion préconçue répétitive, acceptée sans réflexion ni critique profonde mais qui est parfois voire souvent imposée par un comportement, un vécu ou une expérience personnelle, généralisée par la suite ?. Il existe donc des stéréotypes générés par une vision occidentale sur les musulmans comme il existe des stéréotypes générés par une vision orientale (musulmane) sur les occidentaux. Et au delà de certaines réalités particulières aux uns comme aux autres, les deux types de visions s’auto entretiennent au sein d’un monde de plus en plus  marquée par l'égoïsme, la peur de l’autre et l’ignorance cultivée.
Il faut  préciser de prime abord, avant d’entrer dans le vif du sujet,  que notre grand problème aujourd’hui c’est que chacun juge l’autre à partir de son propre point de vue et de son particularisme. Alors que la solution serait plutôt comme l’avait préconisé Ibn Rochd (Averroès) (penseur musulman et occidental) déjà au 12ème siècle, c’est de comprendre l’autre dans son propre système de référence. C’est malheureusement ce qui nous fait cruellement défaut au sein du monde d’aujourd’hui où malgré les incroyables moyens de communication que nous offre la technologie de la vie moderne, nous sommes incapables de nous comprendre autrement que par le jugement et le rejet portés sur nos différences respectives.    

Les stéréotypes occidentaux :
Les principaux stéréotypes occidentaux se résument à cette vision essentialiste où toutes les femmes musulmanes - quelques soient leurs histoires, leurs situations sociales, géographique ou économique -  sont au  cœur de l’incompatibilité  entre deux blocs imaginaires : islam et Occident.  L’islam – d’ailleurs on peut se demander de quel islam il s’agit : religion, histoire, civilisation, culture ??-  ce bloc homogène,  semble être et depuis bien longtemps, réfractaire  à tous les corollaires de  la Civilisation : modernité, droits humains, démocratie, laïcité, etc.… Parmi les clichés les plus en vogue ; on retrouvera : Oppression, voile, burqua, lapidation, charia, polygamie : ce sont là les mots clés universels qui à travers une médiatisation acharnée ont finit par catégoriser une fois pour toute, les femmes musulmanes dans cette grille figée  de : « la femme musulmane »  victime inéluctable de  l’islam.
L’islam a toujours été considéré, selon cette vision stéréotypée,  comme une religion anhistorique et donc en marge d’une histoire occidentale, seule détentrice d’une vocation universaliste…(C’est ce qu’a très bien expliqué E Said dans son analyse de l’orientalisme ou comment l’Orient a été créé et construit par l’Occident…)
On assiste donc à une véritable construction idéologique du sujet « femme musulmane » et de là à une surexploitation de cette thématique où l’on décrit les femmes appartenant  cette culture comme étant  apparemment recluses dans un univers de « non droits » et  faisant  partie d’un univers différent, autre et définitivement étranger à la culture universelle.  Ce qui a pour but finalement d’ériger  l’identité féminine islamique  en véritable modèle « repoussoir » par rapport à la modernité, la liberté et la civilisation.
La terrifiante « machine médiatique » qui est la source la plus importante de stéréotypes a édifié des normes, désormais internationales, d’un profil type de la « femme musulmane » réduite à sa symbolique la plus archaïque : celle d’une représentation unique, anhistorique, pâle « remake » de la classique vision orientaliste.
En effet, la « sur médiatisation » internationale  et le discours récurent autour de la thématique « femmes  musulmanes  victimes de l’islam », avec leur statut juridique précaire, leur émancipation retardée, leur mise sous tutelle culturelle, leurs « Burquas » et « voiles » de tout genre, a finit par instaurer dans l’imaginaire collectif contemporain une image indélébile : celle de  femmes éternellement soumises et inéluctablement aliénées. Image, qui entretient, sournoisement, l’idée que l’inégalité des sexes est finalement structurelle à la seule symbolique islamique dont, d’ailleurs,  le seul qualificatif  d’islamique dispense de toute analyse ou réflexion profonde. Il y a donc un acharnement dramatique à vouloir faire des femmes musulmanes - toutes les femmes musulmanes - les principales victimes, d’un Islam forcément tyrannique, inégalitaire et aux relents barbares que seules les voies d’une émancipation occidentale idéalisée et universalisée à outrance, sont à même de libérer.
Cette nécessité symbolique de « libération » des femmes musulmanes, induite par un ethnocentrisme intellectuel qui n’en se cache plus a finit par relativiser voir à  absoudre les autres cultures et sociétés, notamment occidentales, de toute  accusation de discrimination envers leurs  femmes qui seraient, elles,  « naturellement libérées» et supposées avoir acquis tous les droits.
Ce « droit d’ingérence » intellectuel  profondément ancré dans une certaine idéologie occidentale fait donc toujours partie  des préalables requis du discours politiquement correct. « Libérer les pauvres femmes musulmanes victimes de l’islam » est une formule politique qui se « vend » donc toujours  très bien et qui témoigne, tant que faire se peut, d’une indubitable appartenance au monde de « civilisé ».
Le métadiscours actuel sur la musulmane, voilée, recluse et opprimée, n’est finalement qu’une reproduction perpétuelle de la vision orientaliste et colonialiste, toujours en vogue dans les représentations contemporaines post coloniales et que certaines féministes européennes ont désigné à juste titre comme étant l’imbrication du sexisme et du racisme…Ce discours paternaliste et éternellement accusateur sert surtout « d’alibi » à toutes les attitudes politiques de domination culturelle et conforte l’analyse binaire qui oppose le plus naturellement du monde deux modèles antinomiques : le modèle “universel” de la femme occidentale « libérée » et le « particularisme » de la musulmane opprimée et donc « à libérer ». D’ailleurs cette obsession de « libération » de la femme musulmane a même servit de « prétexte » politique pour légitimer des entreprises coloniales comme la guerre en Afghanistan où l’armée américaine a tenté de libérer les pauvres afghanes de leur horrible burka …
- Or, il serait peut être utile de rappeler ici, deux évidences.
*La première concerne l’extrême diversité des femmes musulmanes. Il y a autant de sociétés musulmanes différentes, que de modèles de femmes musulmanes, qui de l’Indonésie au Maroc, en passant par l’Arabie saoudite ou l’Europe centrale et l’Afrique subsaharienne, sont, ne serait ce que géographiquement parlant bien représentantes d’une hétérogénéité socioculturelle importante. Cette pluralité existante est en contradiction flagrante avec l’image monolithique et uniformisante de « LA » femme musulmane, reproduite par les stéréotypes occidentaux  et qui tend à réduire  systématiquement toutes les femmes musulmanes à une seule  et unique dimension  culturelle.
*La seconde évidence à rappeler et que l’on oublie trop souvent est celle de « l’universalité » de la culture de discrimination envers les femmes.  L’inégalité des droits entre femmes et hommes a été la règle pendant des millénaires et  malgré des acquis incontestables, la situation subalterne des femmes est un phénomène qui transcende, à des degrés variables bien entendu,  toutes les cultures et toutes les civilisations. Aujourd’hui, l’imbrication du patriarcat et de l’ultralibéralisme ont induit de nouvelles formes dites « modernes », d’exploitation et de domination des femmes et ces dernières   aussi bien au Sud qu’au Nord, se retrouvent dans les mêmes situations de précarité « mondialisée ». L’égalité, ce principe fondateur des systèmes démocratiques universalistes, reste l’une des promesses les plus inaccomplies de la modernité et il apparaît donc évident que la lutte pour la reconnaissance et l’institutionnalisation  des droits égalitaires entre hommes et femmes est un combat encore inachevé dans le monde actuel[2].
Il serait important de préciser ici qu’il ne s’agit pas de refuser les critiques sur ce sujet mais ce qui est à refuser,  ce n’est pas tant, la critique de l’injustice dont sont victimes les femmes en terre d’islam et dans l’idéologie traditionaliste en cours,  et qui disons le clairement est une réalité malheureusement,  mais ce qui est critiquable c’est  la centralité, la logique du « un poids deux mesures » et la manipulation injustifiable dont fait l’objet cette question des femmes musulmanes dans l’agenda politique de certains gouvernements occidentaux et dans la vision paternaliste de certaines féministes occidentales.
(On véhicule des clichés récurrents et qui ont fait le tour du monde sur la femme afghane tant que cela justifie la main mise militaire et politique sur ce pays. Quant à l’idéologie sexiste de l’allié saoudien qui inonde, grâce aux pétrodollars, la production littéraire islamique, jusqu’à l’intérieur des sociétés occidentales, elle est « tolérée », vu les innombrables intérêts en jeu. Silence sur les exactions de ben Ali au nom d’une libération des femmes alibi de certains despotismes arabes !)
Loin de nous donc l’idée de diaboliser l’Occident et de le rendre responsable de tous nos maux et de nous conforter dans cette situation d’éternelles victimes comme le véhicule un certain discours islamique obnubilé, lui aussi,  par un éternel et imaginaire complot contre l’islam.(  idée de l’agenda politique extérieure occidentale à chaque fois que l’on a des débats concernant les femmes !)
Ce même discours islamique qui lui aussi véhicule la même vision sur l’Occident considéré comme un bloc homogène, avec le même type de stéréotypes et qui réduit tout l’Occident à un système amoral et en pertes de valeurs.
Il s’agit donc plutôt de dénoncer l’instrumentalisation politique de certaines problématiques comme celle, entre autres, des femmes musulmanes et de dénoncer ce qu’une certaine vision occidentale veut faire de cette problématique en l’essentialisant à outrance. Mais sans oublier pour autant que ceci n’est que le résultat d’une certaine réalité concrète cautionnée par un système religieux qui dans les pays majoritairement islamiques, lui aussi, instrumentalise cette question des femmes musulmanes.
Quelle réalité des femmes musulmanes ?
A ce niveau là, je crois qu’il faudrait savoir admettre,  que,  parmi toutes les critiques faites  à l’égard de l’islam et des musulmans, celles concernant le statut des  femmes, reste au fond relativement juste et ce malgré l’insoutenable instrumentalisation politique et médiatique internationale qui la sous tend.
Il faut le dire clairement, malgré les différentes situations dans laquelle vivent les femmes musulmanes de part le monde, il est évident, que leur situation reste marquée par la vision hégémonique d’une idéologie islamique officielle traditionaliste et rigoriste, et qui est devenue plus marquée depuis  l’avènement du retour du religieux depuis les années 80.
Il existe une sorte de « compromis » général par rapport à cette question autour de laquelle il y a des consensus tacites effectués à l’insu des femmes et de leur émancipation dans les différentes sociétés islamiques. De l’islam officiel des Etats, aux opposants islamistes en passant par les hauts conseils des Oulémas musulmans ou dans la culture populaire, c’est d’une même vision traditionaliste, misogyne et clairement discriminatoire envers les femmes dont il s’agit.
« L’islam honore la femme, lui a octroyé tous ses droits, l’a protégé… » C’est là l’essentiel du propos ressassé par beaucoup de musulmans, très souvent sincères, puisqu’il reflète dans le fond la véracité du message spirituel, mais qui n’en reste pas moins très insuffisant voire infructueux sur le plan de l’argumentaire. Un discours sur la défensive, qui s’essouffle avec le temps, car il s’évertue à démentir des imputations malheureusement contredites par le constat cinglant de la réalité des sociétés islamiques. Il y a en effet un contraste patent entre ce discours là et la réalité d’un vécu qui se dit et se veut respectueux des valeurs islamiques et où l’on justifie les pires discriminations envers les femmes.
En effet, même si la situation des femmes musulmanes a connu ces dernières décennies une amélioration concrète et varie de façon notable d’un pays à l’autre, (code moudawwana au Maroc , statut personnel en Tunisie)  selon le niveau socioculturel et éducationnel, il n’en reste pas moins que le statut juridique des  femmes musulmanes reste, de loin, des plus précaires au monde.
Il faudrait savoir reconnaître que les schémas éducatifs traditionnels, les dispositions discriminatoires du droit de la famille et le code du statut personnel, perpétuent, selon les pays, et à des degrés variables, de façon flagrante les inégalités et la subordination des femmes et ce dans la grande majorité des pays islamiques.
De l’analphabétisme (les taux dans les pays arabes sont les plus élevés au monde : 40% d’analphabétisme  - 65 millions - dont les femmes représentent les deux tiers), au statut juridique de mineure à vie, à l’absence d’autonomie, aux obstacles flagrants à la participation politique (5% de femmes parlementaires), en passant par les mariages forcés et les crimes d’honneur dans certaines régions…Tous ces abus restent malheureusement l’apanage quotidien d’un grand nombre de musulmanes et sont dans la plupart des cas cautionnés par une certaine lecture du religieux.
Le discours islamique actuel sur les femmes se réduit à une vision simpliste et normative centralisée essentiellement sur « les dérives tentatrices du corps des femmes »,  ou « Fitna »  et  présente comme seule alternative, l’invisibilité physique et sociale des femmes comme « défouloir » de toutes les frustrations culturelles.  
Ce discours traditionaliste est donc en déphasage par rapport à la réalité sociale musulmane qui évolue et se transforme de manière fulgurante sous les yeux de certains  savants musulmans qui, dépassés par ces évolutions, s’entêtent  à chercher des solutions surannées dans les réflexions de leurs prédécesseurs d’il y a plusieurs siècles.
Ce refus de cautionner toute tentative de « réforme » en particulier pour la condition des femmes est très révélateur de la crise identitaire que vit le monde musulman. En effet, les femmes, semblent représenter, le « dernier rempart » à défendre pour des sociétés minées par d’autres paramètres de précarité sociopolitique et économique et par défaut ces sociétés s’accrochent, tant que faire se peut, à des valeurs morales très rudimentaires.  Les femmes sont ainsi condamnées à être les « gardiennes » de cette morale et par extension de la religion elle même.  
Les musulmans, quant à eux, confrontés à cette hostilité grandissante envers leur religion et devant l’avalanche d’accusations érigés à leur encontre, s’enferment , quant à eux, dans un discours non moins caricatural puisque essentiellement alimenté par la réaction passionnelle et le repli justificatif. Soumis à une conjoncture internationale et des conditions politiques perçues comme humiliantes, le monde de l’islam, affaiblit déjà par un enfermement traditionnel, la pauvreté, le sous développement et le despotisme de ses régimes, perçoit ce genre de critiques et particulièrement celles qui ont attrait aux femmes, comme une marque d’ingérence culturelle totalement inconvenante voire intolérable.
Le discours de libération prônée par l’occident ne peut être crédible pour une certaine vision islamique car en plus d’être discrédité par des politiques internationales fondamentalement injustes envers un grand nombre de pays musulmans, il touche à l’un des derniers remparts de l’identité musulmane à savoir la femme. En effet, la femme semble représenter pour ce monde islamique à l’identité meurtrie, le dernier bastion à défendre…La femme musulmane symbolise à l’heure actuelle la victime de choix de cette construction idéologique en miroir et elle se doit, étant donné, sa position de gardienne de la morale, d’incarner le « contre modèle » de celui véhiculé par un occident
considéré comme étant en pertes de valeurs.
Et l’on remarque que malgré l’avènement des révolutions arabes, du vent de libération qui a soufflé dans ses contrées, la lutte réussie contre les régimes despotiques, a laissé place à une grande confusion au sein de l’espace politique et où malheureusement les femmes, malgré le rôle majeur qu’elles ont joué au sein des différentes révolutions, sont encore une fois marginalisées de l’action politique au nom d’une certaine lecture du religieux. (Egypte, Lybie, Yemen...à moindre degré, la Tunisie qui semble émerger…le Maroc même sans révolution, les fortes manifestations qui ont mené au changement de la constitution , le nouveau gouvernement affiche un retour en arrière par rapport à la représentation féminine !).


Analyses et conclusions :  répondre à la question femmes musulmanes et stéréotypes occidentaux : réalités ou préjugés ?
Comme on l’a évoqué au tout début de la conférence, la réalité et les préjugés cohabitent ensemble au sein de cette thématique très complexe des femmes musulmanes.
La réalité au sein de laquelle vivent les femmes musulmanes est donc très complexe car elle ne répond pas à cette  vision essentialiste qui est reproduite internationalement et qui dépeint les  femmes musulmanes comme étant soumises et aliénées.
Les femmes musulmanes représentent une diversité et une pluralité de vécus, d’histoires, de souffrances, de luttes mais aussi de réussite et d’exploits de tous les jours…
Alors,  est ce le religieux et donc l’islam apparemment si présent dans ces sociétés qui serait à l’origine de cette culture de discrimination envers les femmes ou bien les innombrables interprétations qui en ont été soutirées et qui ont fait de cette religion un puissant outil du patriarcat?
A ce niveau là je pense qu’il faudrait faire la part des choses et refuser l’assertion qui prétend que la discrimination et la dévalorisation des femmes seraient inhérentes aux textes sacrés de l’islam. Nul ne peut contester la situation déplorable des femmes  telle qu’elle est vécue dans les sociétés majoritairement islamique, mais il serait juste de distinguer entre le contenu spirituel du message de l’islam et ses diverses interprétations comme il faudrait savoir différencier entre ce qui émane d’une culture locale sociale structurellement patriarcale et ce qui relève des prescriptions spirituelles.
Il faudrait savoir différencier entre les sources originelles où l’on retrouve des orientations véritablement émancipatrices pour les femmes et les interprétations classiques qui ont vidé le message de son contenu spirituel et l’ont figé dans des compilations à contenu strictement juridique. Il est important de reconnaître que ce n’est pas le message spirituel de l’islam qui est intrinsèquement incompatible avec les droits de la femme mais l’interprétation sélective et abusive des lois et textes centraux par les autorités patriarcales.
Il faudrait donc pour ne pas tomber dans cette vision stéréotypée savoir faire la part des choses entre le message spirituel de l’islam et le vécu, les traditions et les systèmes religieux qui ont sclérosé toute la pensée islamique. Les raisons de ce verrouillage sont complexes, mais celle qui prédomine est principalement représentée par l’instrumentalisation politique du religieux en terres d’islam et ce depuis des siècles. Le drame du monde musulman n’est pas religieux il est essentiellement politique.
Il est curieux de constater que la question des  femmes  et celle du pouvoir politique en islam, sont étroitement et étrangement liées du point de vue historique.
En effet, les femmes ont été – et le sont toujours-  victimes d’un double despotisme : le patriarcat et l’autocratie. Ce sont ces deux pouvoirs absolus qui vont les  bâillonner  pendant des siècles et contribuer à la régression progressive de leur statut entérinée par ailleurs par le déclin de l’ensemble de la civilisation islamique.
Si l’on rajoute à tout cela le choc de la rencontre avec la colonisation occidentale on pourra aisément comprendre l’ampleur des dégâts dévastateurs sur le statut de la femme et ses séquelles traumatiques perceptibles encore de nos jours. Il faudrait aussi sur ce point rappeler l’importance de la dimension coloniale et de ses conséquences sur la question de la femme. En se protégeant contre le colonisateur, le monde musulman a d’abord séquestré la femme de peur qu’elle ne s’identifie à l’émancipation occidentale et qu’elle n’en transmette des valeurs jugées comme étant forcément anti-islamiques …
L’époque fragile des indépendances n’a pas pour autant été profitable, ni pour les femmes ni pour les hommes musulmans puisque bon nombre de slogans comme le nationalisme, le panarabisme, la laïcité, la démocratie, sont restés des slogans creux,  dévoyés, et qui  ont surtout légitimé les pires exactions, perpétrées par des régimes corrompus, sous la bénédiction des anciens colonisateurs…


Conclusion:
C’est ainsi que les  femmes musulmanes, dans leurs  représentations les plus diverses, restent  prise en otage entre deux visions conflictuelles et en éternelle confrontation : celle d’une approche musulmane traditionaliste, figée et anachronique et celle d’une approche occidentale ethnocentrique, véhiculant stéréotypes et clichés réducteurs et devenant actuellement de plus en plus islamophobe.
Entre ces deux perceptions c’est avant tout la parole des femmes musulmanes en question qui est dangereusement occultée…Et l’émancipation des femmes musulmanes ne peut réellement devenir effective sans une véritable prise de conscience et prise de la parole de ces femmes musulmanes elles mêmes et non des autres qui parleront pour elles et à leurs places !
Elles doivent donc se forger un autre chemin, en dehors de ces sentiers battus, au nom de leurs convictions spirituelles mais aussi de leur perspective  de femmes modernes. C’est donc sur un double registre, celui des droits humains universels et celui d’un référentiel religieux réapproprié que le chemin d’une véritable émancipation des femmes musulmanes peut avoir lieu et avoir toutes les chances de réussite.
Je voudrais avant de terminer préciser que c’est au sein de cette troisième voie que je m’inscris en tant que femme engagée dans la lutte des droits des femmes musulmanes à l’égalité et la dignité. Une troisième voie qui se doit d’être libérée aussi bien de l’aliénation occidentale que du  traditionalisme religieux sclérosé…
Une troisième voie, qui, au nom d’un référentiel et d’un enracinement spirituel, mais aussi au nom des valeurs partagées d’égalité, de dignité et de respect des droits individuels, lutte contre les extrémismes de tout bord et refuse la dévalorisation juridique, culturelle et sociale des femmes.
On a bien vu lors de ces révolutions arabes que les  femmes se sont  révoltées contre deux discours : celui de la lecture culturelle traditionaliste et celui des despotismes politiques. C’est dans ce sens qu’Il faudrait savoir déconstruire cette double composante : celle des inégalités sociopolitiques et celles des discriminations sexistes traditionnelles. Et c’est en travaillant sur ces deux volets démocratie et réformisme religieux que les transformations sociales peuvent avoir des chances de véritablement se concrétiser au sein de la réalité du terrain…
Il y aura surement encore d’énormes résistances à ce processus d’émancipation mais la dynamique est déjà en marche…et rien ni personne ne peut inverser le cours de l’histoire quand le changement est là…et l’histoire du monde musulman qui est de nouveau en marche  ne pourra désormais jamais plus se faire sans ses femmes !

 



2-        FEMMINISMO ISLAMICO:
           I PRECETTI DEL CORANO A PARTIRE DALLA
           PROSPETTIVA  DELL'UGUAGLIANZA DI GENERE 
           (Traduzione a cura di Casa Africa)


1-      Introduzione


Molti sembrano dubitare della legittimità del Femminismo Islamico (FI): perché tutto attualmente sembra dimostrare che femminismo e islam non possono che contraddirsi, anzi opporsi. E’ proprio grazie agli studi accademici e alle ricerche elaborate dalle donne nell’ambito del FI che si sono potuti mettere in evidenza all’interno dei testi sacri dell’islam dei principi fondanti dell’eguaglianza fra uomo e donna.
La prospettiva dell’eguaglianza di genere, o dell’approccio di genere, è recente nella strategia per la promozione dell’eguaglianza tra uomo e donna (adottata a Pechino nel 1995). Questa attualmente è considerata essenziale e addirittura prioritaria in tutti i campi al fine di assicurare l’eguaglianza dei diritti. Noi vogliamo dimostrare come a partire dal Corano e dai suoi precetti stabiliti 1400 anni fa e grazie ad una lettura riformista possiamo ritrovarvi dei concetti chiave riguardo la formulazione degli obiettivi della prospettiva di genere, cioè la promozione dell’uguaglianza dei diritti, così come dell’equa divisione delle risorse e delle responsabilità tra uomo e donna.
Ma prima bisognerebbe smontare qualche idea preconcetta sul femminismo e sull’islam

2-      Rimettere a posto alcune idee: smontare le idee preconcette.


Il femminismo in senso lato indica in un certo immaginario collettivo un movimento femminile, nato in occidente, che ha rivendicato l’uguaglianza, l’emancipazione e la liberazione da tutte le alienazioni, compresa quella culturale e patriarcale e, in particolare, quelle che hanno a che fare con la religione.
Quanto all’islam di per sé e in modo specifico la questione delle donne musulmane, essi riflettono un sistema di pensiero e un’ideologia che -secondo la visione di molti- si sono costruiti fuori dalla storia, dall’occidente e dalla modernità e sembrano costituire da un certo momento in poi l’esempio per eccellenza di una religione che opprime le donne!
Allora come si può parlare di femminismo musulmano quando le contraddizioni sono evidenti e i due concetti in antitesi?
Bisognerebbe innanzitutto smontare l’idea che esiste un solo femminismo:  
Definire il femminismo: Storicamente si può formulare la definizione di femminismo a partire da due ipotesi che apparentemente sembrano essere le uniche.

1-  Definizione ideologica restrittiva: che considera il femminismo una corrente politica che è nata in occidente e in modo specifico negli Stati Uniti e in Francia dopo la rivoluzione industriale e cioè verso la seconda metà del XIX secolo.

2-  Definizione universalista: che considera il femminismo come prodotto di una continua lotta delle donne contro l’oppressione patriarcale e che concepisce quindi una continuità di questa lotta lungo tutta la storia dell’umanità fuori da un contesto storico e/o geografico dato.

Peraltro è difficile delineare una teoria unica e precisa del femminismo dal momento che quest’ultimo è attraversato da varie correnti teoriche eterogenee, ma che tentano tutte di spiegare e di capire perché le donne si ritrovano, in un contesto dato e in un preciso momento in una condizione di subordinazione.
Comunque, per chiarire ciò e tentare di fornire un approccio concettuale del femminismo, si può riprendere questa definizione così come è stata formulata da Louise Toupin: “Il femminismo è una presa di coscienza prima individuale e poi collettiva seguita da una rivolta contro il modo in cui sono stati organizzati di rapporti tra i sessi e la posizione subordinata che le donne vi occupano in una data società, in un dato momento storico. Si tratta anche di una lotta per cambiare questi rapporti e questa situazione
Il problema è che c’è confusione tra i principi universali della lotta delle donne (femminismo) e i differenti modelli di femminismo.  
Esistono dei principi universali che costituiscono il fondamento delle lotte delle donne, di tutte le donne, principi che attraversano il mondo intero e i diversi modi di lottare: uguaglianza, lotta contro la discriminazione, libertà, dignità…mentre i modelli di lotta sono differenti e specifici in ciascun contesto: quindi sono dei femminismi.

Esempi di Differenti modelli:
- Il femminismo liberale: egualitario o riformista (fedele allo spirito della rivoluzione francese).
- Il femminismo radicale: differenzialista
- Il femminismo politico o marxista
- Evoluzioni attuali e metamorfosi: Gender studies (anni ’70); il Movimento Queer (gender
   trouble di Judith Butler); il femminismo ecologista…
- Il femminismo religioso: teologia della liberazione, cattolico (L’autre parole Quebec) o ebraico,
   buddista….
- Il femminismo postcoloniale: femminismo che denuncia i rapporti di dominazione a cui sono state soggette le donne del Sud. Il femminismo postcoloniale è un’entità plurale rappresentata dal femminismo nero, il femminismo “chicana” (ispanico), il femminismo autoctono (dei popoli nativi d’America), il femminismo arabo-musulmano e il femminismo indigeno. Questi diversi movimenti, pur mantenendo la loro specificità hanno contribuito a far emergere un nuovo pensiero femminista impegnato a ripensare l’oppressione delle donne alla luce dell’oppressione coloniale e dei contesti specifici delle donne del terzo mondo. Dei concetti come la colonizzazione, il razzismo o la schiavitù, assenti nel pensiero femminista egemone sono stati studiati dalle donne del Sud  partire dalla loro propria esperienza ed hanno permesso loro di sviluppare una loro propria strategia di resistenza e mobilitazione.
Il principale fronte comune di questi diversi movimenti è quello del rifiuto del discorso femminista egemone che ha fatto della condizione delle donne bianche della classe media occidentale LA condizione universale delle donne. Il femminismo post coloniale si colloca in questo senso, in rottura con il femminismo egemone che non ha considerato la voce delle altre donne, quella della così detta maggioranza silenziosa delle donne, rappresentata dalle nere, le ispaniche, le asiatiche e le donne arabe[3]. Il femminismo egemone ha costruito lo stereotipo delle donne del terzo mondo come donne passive, sempre vittime di una oppressione generalizzata e totalizzante. Così, focalizzandosi su questa immagine perfetta di vittima, le femministe occidentali, attraverso un sottile gioco del rovescio, vedono la loro propria emancipazione rivalorizzata e confermano la propria superiorità in quella che certe femministe post coloniali hanno chiamato «la differenza del  terzo - mondo». Questa differenza definisce la donna del terzo mondo come «religiosa» leggi «non progressista», «familista» leggi «tradizionale», «legalmente minorenne» leggi «che non ha ancora i suoi diritti», «illetterata» leggi «ignorante». Questa immagine in negativo della donna del terzo-mondo è necessaria per creare quella della donna occidentale emancipata, liberata, autonoma: l’una non esisterebbe senza l’altra[4] (scritti di Chandra Mohanty).

Il femminismo post coloniale, quindi, ha effettuato due grandi rotture in questo discorso teorico femminista egemonico, la prima è stata quella di decostruire l’immagine della donna del terzo -mondo così come è stata veicolata nel pensiero femminista dominante, la seconda  è stata quella di porre la domanda essenziale: “chi parla per chi?”.
Conclusioni:
Ecco che le donne musulmane ne hanno avuto abbastanza di vedere le altre parlare a nome loro, di vedere che erano soggetti passivi della loro storia e del loro vissuto. Hanno deciso di parlare loro per se stesse e di smontare loro stesse che l’islam, la loro religione, fosse la causa della loro oppressione e della loro disuguaglianza! Di qui l’emergere del femminismo islamico. 

3-  Il femminismo islamico: emergere di un movimento di rinnovamento femminile nell’islam


Smontare l’idea di un islam che opprime le donne e di donne musulmane soggetti  passivi della loro storia.
Non lo si ripeterà mai abbastanza: non è l’islam che opprime le donne, ma piuttosto la lettura che ne è stata fatta da secoli e che attraverso interpretazioni umane e l’accumularsi di compilazioni esegetiche ha radicato una visione discriminatoria delle donne sicuramente favorita da culture strutturalmente patriarcali.
E’quello che alla fine hanno capito alcune donne musulmane che da una ventina d’anni cercano di lottare contro questa lettura discriminatoria e armate del loro sapere accademico, teologico e sociologico sono andate a vedere direttamente cosa dicono i testi sacri dell’islam. Così hanno scoperto che c’era una discrepanza enorme tra ciò che diceva il messaggio spirituale e ciò che raccomandava la maggior parte delle letture interpretative e in particolare quelle del diritto musulmano o Fiqh.
Il rinnovamento femminile in questione
- Non si può quindi fare a meno di constatare l’esistenza all’interno del mondo musulmano, ma anche nelle comunità che vivono in occidente, di una dinamica femminile in cammino che lungi dall’essere uniformata pare essere attraversata da sensibilità diverse e di cui, ciascuna a suo modo, cerca di mettere in discussione il conformismo socio politico tradizionale dello status delle donne.
Il fatto è che di fronte ad un discorso islamico che rimane ancorato al passato e completamente scollato nei confronti della realtà attuale le nuove generazioni di musulmane -e di musulmani-esprimono il bisogno di una terza via che non toglierebbe nulla né alla loro ricerca di senso spirituale né alla loro aspirazione ad una cittadinanza egualitaria decente in questa modernità «globalizzata».
L’emergere di questa nuova coscienza femminile musulmana all’interno di questa globalizzazione e di questa crisi identitaria diffusa costituisce un posta in gioco fondamentale per il futuro delle società arabo musulmane come anche delle comunità e delle minoranze musulmane in occidente. Il vissuto delle donne musulmane per sia quanto diversificato, sembra  rappresentare uno stesso dilemma, quello di donne che per la maggior parte si ritrovano lacerate tra la loro appartenenza culturale -con le sue costrizioni e contraddizioni- e la loro ambizione legittima a più libertà, più autonomia e più diritti egualitari riconosciuti.
Il nucleo di questo rinnovamento femminile nell’islam risiede nella rivendicazione legittima da parte di donne musulmane, accademiche, teologhe, universitarie, militanti di associazioni ed altre, a sviluppare un discorso che sia loro proprio. Bisogna dirlo chiaramente le donne musulmane non ne possono più di essere «oggetto di studio», di essere dei carpi espiatori, di vedere che si parla sempre al loro posto e che le si rimanda sempre allo stesso stereotipo: quello di essere perennemente minori, soggetti passivi della loro storia e ostaggi di discorsi che gli altri fanno e rifanno a seconda degli avvenimenti geopolitici!
E’ così che una della principali tappe di questo rinnovamento è stato quello di scomporre il discorso religioso tradizionalista e profondamente discriminatorio nei confronti delle donne proponendo contemporaneamente una nuova lettura delle scritture a partire da una prospettiva femminile.
Tutto ciò innanzitutto per ovviare alle lacune storiche dovute all’assenza della visione femminile nella produzione islamica, ma anche allo scopo di apportare le prospettive e le scelte proprie delle donne musulmane d’oggi. Questo progetto intellettuale è un progetto di emancipazione delle donne che costituisce una nuova via contestualizzata di comprensione dell’islam, comprensione che da molto tempo era monopolio esclusivo dei soli uomini e Ulema musulmani.
Il discorso portato avanti da questa nuova generazione di donne musulmane, è un discorso che paradossalmente di fronte all’idea veicolata di un islam generatore di discriminazioni  sottolinea la centralità e l’importanza della dinamica liberatrice nell’ambito del mondo islamico . Avendo avuto accesso alle fonti testuali e in particolare alla dimensione etica del Corano queste donne hanno capito che la loro reclusione millenaria non dipende dal  messaggio spirituale dell’islam, ma piuttosto da tutte le interpretazioni umane che si sono accumulate nelle compilazioni accademiche religiose –oltre che nella mentalità- e che sono state favorite da contesti socio culturali strutturalmente sfavorevoli alla presenza femminile nello spazio pubblico.
Il patriarcato di ieri e di oggi connesso a manipolazioni politiche ricorrenti della religione hanno costituito nel corso dei secoli fino ad oggi i principali meccanismi di controllo delle donne musulmane -e degli uomini-.
Le donne portatrici di questo rinnovamento sono quindi coscienti della dinamica determinata dal messaggio spirituale dell’islam per la liberazione delle donne nel corso della rivelazione storica.
E’ in questo senso che cercano di tornare allo «spirito» del Corano che ha giocato un ruolo propulsivo in  materia di emancipazione delle donne e questo spesso in controtendenza con i costumi patriarcali dell’epoca. Grazie alle loro ricerche teologiche ed accademiche queste donne hanno dimostrato, argomenti testuali del Corano alla mano, che il discorso sull’uguaglianza tra uomini e donne è assolutamente valido all’interno stesso dell’islam e che le fonti dell’islam non costituiscono in alcun modo un ostacolo all’instaurarsi dei diritti di uguaglianza tra uomini e donne. Queste così dette proibizioni religiose che riguardano le donne e che ci tirano fuori in ogni occasione semplicemente non esistono nei testi sacri, ma solo nella lunga tragedia storica di una lettura del religioso che è rimasta ostaggio delle sue derive secolari.
Per questo l’approccio del FI consiste in una nuova lettura dei testi a partire da una prospettiva femminile e riformista.

4-  Necessità di una lettura riformista: Lo studio approfondito e l’approccio riformista delle fonti devono tener conto della presenza di tre diversi livelli nei versetti del Corano:

 

a-      Versetti universali: che prescindono dal genere e che mettono l’essere umano (al insan) al centro di tutta la filosofia spirituale. Essi costituiscono di fatto la base del messaggio coranico, e riproducono i valori universali di giustizia e di uguaglianza. Questi versetti sono da considerare come il riferimento universale da condividere con il resto dell’umanità. Sono questi i valori che sono attualmente sanciti da tutte le convenzioni internazionali che promuovono innanzitutto il rispetto dei diritti e della dignità umana (wa lakad karamna bani adam).
   
b-      Versetti congiunturali: Che sono stati rivelati per rispondere a domande esplicite all’epoca della rivelazione, come quelle riguardano la schiavitù, la preda di guerra, il concubinato, o quelle che attengono alle punizioni corporali, e che corrispondono ad un tappa conclusa della civiltà umana. 
c-       Versetti specifici: Che si volevano in accordo con le aspettative e le strutture patriarcali dell’epoca e che hanno avvallato dei comportamenti discriminatori, o che li hanno attenuati senza peraltro abrogarli. E’ questo il caso della poligamia che fu considerata come una concessione agli arabi dell’epoca molto legati a questa tradizione, ma che contemporaneamente venne condizionata per dissuaderne i sostenitori. Bisogna ricordare che i primi riformisti musulmani dell’epoca della Nahada non hanno avuto alcuna esitazione a rivendicare la soppressione pura e semplice della poligamia (Mohammed Abdou in Egitto e Allal el Fassi in Marocco).

Questa è una visione globale che deve essere capita a livello dell’etica del Corano, cioè quella che attribuisce la priorità ai valori universali di giustizia, uguaglianza e rispetto della dignità umana.
Ritornare sulla visione degli uomini e delle donne entro la visione olistica vuol dire ritornare sulla visione degli «esseri umani» e sullo sconvolgimento spirituale che ha conosciuto la civiltà umana con l’avvento dell’islam cioè quello della liberazione dell’essere umano da tutte le oppressioni. La base del messaggio coranico si trova in questa esigenza di giustizia (el adl: 300 volte nel Corano) e di liberazione: cosa che ritroviamo nei concetti di «almooustadaafoune fil ard et muhrarran»


La ragione, la giustizia, la libertà di coscienza (el aql, el adl,  huryate al aquida man chaa falyouamine) sono i valori fondanti che sono al centro della fede coranica e che l’islam è venuto a far rinascere dalle ceneri dell’oblio dei messaggi precedenti e dall’indifferenza del cuore degli esseri umani.
E’ a partire da questi tre valori, veri fondamenti dell’islam che bisognerebbe rileggere oggi il Corano e rimettere la tematica delle donne al centro dell’esigenza coranica di liberazione degli esseri umani.
Esempi di concetti chiave di uguaglianza…(omissis)
Riferimenti ai documenti annessi: versetti egualitari…(omissis)

Conclusioni:  Il FI: essere femminista musulmana vuol dire liberarsi sia del patriarcato religioso che di quello politico 


La maggioranza delle donne mussulmane di oggi aspirano a vivere un islam addolcito, in armonia con le loro libertà individuali e la loro ricerca di senso. Esse vogliono vivere come donne, musulmane, pienamente attrici dei loro cambiamenti, dei loro sogni e delle loro ambizioni…E’ importante smontare e demistificare l’immagine stereotipata del mondo musulmano e soprattutto delle sue donne mediante dibattiti realisti e costanti per mettere in discussione l’approccio etnocentrico alla storia delle lotte per l’uguaglianza che tende a presentare le donne occidentali e il referente occidentale come i soli detentori degli ideali egualitari.
Tutte le lotte umane per la giustizia sociale, l’uguaglianza e la libertà e i loro protagonisti, quali essi siano, devono essere rispettati e accettati all’interno di un referente umano veramente universale. Nessuna cultura e civiltà ha il monopolio dell’uguaglianza, della perfezione democratica, o ancora meno di una società ideale. Ne è prova il fatto che la primavera araba ha mobilitato uomini e donne in quanto cittadini/cittadine sul fronte delle rivendicazioni per la dignità, l’uguaglianza e la democratizzazione della vita politica. Anche se il futuro è ancora incerto, resta fermo il fatto che all’interno del mondo arabo e musulmano il FI  è una opportunità sia per le donne che per gli uomini, dato che la liberazione delle donne a partire dal loro riferimento islamico permetterà di portare a compimento la transizione democratica attualmente in corso. 



Féminisme islamique : les préceptes du Coran à partir de la perspective d’égalité de genre
(Testo originale della relazione)

1-     Introduction :

Beaucoup semblent douter de la légitimité du FI : car tout semble démontrer actuellement que F et islam ne peuvent que se contredire voire s’opposer. Or c’est bien grâce aux études académiques et recherches élaborés par les femmes dans le domaine du FI, que l’on a pu mettre en évidence au sein des textes sacrés de l’islam , des principes fondateurs de l’égalité entre H et F.
La perspective de l’égalité de genre ou approche genre est récente dans la stratégie de promotion de l’égalité entre H et F (adoptée en 1995 à Beijing). Elle est actuellement considérée comme étant essentielle voire prioritaire dans tous les domaines afin d’assurer cette égalité de droits. Nous allons démontrer comment à partir du Coran et de ses préceptes édictés il y a 1400 ans  et grâce à une lecture réformiste on peut y retrouver des concepts clés quant à la formulation des objectifs de l’approche genre, à savoir,   la promotion de l’égalité des droits ainsi qu’un partage équitable des ressources et responsabilités entre les F et les H.
Mais avant cela, il faudrait déconstruire quelques idées reçues sur le féminisme et islam.

2-     Remettre quelques idées en place : déconstruire les idées reçues :
Le féminisme dans sa conception la plus large désigne, dans un certain imaginaire collectif,  un mouvement féminin, nait en Occident,  qui a revendiqué l’égalité, l’émancipation et la libération de toutes les aliénations aussi bien culturelle, que patriarcale et  dont notamment celles en rapport avec le religieux.
L’islam quant à lui et particulièrement cette question des femmes musulmanes reflète quant à elle un système de pensée et une idéologie qui  – selon la vision de beaucoup – s’est édifié en dehors de l’histoire, de l’occident, de la modernité…et semble illustrer depuis un certain moment maintenant la religion qui opprime les femmes par excellence !
Alors comment peut-on parler de féminisme musulman alors que les contradictions sont flagrantes et que les deux concepts apparaissent antinomiques.
 Il faudrait d ‘abord commencer par déconstruire l’idée de l’existence d’un seul féminisme :
Définir le féminisme : historiquement, on peut formuler la définition du féminisme selon deux hypothèses, apparemment exclusives.

1- Définition idéologique restrictive : qui considère que le féminisme est un courant politique qui a pris naissance en Occident - plus particulièrement aux Etats Unis et en France- après l’âge industriel, à  savoir,  vers la deuxième moitié du XIXe siècle. 
2- Définition universaliste :  qui considère que le féminisme est le produit  d’une lutte continue des femmes contre l’oppression patriarcale et qui conçoit donc une continuité de cette lutte au cours de l’histoire de l’humanité en dehors d’un contexte historique ou géographique donnés

Il reste aussi difficile de cerner une théorie  précise et unique du féminisme, puisque ce dernier est traversé par divers courants théoriques hétérogènes, mais qui, tous tentent d’expliquer et de comprendre pourquoi les femmes, se retrouvent-elles, dans un contexte donnée et à un moment précis, dans une position de subordination .
On peut cependant, pour illustrer le propos et tenter de donner une approche conceptuelle du féminisme, reprendre cette définition telle que formulée par Louise Toupin : « Le féminisme est une prise de conscience d’abord individuelle, puis ensuite collective, suivie d’une révolte contre l’arrangement des rapports de sexe et la position subordonnée que les femmes y occupent dans une société donnée, à un moment donnée de son histoire. Il s’agit aussi d’une lutte pour changer ces rapports et cette situation »
Le problème est qu’il y a Confusion entre les principes universels de la lutte des femmes (féminisme) et les différents modèles de féminisme
Il existe des  principes universels  qui constituent le fondement des luttes des femmes de toutes les femmes à travers le monde et les différents modèles de lutte : égalité, lutte contre la discrimination, liberté, dignité…tandis que les modèles de lutte sont différents et spécifiques à chaque contexte : donc des féminismes

Exemples de Différents modèles :
                -     Le féminisme libéral : égalitariste ou réformiste
                       (fidèle à l’esprit de la révolution française)
                -     Le féminisme radical : différentialiste
                -     Le féminisme politique ou marxiste
                -     Evolutions actuelles et métamorphoses :
                       Gender studies (années 70) , le Mouvement Queer (gender trouble de Judith
                       Butler) ;le  féminisme écologique…
  -        Le féminisme religieux : théologie de la libération , catholique (l’autre parole
         Québec) ou juif., bouddhiste..
  -      Le féminisme postcolonial : féminisme qui dénonce les rapports de domination dont  sont restées soumises les femmes du Sud. Le féminisme postcolonial est une entité plurielle représentée par le féminisme noir, le féminisme chicana (latino), le féminisme autochtone (des peuples amérindiens), le féminisme arabo-musulman et le féminisme indigène. Ces différents mouvements, tout en gardant leur propre spécificité, ont contribué à faire émerger une nouvelle pensée féministe qui s’est attelé à repenser l’oppression des femmes à la lumière de l’histoire coloniale et des contextes particuliers des femmes du tiers monde. Des concepts comme la colonisation, le racisme ou l’esclavage, absents dans la pensée féministe hégémonique, ont été étudiés à partir de la propre expérience des  femmes du Sud et ont permit à ces dernières de développer leur propre stratégie de résistance et de mobilisation.
Le principal front commun des ces différents mouvements est sans aucun doute celui du refus du discours féministe hégémonique qui a érigé la condition des femmes blanches de la classe moyenne occidentale comme étant LA condition universelle des femmes.  Le féminisme postcolonial se situe, dans ce sens, en rupture avec le féminisme hégémonique qui n’a pas pris en compte la voix des autres femmes autrement dit de la majorité silencieuse des femmes , représentée par les noires, les latinos, les asiatiques et les femmes arabes[5].. Le féminisme hégémonique a surtout érigé les femmes du tiers monde comme des femmes  passives, toujours victimes d’une oppression généralisée et totalisante. En se focalisant ainsi sur ces victimes de choix, les féministes occidentales, par un subtil jeu d’inversion , voient leur propre émancipation revalorisée et confirment leur supériorité dans ce que certaines féministes postcoloniales ont dénommé « la différence du tiers - monde » . Cette différence définit la femme du tiers monde comme « religieuse » comprenez « pas progressiste », « familialiste » comprenez « traditionnelle » , « légalement mineure » comprenez « qu’elles n’ont pas encore leurs droits », « illettrée » comprenez « ignorante » … : cette figure repoussoir de la femme du tiers monde est nécessaire pour créer celle de la femme occidentale émancipée, libérée, autonome, l’une n’existerait pas sans l’autre[6]. (travaux de Chandra Mohanty).
Le féminisme postcolonial,   a   donc, opéré deux ruptures majeures dans le discours théorique féministe : la première étant la déconstruction de l’image de la femme du tiers monde telle qu’elle a été véhiculée dans la pensée féministe dominante et la deuxième rupture étant de poser la question essentielle de qui parle pour qui ?
Conclusion :
Justement les femmes musulmanes ont eu assez de voir les autres parler en leur nom, de voir qu’elles étaient des actrices passives de leur histoire et de leur vécu. Elles ont décidé de parler pour elles mêmes et de déconstruire elles mêmes l’idée que l’islam, leur religion était la cause de leur oppression et de leur inégalité ! D’où l’émergence du FI.

3-     Le Féminisme islamique : émergence d’un mouvement de renouveau féminin en islam
Déconstruire l’idée d’un islam oppresseur des femmes et des femmes musulmanes actrices passives de leur histoire :
On ne le dira jamais assez : ce n’est pas l’islam qui opprime les femmes mais bien la lecture qui en a été faites depuis des siècles et qui à travers des interprétations humaines et l’accumulation des compilations d’exégèse ont enraciné dans les mentalités une vision discriminatoire des femmes, favorisée certes par des cultures structurellement patriarcales.
C’est ce qu’ont finalement compris des femmes musulmanes qui depuis une 20 d’années maintenant  tentent de lutter contre cette lecture discriminatoire et armées de leurs savoir académique, théologique et sociologique sont elles mêmes partis voir ce que disent les textes sacrés de l’islam. Elles ont alors  découvert qu’il y a avait un décalage énorme entre ce que disait le message spirituel et ce que prônait la majorité des lectures interprétatives et notamment celles du droit musulman ou Fiqh.
Le renouveau féminin en question
- Force est de constater donc, l’existence, au sein du monde musulman, mais aussi dans les communautés vivant en Occident,  d’une dynamique féminine en marche qui loin d’être uniformisée, semble être traversée par des sensibilités diverses et dont chacune à sa manière, tente de  remettre en cause le conformisme sociopolitique traditionnel du statut des femmes.
C’est que, devant un discours islamique qui reste passéiste et complètement décalé par rapport à la réalité actuelle, les nouvelles générations de musulmanes - et de musulmans –, formulent le besoin d’une troisième voie qui ne ferait l’économie, ni de leur quête de sens spirituel ni de leur aspiration à une citoyenneté égalitaire décente dans cette modernité « mondialisée ».
L’émergence de cette nouvelle conscience féminine musulmane, au sein  de cette mondialisation et de cette crise identitaire diffuse,  constitue un enjeu primordial pour le devenir des sociétés arabo-musulmanes mais aussi des communautés et des minorités musulmanes vivant en Occident.  Le vécu des femmes musulmanes, aussi diversifié qu’il soit, semble être représentatif d’un même dilemme, celui de femmes qui pour la plupart d’entre elles, se retrouvent déchirées entre leur appartenance culturelle - avec  ses contraintes et contradictions -  et leur ambition légitime à plus de liberté, d’autonomie et de droits égalitaires reconnus.
Le noyau central de ce renouveau féminin en islam réside dans la revendication légitime de femmes musulmanes, académiciennes, théologiennes, universitaires, militantes associatives et autres à développer un discours qui leur soit propre. Il faut le dire clairement, les femmes musulmanes, ont assez d’être des « sujets d’étude », d’être des boucs émissaires, de voir que l’on parle toujours à leur place et qu’on les renvoie toujours à la même symbolique : celles d’éternelles mineures, sujets passives de leur histoire et otages de discours que les autres font et refont au gré des évènements géopolitiques!
C’est ainsi que l’une des principales étapes dans ce renouveau a  été de déconstruire le discours religieux traditionaliste et profondément discriminatoire envers les femmes tout en  proposant une nouvelle lecture des textes scripturaires à partir d’une perspective féminine.
Ceci, afin d’abord de pallier aux lacunes historiques dues à l’absence de la vision féminine dans la production islamique, mais aussi afin d’y apporter leurs propres perspectives et leurs propres choix de femmes musulmanes d’aujourd’hui. Ce projet intellectuel est un projet d’émancipation des femmes qui constitue une nouvelle voie, contextualisée de compréhension de l’islam, laquelle compréhension  a longtemps était le monopole exclusif des seuls hommes et Oulémas musulmans.
Le discours prôné par cette nouvelle génération de femmes musulmanes est un discours qui paradoxalement à l’idée véhiculée d’un islam générateur de discriminations, est un discours qui souligne la centralité et l’importance de la dynamique libératrice au sein du référentiel islamique . Ayant eu accès aux sources textuelles et notamment à la dimension éthique du Coran, ces femmes ont comprit que ce n’est pas le message spirituel de l’islam qui est en cause dans leur réclusion millénaire, mais bien toutes les interprétations humaines, qui se sont accumulés dans les compilations académiques religieuses – mais aussi dans les mentalités - et qui ont été favorisés par des contextes socioculturels structurellement défavorables à la présence féminine dans l’espace public.
Le patriarcat d’hier et d’aujourd’hui intriqué à des manipulations politiciennes récurrentes de la religion ont, depuis des siècles et jusqu’à présent, constitués les principaux mécanismes de contrôle des femmes -et des hommes- musulmans.
Les femmes porteuses de ce renouveau sont ainsi conscientes de la dynamique impulsée par le message spirituel de l’islam dans la libération des femmes au cours de la révélation historique.
C’est dans ce sens qu’elles essayent de revenir à « l’état d’esprit » du Coran qui a joué un rôle propulseur en matière d’émancipation des femmes et ce souvent d’ailleurs à contre courant des coutumes patriarcales de l’époque. Grâce à leurs recherches théologiques et académiques ces femmes ont démontré, arguments coraniques à l’appui, que le discours sur l’égalité entre hommes et femmes est complètement valide de l’intérieur de l’islam et que les sources scripturaires de l’islam ne constituent en aucun cas une entrave à l’instauration des droits égalitaires entre hommes et femmes. Ces soit disant interdits religieux envers les femmes que l’on nous sort à chaque occasion n’existent tout simplement pas dans les textes sacrés mais dans la longue tragédie historique d’une lecture du religieux qui est restée otage de ses propres dérives séculaires.
Pour cela l’approche du FI consiste à faire une nouvelle lecture des textes à partir d’une perspective féminine et réformiste.
4-      Nécessité d’une lecture réformiste : L’étude approfondie  et l’approche réformiste des sources  doit tenir  compte de la présence des  trois différents niveaux de versets dans le Coran :
a- Des versets universels : qui transcendent le genre, et qui mettent l’être humain (al insan) au centre de toute la philosophie spirituelle. Ils constituent de ce fait  le socle du message coranique,  et reproduisent les valeurs universelles, de justice et d’égalité. Ces versets sont à considérés comme un référentiel universel à partager avec le reste de l’humanité. Ce sont ces valeurs qui sont prônées actuellement par toutes les conventions internationales qui prônent  avant tout le respect des droits et de la dignité humaine (wa lakad karamna bani adam).
  b-  Des versets conjoncturels : qui ont été révélés afin de répondre à des demandes explicites de l’époque de la révélation comme ceux concernant l’esclavage, le butin de guerre,  le concubinage ou ceux qui ont attrait aux châtiments corporels et qui correspondent à une étape révolue de la civilisation humaine.
       c-  Des versets spécifiques : qui se voulaient en accord avec les attentes et les structures
 patriarcales de l’époque et qui ont avalisé ou atténué des comportements discriminatoires sans pour autant les abroger. C’est le cas de la polygamie, qui fut considérée comme une concession permise aux arabes de l’époque très attachés à cette tradition, mais tout en l’a conditionnant afin de dissuader les partisans. Il est à rappeler que les premiers réformistes musulmans de l’époque de la Nahda n’ont eu aucune hésitation à revendiquer la suppression pure et simple de la polygamie (Mohammed Abdou en Égypte et Allal el fassi au Maroc).
C’est une vision  globale qui doit être comprise au niveau du sens et de l’éthique du Coran, à savoir celle qui érige en priorité les valeurs universelles de justice, d’égalité et de respect de la dignité humaine. 
Revenir sur la vision des hommes et des femmes au sein de la vision holistique, c’est  revenir sur la vision des « êtres humains » et  au bouleversement spirituel qu’a connu la civilisation humaine avec l’avènement de l’islam à savoir celui de la « libération » de l’être humain de toutes les oppressions. Le socle du message coranique se situe là dans cette exigence de justice (el adl : 300 fois dans le Coran) et de libération : c’est ce que l’on retrouve dans les concepts de « almooustadaafoune fil ard et muhrarran »




 La raison, la justice et la liberté de conviction et (el aql, el adl,  huryate al aquida man chaa falyouamine)sont ces valeurs socles qui sont au cœur de la foi coranique, que l’islam est venu faire renaitre, des cendres de l’oubli des messages antérieures et de l’indifférence des cœurs des êtres humains.
C’est à travers ces trois valeurs, véritables fondamentaux de l’islam, qu’il faudrait relire le Coran aujourd’hui et replacer la thématique des femmes au cœur de cette exigence  coranique de la libération des êtres humains. 
Exemples de concepts clé égalité (…omissis)
Voir documents annexes : versets égalitaires  dans le Coran (…omissis)
Conclusion : Le FI : être féministe musulmane c’est se libérer aussi bien du patriarcat religieux que politique.
La majorité des femmes musulmanes d’aujourd’hui aspirent à vivre un islam apaisé, en harmonie avec leurs libertés individuelles et leur quête de sens. Elles veulent vivre en tant que femmes, musulmanes, épanouies, actrices de leurs propres changements, de leurs rêves, et de leurs ambitions…Il est important  de déconstruire et de démystifier l’image  stéréotypée du monde musulman mais surtout de ses femmes à travers des débats réalistes et constants afin de déconstruire cette approche ethnocentrique de l’histoire des luttes pour l’égalité qui tend à présenter les femmes occidentales et le référentiel occidental comme étant les seuls détenteurs des idéaux égalitaristes.
Toutes les luttes humaines pour la justice sociale, l’égalité et la liberté et ce quelques que soient leurs référentiels, doivent être  respectées et  acceptées au sein d’un véritable référentiel universel  humain. Aucune culture ni civilisation n’a le monopole de l’égalité, de la perfection démocratique ni encore moins de l’idéal sociétal…La preuve en n’est est que le printemps arabe a mobilisé hommes et femmes en tant que citoyens /citoyennes et par le biais de revendications en terme de dignité, égalité et démocratisation de la vie politique. Même si les lendemains sont incertains encore il reste qu’au sein du monde arabe et musulman le FI est une chance aussi bien pour les femmes que pour les hommes, puisque la libération des femmes à partir de leur référentiel islamique leur permettra de faire aboutir   la transition démocratique en marche actuellement…

[1] Le statistiche sulle donne nel mondo sono allarmanti: 100 milioni di donne scomparse in Asia, la tratta delle bianche nel cuore dell’Europa, il fenomeno della violenza contro le donne (vedi il rapporto di Amnesty International),  sul nostro pianeta almeno il 20% delle donne sono vittime di stupri o di maltrattamenti: in www.aidh.org/Femme/sit_amnesty01.htm. 
[2] Les statistiques  sur les femmes dans le monde sont alarmantes : 100 millions de femmes manquantes en Asie, la traite des blanches au cœur de l’Europe, le phénomène de la violence contre les femmes : voir le rapport d’Amnesty International ; sur notre planète  au moins 20% des femmes sont victimes de viols ou de mauvais traitements ; in www.aidh.org/Femme/sit_amnesty01.htm.
[3] Vedi per maggiori dettagli l’articolo di  Laetitia Dechaufour, « Introduction au féminisme postcolonial et genèse de ce courant » : www.resistingwomen.net.
[4] Third world différence ; vedi l’articolo supra 
[5] Voir pour plus de détails l’article de Laetitia Dechaufour, « Introduction au féminisme postcolonial et genèse de ce courant » : www.resistingwomen.net.
[6] Third world différence ; voir article supra .