dicembre 29, 2014

IRAN. Istituito il servizio di taxi gestito da donne





Mentre in Arabia Saudita alle donne è fatto divieto di guidare, in Iran è stato istituito un servizio di taxi gestito da sole donne. I “taxi rosa” sono identificati dal colore verde e si caratterizzano per essere utilizzati soprattutto dalle donne che affermano di sentirsi più sicure se al volante c’è una donna.

Le esigenze della vita moderna provocano in Iran contrapposizioni continue tra i modelli culturali patriarcali islamici e le condizioni di vita femminili. Una caratteristica della cultura  iraniana è che il forte senso della tradizione si accompagna ad una altrettanto forte fede nel progresso, nella scienza e nel sapere, che è condivisa da tutti i gruppi politici. E così nemmeno la politica integralista del presidente Ahmadinejad è riuscito a rimandare le donne al focolare.

Le donne sono il motore del cambiamento sociale in Iran, ha detto Shirin Ebadipremio Nobel per la pace, che è diventata il simbolo del movimento femminista iraniano.


Ci sono donne a Teheran che dirigono ospedali e giornali, che lavorano come ingegneri dei cantieri di costruzione, che sono a capo dei reparti femminili della polizia. Le ragazze sono il 65 per cento degli studenti universitari. E ai test per l'ammissione alle università (tutte a numero chiuso) le ragazze sono ogni anno più del 60 per cento e i ragazzi meno del 40 per cento degli ammessi tanto che il regime ha deciso di fissare delle quote azzurre, in modo da assicurare la presenza di più maschi negli atenei. Molti deputati conservatori che vorrebbero la divisione per sesso tra i medici (le donne medico a loro avviso dovrebbero riservare le loro prestazioni alle pazienti femmine) hanno visto un nuovo pericolo nella crescita delle donne medico. Lo stesso per quanto riguarda farmacisti e dentisti, tra i quali i laureati sono già al 60 per cento donne (da la Repubblica.it esteri, leggi tutto).

mg

ARABIA SAUDITA. Hisham Fageeh, "No Woman, No Drive"




Hisham Fageeh è un comico e attivista sociale saudita, nato a Riyad il 26 ottobre 1987. Nel giorno del suo 26° compleanno, il 26 ottobre 2013, giornata scelta dalle attiviste saudite per sfidare il divieto di guida, ha pubblicato su YouTube la canzone "No Woman, No Drive", "remake" della famosissima canzone di Bob Marley "No Woman, No Cry", a sostegno della lotta delle donne saudite per il diritto di guidare, a dimostrazione che quella del divieto di guida per le donne non è solo una questione femminile.


No donna, no guida
No donna, no guida
No donna, no guida
No donna, no guida

 Eh, eh,
 Eh, ricordo quando te ne stavi seduta
 Nell'auto di famiglia, ma sul sedile dietro
 Le uova, le ovaie tutte belle al sicuro
 Così puoi fare un sacco di bambini

 Buoni amici avevamo, buoni amici abbiamo perso
 Sull'autostrada
 In questo futuro luminoso
 Non puoi dimenticare il passato
 Quindi metti via le chiavi della macchina

 No donna, no guida
 No donna, no guida
 Hey, sorellina, non toccare quel volante
 No donna, no guida

 Ricordo quando te ne stavi seduta
 Nell'auto di famiglia, ma sul sedile dietro
 Certo l'autista può portarti dappertutto
 Perché le regine non guiiiiidano

 Però puoi prepararmi il pranzo
 Che potrei dividere con te
 Il tuo unico mezzo di trasporto sono i piedi
 Ma solo dentro casa
 E quando te lo dico io, insomma!

 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene
 E tutto andrà bene

 No donna, no guida
 No donna, no donna, no guida
 Hey, sorellina, non toccare quel volante
 No donna, no guida.

ARABIA SAUDITA. Women to Drive, per il diritto di condurre la propria vita





Nuovo giro di vite in Arabia Saudita contro le donne al volante, un comportamento considerato una forma eccessiva di emancipazione femminile. Dovranno comparire davanti ad un tribunale che si occupa di «terrorismo» le due militanti arrestate recentemente per aver difeso il diritto delle donne a guidare. Una delle due donne è Loujain Hathloul, che era stata arrestata il primo dicembre, dopo essere stata fermata alla frontiera tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti da dove proveniva a bordo di un’auto. La seconda è la giornalista Maysaa Alamoudi, anche lei saudita ma trasferitasi negli Emirati, arrestata per aver difeso Loujain. «Il loro caso sarà portato davanti ad un tribunale anti-terrorismo», ha detto un attivista precisando che i loro avvocati sono pronti a ricorrere in appello. Le due donne hanno creato un programma su Youtube contro il divieto per le donne di stare al volante (leggi la notizia).


Da anni le donne saudite hanno iniziato forme di mobilitazione per il diritto di guidare, che altro non significa che il diritto di condurre la propria vita.

Nel giugno 2011, sull’onda della primavera araba, vi è stata la prima mobilitazione ufficiale delle donne contro il divieto di guidare. La mobilitazione è andata avanti nonostante l'arresto dell'organizzatrice, Manal al-Sharif. 

Un anno fa, ad ottobre del 2013, le donne saudite hanno lanciato la campagna per il diritto a guidare. La campagna "26 ottobre" ha visto aumentare considerevolmente la presenza femminile al volante per le strade del regno, mentre la petizione che chiede di togliere tale divieto ha raccolto migliaia di firme.

Attivisti e militanti - anche uomini - hanno incoraggiato le loro compagne a mettersi alla guida delle auto e a postare su Twitter le loro immagini mentre guidano sotto l’hashtag «#IWillDriveMyself».

Da quel giorno attiviste del movimento femminile saudita hanno postato sul web dei video che documentavano varie donne al volante, pur senza precisare dove questo era successo.

L’Arabia Saudita, storico e fedele alleato dell’occidente nel mondo arabo, è l’unico Stato al mondo in cui alle donne è vietato guidare. Quelle che hanno bisogno di spostarsi in auto devono farlo con un autista o con un uomo della loro famiglia. Il divieto si inquadra nel più ampio sistema normativo in vigore nel paese che priva le donne dei più elementari diritti e le tratta come soggetti incapaci. Le donne in Arabia Saudita non possono viaggiare, lavorare o subire interventi medici senza il permesso formale di un maschio di famiglia, il MALE GUARDIAN - l’uomo guardiano-, generalmente un marito o un padre, a cui vengono riconosciuti pieni diritti sulle donne della propria famiglia.

Si tratta di una forma estrema di patriarcato resa possibile dall’assenza nel paese di qualsivoglia struttura democratica: l'Arabia Saudita è infatti una monarchia assoluta, governata dai discendenti del sultano del Najd, ʿAbd al-ʿAzīz Āl Saʿūd (Dinastia Saudita). Nel paese non esistono elezioni parlamentari né esistono partiti politici. Le leggi del Regno si basano sulla Sharīʿa, e al clero, in ultima istanza, spetta di decidere la conformità alla legge islamica di ogni legge o iniziativa presa dal re. Ciò pone la corte reale in un rapporto di sudditanza nei confronti del clero. Ne deriva che molto difficili risultano i timidi tentativi che ultimamente il re Abdallah, considerato un “cauto riformatore”, ha tentato di realizzare per venire incontro alle sollecitazioni di quelle donne che lottano per raggiungere forme elementari di emancipazione e che sempre più numerose si stanno affacciando nel paese nonostante la politica ultrarepressiva.

Nel 2005 il re ha  introdotto le elezioni municipali (l'unico tipo di elezioni permesse) e nel settembre del 2011, sull'onda della primavera araba, ha annunciato che le donne potranno votare e addirittura candidarsi a quelle del 2015 (leggi la notizia su osservatorioiraq).

Nel febbraio scorso per la prima volta nella storia del Paese una donna è stata nominata direttore di un quotidiano nazionale

Nel marzo scorso a Riad è stato aperto il primo studio privato di una donna avvocato.

mg

leggi anche nel nostro blog:


dicembre 25, 2014

IRAQ. La televisione irachena si prende gioco del sedicente "Stato Islamico"



La televisione irachena si prende gioco del sedicente Stato Islamico (ISIS) e manda in onda "Stato Mitico" una serie televisiva di trenta episodi condivisa ampiamente dalla rete che ridicolizza le azioni e l’ideologia del gruppo terrorista.

Lo scopo, afferma Thaer al Hasnawi, ideatore e autore del programma, è quello di contrastare con la risata la propaganda dell’ISIS che usa le reti sociali per terrorizzare la gente. “Far sì che i telespettatori ridano dell’ISIS, li aiuta a superare la paura”. La comicità permette di trasformare in personaggi comici quelle figure che nella realtà causano terrore. 





dicembre 17, 2014

PALESTINA. 800 intellettuali israeliani firmano un appello ai Parlamenti europei affinché riconoscano lo Stato di Palestina. Nove Paesi UE hanno già detto sì...e l'Italia?




Due anni fa la Palestina veniva ammessa alle Nazioni Unite come Stato osservatore con una storica risoluzione dell'Assemblea Generale (A/RES/67/19) approvata con una schiacciante maggioranza: 138 stati contro i 193 facenti parte dell'ONU.

L’ammissione come semplice Stato osservatore, anziché come membro a pieno titolo, è derivata dal fatto che ai sensi dell’art. 4 della Carta istitutiva delle Nazioni Unite l’ammissione di uno Stato come membro può avvenire solo su proposta del Consiglio di Sicurezza, presupposto quest’ultimo per il momento non realizzabile stante la posizione contraria degli Stati Uniti che nel Consiglio di Sicurezza vantano (insieme a Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, cioè le cinque potenze uscite vincitrici della seconda guerra mondiale), come è noto, il diritto di veto (sull'argomento vedi il nostro post: PALESTINA. Storico ingresso alle Nazioni Unite). 

Peraltro nel frattempo molti stati hanno deciso di riconoscere la Palestina come Stato ed avere con questo rapporti bilaterali. Oggi la Palestina è riconosciuta come Stato da circa 135 Paesi, ma ancora pochi sono quelli dell'UE (vedi la mappa degli stati). I primi sono stati la Svezial'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia (ma queste ultime tre prima di entrare a far parte dell'Unione).

Alcuni giorni fa Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua, tre scrittori tra i più noti del panorama letterario israeliano, insieme ad altri 800 intellettuali israeliani tra cui il premio Nobel per l'economia Daniel Kahneman, l'ex presidente della Knesset Avraham Burg e l'ex ministro degli Esteri Yossi Sarid, hanno firmato un appello ai Parlamenti europei affinché riconoscano lo Stato di Palestina


Nella loro lettera si legge: "Noi cittadini d'Israele, che desideriamo che il nostro sia un Paese sicuro e fiorente, siamo preoccupati per la continua situazione di stallo politico e per il proseguimento delle attività di occupazione e insediamento che portano a ulteriori scontri e minano le possibilità di un compromesso. Per questo è chiaro che le prospettive per la sicurezza e l'esistenza di Israele dipendono dall'esistenza di uno Stato palestinese a fianco di Israele. (...)Israele dovrebbe riconoscere lo Stato di Palestina e la Palestina dovrebbe riconoscere lo Stato di Israele, sulla base dei confini del 1967". 

L'appello ai parlamentari europei conclude: "La vostra iniziativa per riconoscere lo Stato di Palestina farà progredire le prospettiva di pace e incoraggerà israeliani e palestinesi a porre fine al loro conflitto".



Il prossimo 18 dicembre il Parlamento Europeo voterà una risoluzione a favore del riconoscimento dello Stato della Palestina.

In un comunicato pubblicato nella sua pagina web l’ufficio di Roma dell’ECFR (Consiglio europeo delle relazioni estere) spiega 5 motivi a favore del riconoscimento di uno Stato palestinese 

“Gaza ha subito il più letale periodo di violenze mai vissuto, costato la vita a più di 2000 palestinesi. L’ondata di violenza è stata così efferata che molti israeliani l’hanno paragonata alla Seconda Intifada...Le azioni del governo israeliano a Gerusalemme Est e in Cisgiornadia insieme alla crescente forza del movimento dei colonihanno minato ulteriormente la prospettiva di raggiungimento della soluzione dei due stati...Proprio a causa dell'escalation delle violenze gli europei devono prendere una decisione politica...Il riconoscimento confermerebbe anche la posizione dell'UE sull'illegittimità dell'occupazione da parte di Israele, che considera le attività dei coloni israeliani dannose per la pace e la sicurezza. Il riconoscimento è molto più di un gesto simbolico in quanto apporta una serie di benefici pratici che possono bloccare il deterioramento delle condizioni di sicurezza e realizzare l'obiettivo di uno Stato palestinese che viva a fianco di Israele in pace e sicurezza...". Così si legge nel comunicato.

Intanto dopo la Svezia, l’Ungheria, la Polonia e la Slovacchia altri Paesi dell’Unione hanno cominciato a muoversi. Il Parlamento irlandese e la Camera dei Comuni del Parlamento britannico hanno votato a grande maggioranza per il riconoscimento dello Stato palestinese. Sono seguiti, a breve distanza, i sì del Parlamento spagnolo (con 319 voti favorevoli, due voti contrari e un’astensione), dellAssemblea Nazionale francese (con 339 voti favorevoli e 151 contrari) e del Parlamento portoghesementre sono in corso di discussione analoghe decisioni in Belgio e Danimarca.  

E l'Italia? No, lei mantiene il suo storico vassallaggio agli USA e ancora latita. Il ministro degli Esteri Gentiloni ritiene che sia giusto discuterne, ma che per il momento il riconoscimento non sia opportuno 



mg

vedi anche i nostri post: