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Elettori in attesa di votare |
Da Nigrizia.it
Buoni propositi. Promesse. Sempre più le Afriche sono ridotte a un
pugno di slogan emotivi che eliminano ogni senso di complessità. Osserviamo, da
nord, ciò che accade a sud con il binocolo miope che vede solo terrorismo,
migrazioni e povertà. E ogni tentativo di approfondimento è sepolto da
perentorie semplificazioni.
Invece, mai come ora, con questo 2019 agli esordi, serve pazienza e
attenzione. Perché si apre un anno gonfio di stereotipi da sfatare. Ad esempio,
vanno al voto 11 paesi (9 dell’area
subsahariana e 2 del Nordafrica): il 28,7% della popolazione africana.
Ma, soprattutto, saranno chiamate alle urne
le prime due economie continentali: la Nigeria (oltre 376 miliardi di dollari
di Pil, dati Banca mondiale) e il Sudafrica (349 miliardi di Pil). E, a nord,
dovranno votare due democrazie dalle fondamenta ancora fragili: Algeria e
Tunisia. Resta il dato di fondo:
si mette in coda per i seggi metà del Prodotto interno lordo africano. Ecco, quindi, che con il 2019 sarà messo alla
prova uno dei luoghi comuni che perseguitano il continente: la politica
africana come pratica allergica al dissenso e brutale contro l’opposizione.
Dove l’alternanza, quella vera, è privilegio di poche nazioni. Un luogo comune
che ha evidenti radici nella storia di molti paesi, che presentano un
curriculum politico e civile non irreprensibile. Dove il voto si è travestito
da libera espressione di consenso. Mentre, nella sostanza, era solo uno
strumento per confermare il potere esistente. Il tempo ha così fatto emergere
una contraddizione stridente: un
continente con i presidenti più vecchi al mondo e con la popolazione più
giovane in assoluto ( ne sono esempi Paul Biya, in Camerun, 85 anni, al potere da 36; Denis Sassou Nguesso, presidente della
repubblica del Congo-Brazzaville o Congo francese dal 1979, salvo il periodo
92-97; la dinastia dei Bogo in Gabon che governa il paese da 51 anni ; ndr)
Il 2019 è, dunque, un anno di svolta: o gli equilibri democratici ne
usciranno rafforzati, oppure la “democrazia” si confermerà una truffa
semantica. Un semplice intercalare fisso che percorre il rude vangelo di
molti potenti.
molti potenti.
L’andamento economico aiuterà (o boicotterà) questo passaggio. Le
Afriche escono da alcuni anni (specialmente dal 2014 al 2017) di crisi dovuta
al crollo dei prezzi di alcune materie prime (metalli e beni agricoli) e al
rafforzamento del dollaro. Secondo Bm il 2019 sarà un anno di assestamento. Ma
ciò che temono le istituzioni finanziarie è che si possa nuovamente abbattere
sulle Afriche una crisi del debito. A fine 2017, il rapporto debito/Pil
in molti paesi ha raggiunto una media del 57%. Quasi il doppio rispetto ai
livelli rilevati 5 anni prima. Il peso degli interessi, nello stesso periodo, è
passato dal 4 all’11% del bilancio pubblico. Cifre che non si vedevano dagli
anni ’90.
Economie strozzate rischiano di prosciugare le speranze di cambiamento.
Crisi del debito
Uno studio del 2018 (Honest Account 2017) dell’organizzazione
britannica Global Justice Now mostra, in base ai dati del 2015, quanto siano
zavorrate dagli interessi le economie africane: i governi avevano ricevuto
prestiti per 32,8 miliardi di dollari, pagando interessi per 18 miliardi. Lo
studio stima, poi, che nel 2015 i paesi africani avrebbero ricevuto 161,6
miliardi di dollari tra prestiti, rimesse e aiuti. Ma ne avrebbero persi 203
tra elusione fiscale, pagamento del debito ed estrazioni di risorse. L’Africa,
impoverita, avrebbe vantato, quindi, un credito nei confronti del resto del
mondo di circa 41,3 miliardi di dollari.
Per approfondire:
Honest Accounts, come il mondo trae profitto dalle ricchezze dell'Africa
Africa, un corpo vivo dalle vene aperte. Il sistema della fatturazione mendace delle multinazionali
mg
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mg
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