Il naufragio è quello del 6 novembre 2017 nel Mediterraneo, ricostruito
in un video del New York Times che mostra le violenze della Guardia costiera
libica e le responsabilità di Italia e UE
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Un momento dell'operazione di soccorso ai migranti naufragati al largo delle coste della Libia il 6 novembre 2017 (New York Times) |
Il New York Times ha pubblicato un mini-documentario
che racconta passo a passo il naufragio di una barca di migranti al largo della
Libia avvenuto il 6 novembre 2017, in cui morirono almeno venti persone. Il
naufragio avvenne dopo che il governo italiano allora guidato da Paolo
Gentiloni (PD) aveva iniziato ad “appaltare” i soccorsi in mare alla Guardia
costiera libica – se di “Guardia
costiera libica” si può parlare – adottando politiche sempre più
rigide nei confronti dei migranti e delle ong impegnate nel loro salvataggio
nel mar Mediterraneo. Le immagini mostrano nel dettaglio alcune cose di cui si
parla da tempo – l’incompetenza della Guardia costiera libica e le loro
violenze gratuite dei suoi membri sui migranti, gli scontri tra Guardia
costiera libica e ong, le torture subite dai
migranti nei centri di detenzione in Libia, tra le altre cose –
ma lo fa in una maniera molto approfondita e documentata.
Il video del New York Times, che dura poco più di 20
minuti, ricostruisce gli eventi di quel giorno attraverso le immagini di più di
10 videocamere, le interviste ad alcuni dei sopravvissuti e le ricostruzioni in 3D
realizzate dal gruppo di ricerca londinese Forensic Architecture e dal progetto
Forensic Oceanography, che si occupa di documentare le violazioni dei diritti
umani nel Mediterraneo. Lo stesso video e l’articolo che lo accompagna sono
stati realizzati da membri del Forensic Architecture e del Forensic
Oceanography, e da avvocati di una ong che ha avviato un’azione legale contro
l’Italia per quello che è successo il 6 novembre 2017.
La mattina del 6
novembre 2017 un gommone che la notte precedente era partito da Tripoli si
trovò in difficoltà a causa delle cattive condizioni del mare. I migranti a
bordo chiamarono la Guardia costiera italiana con un telefono satellitare,
chiedendo aiuto: sul posto arrivò per prima una nave della Guardia costiera
libica, con a bordo 13 membri dell’equipaggio: 8 di loro avevano ricevuto
addestramento dal programma navale anti-trafficanti dell’Unione Europea,
conosciuto come Operazione Sofia. Si avvicinarono a grande velocità, provocando
nuove onde che fecero cadere in mare alcuni dei migranti che si trovavano sul
gommone. Lanciarono qualche salvagente in mare e fecero poco altro. In quel
momento il gommone era già fuori dalle acque territoriali libiche.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUi6rMu2dK1oiNfMlfZiOI4voJISGvrNSIICt2PY76D6utQLGyBUkZFtsYQANeZUpQEH58CLfsVv3ZcacjLj2e9OVsphSxS3yHRU-Nw_OQE2tmysH4sDKT1KprGwWH-Gde7n4bbRmF16k/s640/il+racconto+di+un+naufragio+2.png)
La nave della Guardia costiera libica si avvicina a
grande velocità al gommone di migranti (New York Times)
Negli ultimi due anni la
Guardia costiera libica – o meglio, quella legata al governo di Tripoli – è
stata appoggiata e finanziata in particolare dal governo italiano. L’inizio di
una più stretta collaborazione risale al febbraio 2017, quando l’Italia e il
governo libico di accordo nazionale – quello sostenuto dall’ONU e guidato dal
primo ministro Fayez al Serraj – firmarono
un “memorandum” relativo alla lotta contro «l’immigrazione illegale» e il
traffico di essere umani: l’accordo aveva lo scopo di prevenire l’arrivo di
nuovi migranti sulle coste europee e forniva soldi, equipaggiamento e
addestramento alle forze libiche. Nei mesi successivi la Guardia costiera
libica fu piuttosto efficiente nel fermare le barche dirette verso l’Italia, ma
si mostrò completamente impreparata e soprattutto non interessata a soccorrere
i migranti in mare, come mostrano anche gli eventi del 6 novembre.
La nave della Guardia
costiera libica coinvolta nei soccorsi del 6 novembre, la Ras Jadir, è una di quelle
che erano state risistemate dall’Italia e poi date ai libici nel maggio dello
stesso anno. A bordo era finito anche l’allora ministro dell’Interno Marco
Minniti, per celebrare la collaborazione tra Italia e Libia in materia di
immigrazione.3
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVJ-rKgUVbMQ-JIxPaHE6krhgei2bIisa11YAGVqJWqsTdv-yh9__cMv9-cRATkh6Ms8MiydfRVV8PWBgRIGIlCnS1rFg0nwfOBG_I4ckh61BsugMgB8eoI01ScJDJjxNtqPuLlG__188/s640/il+racconto+di+un+naufragio+3.png)
L’allora ministro dell’Interno italiano Marco
Minniti a bordo della Ras Jadir, nave italiana donata alla Guardia costiera
libica nel maggio 2017 (New York Times)
Nonostante i programmi
di addestramento previsti dall’accordo tra Italia e Libia, la mattina del 6 novembre,
invece che usare una nave di soccorso più piccola, più agile e in grado di non
provocare nuove onde, la Guardia costiera libica si avvicinò direttamente al
gommone, fino ad accostarlo. Molti dei membri dell’equipaggio rimasero a bordo
della nave senza fare nulla per aiutare i migranti in mare: uno di loro si mise
a filmare col cellulare le persone che annegavano. Alcuni dei sopravvissuti
raccontarono poi di essere stati insultati.4
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj162mBaDssTLmZTDZdyax3xFYGV2EfzPqcMHN5Pu7dXcRSSN2eQP5hGnalKkATzA62gLGfmx8xyvui0NXYrolTekUXxB-jqw9nXuoN_qf2MOgCSpScspvXMCxOteE2dkoKjryJ-krkeB0/s640/il+racconto+di+un+naufragio+4.png)
La nave della Guardia costiera libica si affianca
al gommone: nel video si vedono diversi membri dell’equipaggio che rimangono
fermi, senza soccorrere i migranti (New York Times)
Pochi minuti dopo sul
luogo del naufragio arrivò anche una nave della ong tedesca Sea Watch,
anch’essa avvisata dalle autorità italiane: si avvicinò a velocità ridotta,
mantenendo la distanza di sicurezza dal gommone e registrando tutto quello che
stava succedendo grazie alle nove telecamere installate a bordo per documentare
le eventuali violenze dei libici.
Diversi membri
dell’equipaggio della Sea Watch salirono a bordo di alcune imbarcazioni più
piccole per soccorrere i migranti in mare, che nel frattempo a causa delle onde
si erano allontanati dal gommone. «C’erano così tante persone in acqua.
Cercammo di soccorrerle tutte, ma la distanza tra loro era molta», ha
raccontato al New York Times Stefanie
Hilt, paramedica che si trovava a bordo della Sea Watch. Alcuni migranti
annegarono prima di essere raggiunti dai soccorsi.
Durante le operazioni di
soccorso, l’equipaggio della Sea Watch fu attaccato dalla Guardia costiera
libica, che oltre a intimargli di allontanarsi cominciò a lanciargli contro
oggetti come salvagenti e patate. Johannes Bayer, capo missione di Sea Watch,
ha raccontato al New York Times che i
libici fecero diversi gesti di minaccia, per esempio mimando di tagliare il
collo e di sparare con delle pistole.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjM8SkZgNbWGtFWn90w7lDqdvddTw11BLqrerKnwQSdzBkEkO8q1yRlGZGDq08Ah8l_9Va2ZswtBsg9WWpBtENwjwrFlPYY88VkMey0XvtYJ6oqP-ulda51becSRu-GJLL46sZIOFGLSr8/s640/il+racconto+di+un+naufragio+6.png)
Una patata lanciata dalla nave della Guardia
costiera libica contro un’imbarcazione di Sea Watch, nel mezzo dei soccorsi ai
migranti (New York Times)
Alcuni dei migranti
portati a bordo della nave della Guardia costiera libica si ributtarono in
mare, per paura di quello che avrebbero potuto fare loro i membri
dell’equipaggio e per evitare di essere riportati in uno dei centri di
detenzione in Libia, nei quali secondo diversi governi, ong e inchieste
giornalistiche vengono compiute sistematicamente torture, stupri e aste per la
vendita degli schiavi (Annalisa Camilli aveva raccontato su Internazionale una di queste storie: si
può leggere qui).
Uno di loro ha detto al New York Times
di non sapere nuotare ma di essersi buttato lo stesso in mare nel tentativo di
raggiungere i soccorritori europei: «Preferivo morire in quelle acque che
essere riportato in Libia».
Come
mostrano le immagini registrate da Sea Watch, i membri dell’equipaggio libico
cominciarono poi a picchiare i migranti rimasti a bordo
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5TJligleXf3D9413Aa_J2Ms7M_YE-R8UU9THsv9h3-aN7mVhZoCZk4pc2LzAi07Q0D3EAb6LhFbfsKuRv4Hw0b8xVBSDfcwTuy7MuqiP5opPMhJssx2erCigBUm91KeBzJLwgJAul_LY/s640/il+racconto+di+un+naufragio+7.png)
Un membro dell’equipaggio della Guardia costiera
libica prende a calci alcuni migranti a bordo della nave (New York Times)
Dopo essere stato
picchiato, uno di loro si buttò in mare, rimanendo però aggrappato alla
scaletta lasciata sul lato della nave della Guardia costiera libica. Subito
dopo il comandante fece ripartire la nave a grande velocità, disinteressandosi
del migrante e degli avvisi dell’equipaggio di Sea Watch, che dicevano:
«Guardia costiera libica, Guardia costiera libica. State uccidendo una persona.
Vogliamo che vi fermiate. Ora! Ora! Ora!».
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn-20L3n6uPeTU0ABiH-66Wrh3yOHhr4Oh2cMQRCoV-WfszDtXuOv0DfhQaQ1L_Hdw0UZRxKzGk268U4Vc7cCenpm_yvEAfcujoD1kiyGCr_3TQ5WFH3Y5u-RA_dpE1W5gX1StK0okpLE/s640/il+racconto+di+un+naufragio+8.png)
Un migrante appeso alla scaletta della nave della
Guardia costiera libica in movimento. L’uomo fu fatto risalire a bordo solo
dopo l’intervento di un elicottero militare italiano (New York Times)
Le sorti dei migranti
soccorsi dalla Sea Watch furono diverse da quelle dei migranti recuperati dalla
Guardia costiera libica. Ai primi furono date coperte e cibo, garantite cure
mediche e furono portati in Europa. I secondi finirono nei centri di detenzione
libici.
Il New York Times ha contattato telefonicamente due migranti nigeriani
che erano a bordo del gommone naufragato il 6 novembre 2017 e che furono
riportati in Libia. Hanno raccontato di essere stati chiusi in una stanza e di
essere stati picchiati, torturati con le scosse elettriche e di essere stati
venduti a un altro gruppo di trafficanti, prima di riuscire a scappare e
nascondersi in un posto che hanno voluto rimanesse segreto, per questioni di
sicurezza. «Non possiamo uscire. Non abbiamo cibo, non abbiamo libertà. Non
abbiamo niente, niente». Uno di loro è poi riuscito a lasciare la Libia e
arrivare in Europa. L’altro è ancora in Libia.
Sulla base della
ricostruzione degli eventi di quel 6 novembre, la Global Legal Action Network,
ong che si occupa di azioni legali transazionali, insieme all’Associazione per
gli studi giuridici sull’immigrazione, e con la collaborazione degli studenti
dell’Università di Legge di Yale, hanno avviato una causa legale contro
l’Italia di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in rappresentanza
di 17 sopravvissuti del naufragio. La tesi di chi sta lavorando all’azione
legale è questa: anche se non furono cittadini italiani o europei a
intercettare i migranti e riportarli in Libia, nel momento del naufragio il
governo italiano esercitava una tale influenza sulla Guardia costiera libica da
essere co-responsabile delle azioni dei libici. L’Italia, inoltre, sapeva che
costringere persone probabilmente intenzionate a richiedere una qualche forma
di protezione internazionale in Europa a ritornare in Libia, dove vengono
compiute sistematiche violazioni dei diritti umani, era contrario al diritto
nazionale e internazionale
.
L’inchiesta, conclude
l’articolo del New York Times,
mostra due cose: che da tempo i governi europei stanno evitando di assumersi le
proprie responsabilità legali e morali di fronte alla mancata protezione dei
diritti umani delle persone che lasciano il loro paese per avere subìto
violenze o per disperazione economica; e che il partner a cui si è scelto di
“appaltare” i soccorsi in mare, la Guardia costiera libica, è pronto a violare
anche i diritti più basilari per evitare che i migranti attraversino il mar
Mediterraneo.
Fonte: Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhUi6rMu2dK1oiNfMlfZiOI4voJISGvrNSIICt2PY76D6utQLGyBUkZFtsYQANeZUpQEH58CLfsVv3ZcacjLj2e9OVsphSxS3yHRU-Nw_OQE2tmysH4sDKT1KprGwWH-Gde7n4bbRmF16k/s640/il+racconto+di+un+naufragio+2.png)
La nave della Guardia costiera libica si avvicina a
grande velocità al gommone di migranti (New York Times)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVJ-rKgUVbMQ-JIxPaHE6krhgei2bIisa11YAGVqJWqsTdv-yh9__cMv9-cRATkh6Ms8MiydfRVV8PWBgRIGIlCnS1rFg0nwfOBG_I4ckh61BsugMgB8eoI01ScJDJjxNtqPuLlG__188/s640/il+racconto+di+un+naufragio+3.png)
L’allora ministro dell’Interno italiano Marco
Minniti a bordo della Ras Jadir, nave italiana donata alla Guardia costiera
libica nel maggio 2017 (New York Times)
Nonostante i programmi di addestramento previsti dall’accordo tra Italia e Libia, la mattina del 6 novembre, invece che usare una nave di soccorso più piccola, più agile e in grado di non provocare nuove onde, la Guardia costiera libica si avvicinò direttamente al gommone, fino ad accostarlo. Molti dei membri dell’equipaggio rimasero a bordo della nave senza fare nulla per aiutare i migranti in mare: uno di loro si mise a filmare col cellulare le persone che annegavano. Alcuni dei sopravvissuti raccontarono poi di essere stati insultati.4
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj162mBaDssTLmZTDZdyax3xFYGV2EfzPqcMHN5Pu7dXcRSSN2eQP5hGnalKkATzA62gLGfmx8xyvui0NXYrolTekUXxB-jqw9nXuoN_qf2MOgCSpScspvXMCxOteE2dkoKjryJ-krkeB0/s640/il+racconto+di+un+naufragio+4.png)
La nave della Guardia costiera libica si affianca
al gommone: nel video si vedono diversi membri dell’equipaggio che rimangono
fermi, senza soccorrere i migranti (New York Times)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjM8SkZgNbWGtFWn90w7lDqdvddTw11BLqrerKnwQSdzBkEkO8q1yRlGZGDq08Ah8l_9Va2ZswtBsg9WWpBtENwjwrFlPYY88VkMey0XvtYJ6oqP-ulda51becSRu-GJLL46sZIOFGLSr8/s640/il+racconto+di+un+naufragio+6.png)
Una patata lanciata dalla nave della Guardia
costiera libica contro un’imbarcazione di Sea Watch, nel mezzo dei soccorsi ai
migranti (New York Times)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5TJligleXf3D9413Aa_J2Ms7M_YE-R8UU9THsv9h3-aN7mVhZoCZk4pc2LzAi07Q0D3EAb6LhFbfsKuRv4Hw0b8xVBSDfcwTuy7MuqiP5opPMhJssx2erCigBUm91KeBzJLwgJAul_LY/s640/il+racconto+di+un+naufragio+7.png)
Un membro dell’equipaggio della Guardia costiera
libica prende a calci alcuni migranti a bordo della nave (New York Times)
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhn-20L3n6uPeTU0ABiH-66Wrh3yOHhr4Oh2cMQRCoV-WfszDtXuOv0DfhQaQ1L_Hdw0UZRxKzGk268U4Vc7cCenpm_yvEAfcujoD1kiyGCr_3TQ5WFH3Y5u-RA_dpE1W5gX1StK0okpLE/s640/il+racconto+di+un+naufragio+8.png)
Un migrante appeso alla scaletta della nave della
Guardia costiera libica in movimento. L’uomo fu fatto risalire a bordo solo
dopo l’intervento di un elicottero militare italiano (New York Times)
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