Quello dell’uguaglianza di genere rappresenta il nodo intorno al quale si articola l’evoluzione ugualitaria della società nel suo complesso. A sua volta l'empowerment femminile, e cioè il pieno accesso e la partecipazione delle donne alle strutture di potere, costituisce un fattore essenziale per la costruzione e il mantenimento della della pace (Risoluzione del CdS delle NU 1325/2000). Un fattore cruciale in un mondo dilaniato da conflitti nei quali le donne non hanno voce.
Anche nei paesi islamici da decenni movimenti femminili, intellettuali,
accademici e militanti, di ispirazione religiosa e laica, denunciano, in varie
forme, le discriminazioni di genere; chiedono riforme ai governi, propongono
reinterpretazioni coraggiose delle Sure del Corano. Poco spazio però viene
concesso a questi attori sociali sui media occidentali, giacché si preferisce
mantenere in vita obsoleti stereotipi e lasciare spazio ad analisi che sono
funzionali ad una rappresentazione colonialista ed eurocentrica dell’Islam e
delle culture arabe che si cerca di stigmatizzare in massa.
"In questo modo, avverte Asma Lamrabet (in atti del
“Seminario Islam e Femminismo, stereotipi occidentali e complessità
dell’universo femminile islamico”, in questo blog), le donne musulmane nelle loro più
varie rappresentazioni restano imprigionate tra due visioni conflittuali e
perennemente contrapposte: un approccio musulmano tradizionalista, rigido e
anacronistico e un approccio occidentale etnocentrico che veicola stereotipi e
clichés semplicistici e sempre più islamofobi. Tra queste due visioni del mondo è soprattutto la parola delle donne
musulmane ad essere zittita…L’emancipazione delle donne musulmane non può
diventare effettiva senza una vera e propria presa di coscienza e di parola da
parte di loro stesse e non di altre che parlino al posto loro!”
Del resto, sottolinea ancora Asma Lamrabet, “Il discorso di liberazione portato avanti dall’occidente non può essere credibile da un certo punto di vista islamico perché, oltre ad essere screditato da politiche internazionali fondamentalmente ingiuste nei confronti di un gran numero di paesi musulmani, va a toccare uno degli ultimi baluardi dell’identità musulmana, cioè la donna. In effetti la donna sembra rappresentare per questo mondo islamico dall’identità ferita, l’ultimo baluardo da difendere...La donna musulmana ormai rappresenta la vittima ideale di questa costruzione ideologica speculare e si vede costretta ad incarnare, data la sua posizione di guardiana della morale, il contro modello rispetto a quello veicolato dall’occidente considerato privo di valori”

“Credo che molte e molti di noi, leggendo
che le prime forme di movimento per la liberazione della donna nel mondo arabo
sono nate tra fine Ottocento e inizi Novecento, più o meno contemporaneamente a quanto stava succedendo in Occidente, resteranno stupiti. A me è capitato
sfogliando le prime pagine del volume "Femminismi Musulmani. Un incontro sul Gender Jihad".
Stupore salutare per la nostra mente e il nostro giudizio perché avvia a scrostare dall’una e dall’altro i primi strati di persistenti stereotipi che accompagnano le nostre consapevolezze eurocentriche, l’orgoglio di chi ha la convinzione di detenere i soli primati di libertà e democraticità che illuminano il pianeta in cui viviamo. E nulla naturalmente voglio togliere o negare di questa libertà, che tra l’altro mi consente di scrivere senza alcun timore quel che penso, ma è sempre utile che le nostre coscienze occidentali (e femministe) vengano in contatto e si sforzino di comprendere, per quanto possibile, mondi differenti, per non ridurci a un unicum di pensiero semplificato e semplificante, che comprende anche chi si ammanta di veli di purezza e innocenza perché si indigna e si chiama fuori dalle ideologie e dai valori occidentali, di cui peraltro gode tutti i vantaggi.
Stupore salutare per la nostra mente e il nostro giudizio perché avvia a scrostare dall’una e dall’altro i primi strati di persistenti stereotipi che accompagnano le nostre consapevolezze eurocentriche, l’orgoglio di chi ha la convinzione di detenere i soli primati di libertà e democraticità che illuminano il pianeta in cui viviamo. E nulla naturalmente voglio togliere o negare di questa libertà, che tra l’altro mi consente di scrivere senza alcun timore quel che penso, ma è sempre utile che le nostre coscienze occidentali (e femministe) vengano in contatto e si sforzino di comprendere, per quanto possibile, mondi differenti, per non ridurci a un unicum di pensiero semplificato e semplificante, che comprende anche chi si ammanta di veli di purezza e innocenza perché si indigna e si chiama fuori dalle ideologie e dai valori occidentali, di cui peraltro gode tutti i vantaggi.
Allora spazziamo la mente da pregiudizi di
destra e di sinistra, apriamo gli occhi e leggiamo alcune pagine con l’umiltà di chi non sa già tutto,
ma anzi spera ed è disponibile a lasciarsi disorientare.
Sappiamo, ed è innegabile, che nei paesi
islamici le donne vivono limitazioni alla libertà personale e discriminazioni
anche sul piano giuridico, oltre che condizioni di povertà, analfabetismo,
disagio sociale superiore agli uomini, dai quali peraltro subiscono violenze soprattutto domestiche (ma
questa è una storia nota anche da noi).
Eppure, come già scrivevo, non è breve la storia che anche il mondo arabo può
vantare di movimenti femminili e femministi, spesso nel Novecento affiancati
alla lotta per la liberazione dai regimi coloniali. A quest’ultima le donne
hanno partecipato attivamente, per poi, quando le cose sono terminate, essere
lasciate a casa, ma anche questa è una
storia che conosciamo bene.
Entriamo però meglio nelle situazioni della
contemporaneità, partendo da un’affermazione necessaria e iniziale che ci
consente uno sguardo più libero. Il
mondo islamico non è un monolite uguale ovunque, ma è piuttosto un universo
complesso, variegato, eterogeneo, nel quale la religione ha un ruolo centrale,
ma non è l’unica causa della subordinazione femminile – lo sono ad esempio
anche i regimi autarchici, autoritari che ancora vivono o sono stati
recentemente rovesciati nel mondo arabo – e dell’impossibilità delle donne
musulmane ad avvicinarsi alla modernità, ai mutamenti sociali, al sistema dei
diritti. È questa una percezione
riduttiva della realtà femminile araba, che paradossalmente accomuna il
prevalente giudizio occidentale alle concezioni che guidano su questo terreno
gli estremisti islamici, che impongono, in nome della loro religione, le
condizioni di inferiorità e di esclusione, oltre che di ignoranza delle donne
(ma a questo proposito cerchiamo di ricordare che dal mito della donna ignorante
non siamo poi temporalmente troppo lontani neppure noi europei, italiani in
particolare). Un buon sistema infatti
per noi di contrastare gli stereotipi e liberarci progressivamente dagli strati
di pregiudizio è quello di non dimenticare da dove veniamo, quali sono le
culture che rappresentano la nostra storia, anche recente. Velo docet.
Torno alla storia dei femminismi islamici:
gli attuali, dopo i movimenti di tutta la prima metà del Novecento, si
sviluppano intorno agli anni Novanta dello scorso secolo e sono un movimento
che si basa, pur con differenze interne, sulla rilettura del Corano in una
prospettiva femminile e propone la riforma di leggi e istituzioni patriarcali
in nome dell’Islam. La religione non rappresenta dunque per questi movimenti un
ritorno al passato, ma una forma di reinvenzione individuale e collettiva che
fa i conti con la società contemporanea e si propone di riscrivere le forme
della modernità. Altro stereotipo che le donne islamiche ci aiutano a
decostruire: il supposto contrasto tra tradizione e modernità. Ed è qui che ci si presenta il cuore e il
significato centrale dei movimenti femministi islamici: il lavoro di
reinterpretazione del testo sacro, del Corano, sottraendolo alla normatività
dei contesti e culture storiche e patriarcali che l’hanno tradizionalmente
interpretato.
Occorre distinguere, insegnano le teologhe
islamiche, tra il testo e l’esegesi, cioè l’interpretazione che se ne è fatta
nella storia. La causa della discriminazione delle donne non è il Corano, ma la
religione vissuta in società patriarcali che l’hanno interpretato secondo le
culture dominanti e hanno creato una tradizione religiosa sessista. Le
femministe islamiche, fin dalle pioniere dello scorso secolo, si sono impegnate
nel lavoro di decostruzione delle
precedenti interpretazioni maschiliste e di rilettura dei versetti con sguardo
di genere (v. Asma Lamrabet, "Femminismo Islamico. I precetti del Corano a partire dalla prospettiva dell'uguaglianza di genere" in atti del Seminario "Islam e Femminismo, stereotipi occidentali e complessità dell'universo femminile islamico", in questo blog, ndr).
Ed è questa soprattutto la differenza con i movimenti dei
femminismi occidentali, che per lo più si sono tenuti distanti dalla dimensione
religiosa, anche se vi sono ormai in Europa e anche in Italia interessanti
scritti e prese di posizione di teologhe femministe, e un coordinamento (CTI) che riunisce le diverse anime
della teologia cristiana. Ma credo che questo discorso meriti un’attenzione a
parte e una maggiore vicinanza, che il femminismo italiano, generalmente o
prevalentemente considerato laico, dovrebbe approfondire.
Il pensiero femminista islamico prende il
nome di Gender Jihad: potremmo
tradurre il termine, semplificando e con qualche risonanza nella nostra storia,
in «lotta femminista», con l’attenzione però che si tratta soprattutto di una
lotta della mente, uno sforzo dell’anima e dell’intelligenza e del corpo delle
donne per raggiungere l’obiettivo, attraverso la rilettura del Corano, di una
società più giusta nei confronti dei soggetti femminili. Le femministe
musulmane ci ricordano – è una lezione che risulta (o dovrebbe) molto utile
anche a noi – che il luogo della maggiore problematicità nelle relazioni tra
donne e uomini non è tanto lo spazio pubblico, quanto il privato, con i nodi
assai difficili da sciogliere, per noi e per loro, nelle relazioni tra i due
sessi. Ma anche molti uomini partecipano a questo sforzo dei movimenti
femministi islamici, che sono – contro ogni residua credenza di contrasto tra
modernità e tradizione – diffusi in tutti i paesi a maggioranza o comunque
presenza significativa di musulmani (anche da noi quindi) e in rete tra loro.
Ancora due osservazioni prima di chiudere un
discorso che in realtà andrebbe ulteriormente aperto. La distanza tra i femminismi islamici e i nostri. Non si tratta
solo della centralità della religione per i movimenti musulmani, che in Europa
è marginale, come già dicevo, ma di una posizione critica nei nostri confronti
da parte delle donne musulmane e il desiderio e la pratica di offrire al
termine femminista un’autonomia dall’accezione occidentale per sottolineare
percorsi differenti, con obiettivi che si discostano dalle presunte libertà
occidentali. Ricordiamo il famoso discorso di Fatima Mernissi sulla taglia 42, intesa come il velo occidentale.
E a proposito di velo l’ultima osservazione, anch’essa utile per proseguire il
nostro lavoro di liberazione dagli strati sovrapposti di pregiudizio. Il velo è
per noi donne occidentali il simbolo più evidente della subordinazione
femminile – e ci dimentichiamo che solo un paio di generazioni fa una donna
italiana non sarebbe mai uscita di casa senza nulla in testa.
Eppure il velo può essere interpretato in
due modi opposti, così ci insegnano le femministe musulmane, può essere
indossato per obbligo o passivo adeguamento, ma può anche essere scelto, per
costume, per moda, per difesa da una società estranea o per affermare
un’identità e un diritto sul proprio corpo, sottraendolo allo sguardo e alla
volontà maschile, al modello occidentale
di esposizione e di consumo del corpo femminile, quello che è stato definito
il velo della nudità. L’uso del velo
può essere inteso dunque come un atto politico, di dissidenza anziché di
assuefazione a norme dettate da altri, così afferma la femminista marocchina
Nadia Yassine.
Barbara Mapelli, dal sito la 27esima ora
Sul tema, in questo blog:
La primavera araba è donna
Vedi anche il recente
Progetto Aisha, realizzato dal CAIM, Coordinamento delle associazioni Islamiche di
Milano, Monza e Brianza, per contrastare la violenza e la discriminazione di genere.
mg
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