febbraio 07, 2013

ARABIA SAUDITA. “Ana Lama”. Le associazioni femminili saudite insorgono contro l’impunità accordata allo sceicco predicatore, reo confesso di aver seviziato e ucciso la figlioletta di cinque anni




 

Lama era una bimba di cinque anni, figlia di una donna egiziana immigrata in Arabia Saudita da oltre 25 anni e dello sceicco Fayhan al-Ghamdi, predicatore e ospite abituale di trasmissioni tv sull’islam. Dopo il divorzio dei genitori viene affidata al padre.

La storia inizia nel dicembre del 2011 quando la bambina viene trasportata nell’ospedale di Riad col cranio fracassato, le costole rotte, lividi e bruciature su tutto il corpo e segni di stupro. Il 22 ottobre 2012, dopo una lunga agonia, Lama muore. (v. la notizia su mailonline; bbc.news.world-middle-east; arabpress.eu;saudiwoman)





L’assassino, reo confesso, è il padre che  giustifica il suo orrendo crimine affermando che la bimba non era più vergine e di averla voluta punire per il “reato di fornicazione”.

E’una storia orrenda, ma l'orrore non finisce col calvario e con la morte di Lama.  Prosegue di fronte all’impunità del suo carnefice. Lo sceicco e predicatore Fayhan al-Ghamdi viene infatti condannato a soli 4 mesi di prigione e al pagamento di una multa (circa 36.000€) da pagare alla mamma della bambina: il così detto ”prezzo del sangue”.


Non si tratta di un errore giudiziario. Il verdetto non è che l'applicazione della normativa saudita che riconosce al MALE GUARDIAN - l’uomo guardiano-, generalmente un marito e un padre, pieni diritti sulle donne della propria famiglia.

Secondo Suhalia Zainalabdeen, membro della National Society for Human Rights, in tutta la sua carriera c’è stato un solo caso in cui un padre è stato severamente punito per aver torturato ed ucciso sua figlia. Aggiunge che questa indulgenza viene estesa anche a quelli che uccidono le loro mogli. Ha fornito un paio di esempi. Uno in cui un marito ha sgozzato la moglie mentre stava allattando i loro figli ed è stato condannato ad appena 5 anni di carcere. Un altro in cui ha legato la moglie alla sua auto e l’ha trascinata per strada fino ad ucciderla. Ha ottenuto solo 12 anni di prigione.

Un assistente sociale che ha dodici anni di esperienza nel campo ha descritto cosa avviene quando una donna subisce violenza: si rivolge alla polizia che a quel punto chiama la Commission for the Promotion of Virtue and Prevention of Vice (CPVPV) e il male guardian, che nella maggioranza dei casi è proprio l’abusatore. La donna si trova così circondata da poliziotti, religiosi e dal suo abusatore: lo scopo di quell’incontro è di “riconciliare” la donna e il suo guardiano. Se la donna si rifiuta di lasciare la stazione di polizia col suo guardiano, solo a quel punto vengono allertati i servizi sociali e viene offerta protezione alla vittima. Non ci sono casi registrati in cui gli abusatori siano stati condannati per aver abusato delle loro figlie o delle loro mogli. La cosa peggiore che può succedergli è una breve detenzione per un interrogatorio o l’obbligo di firmare una dichiarazione in cui ci si impegna a non commettere più quei reati.



A denunciare l’accaduto e a chiedere diritti e giustizia per le donne saudite sono insorti  i movimenti femminili e in particolare l'associazione delle donne saudite (saudiwoman). La saudita Manal Al-Sharif esponente di spicco dell’associazione ha lanciato su Twitter una campagna a favore di una normativa che criminalizzi la violenza contro donne e bambini con l’hashtag “Ana Lama” (in arabo, “io sono Lama”).

Nessuna nota di protesta è invece arrivata dagli Stati Uniti, la cui battaglia in difesa dei diritti umani si ferma evidentemente alle frontiere dell’Arabia Saudita, suo storico e fedele alleato.


mg

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