E' un documento straordinario il video che vi
proponiamo sulla nuova Africa in cui artisti, economisti e politici del
continente parlano del futuro del loro
mondo. E’ l’Africa di un popolo che ha finalmente
preso coscienza della propria dignità, della grande ricchezza delle proprie
risorse e della centralità della propria cultura e ha deciso di prendere in
mano il suo futuro e di ribellarsi ai meccanismi perversi delle nuove forme di
colonialismo.
Per guardare al suo futuro il popolo africano deve fare il conti
col passato (colonialismo, schiavitù, deportazioni) e con le sofferenze del
presente (le nuove forme di colonialismo che rapinano le ricchezze del
continente, alimentano devastanti guerre civili, mantengono il popolo africano in condizioni di povertà estrema e lo
costringono a fuggire dal proprio paese per imboccare le stragi di frontiera).
Il video, “Buongiorno Africa”, è stato realizzato da
Silvestro Montanaro autore della rubrica "C'era una volta" di Rai3.
Stop alla colonizzazione mineraria
Nella Conferenza Africana del World Economic Forum (WEF Africa) tenutasi a Città de Capo nel maggio del 2013 è emersa la necessità che i Paesi africani si impegnino per liberarsi al
più presto da quel neocolonialismo
globalizzato che, anche grazie alla complicità delle élite africane e di
governi corrotti, impedisce la piena realizzazione degli sforzi per il
rinascimento.
E' emerso che «le compagnie minerarie
internazionali spogliano il continente africano sottraendo ai suoi governi almeno
38 miliardi di dollari all'anno attraverso pratiche di corruzione, paradisi
fiscali e altri stratagemmi finanziari».
Sta di fatto che gli abitanti di quello che viene definito
il “forziere del mondo” vivono per lo più in condizioni di povertà estrema (cioè con una spesa quotidiana per consumi inferiore a 1,25 dollari), condizione che secondo le stime della Banca Mondiale costituisce per il continente africano un problema gravissimo. La nascente società civile africana non si fida più di
multinazionali che hanno dimostrato e continuano a dimostrare una devastante
avidità che non si ferma nemmeno davanti ad una diffusa corruzione politica ed
alla guerra.
L'Africa produce oltre l’80% dei diamanti
del mondo, il 70% del cobalto,
il 50% dell’oro, il 40% del cromo,
il 30% del platino e del manganese, il 28% dei fosfati, il 15-20%
dell’antimonio, del rame e della bauxite, il 10% del petrolio, l’8,5% del ferro, e ancora uranio, piombo, stagno, zinco, gas
naturale e molti altri minerali, tra cui, in particolare, ingenti
giacimenti del preziosissimo coltan, indispensabile all’industria delle telecomunicazioni.
Al summit minerario africano che si è svolto nel febbraio 2012 a Città del capo e dove si sono incontrati oltre 7.000 decisori
del mondo minerario sono stati denunciati quelli che sono gli "scandali geologici" dell'Africa, frutto della colonizzazione mineraria. Mouhamadou
Niang, capo della divisione industria e servizi della Banque africaine de
développement, ha detto: "il nostro continente detiene un terzo delle riserve mondiali di minerali. Malgrado questo potenziale l'Africa rappresenta meno del 10% della produzione mineraria". Analoga
denuncia è venuta dal ghaniano Sam Jonah: "il Ghana produce oro da circa un secolo...E nonostante questa lunga esperienza le miniere pesano per meno del 2% nell'economia nazionale".
Secondo lo studio di Ernst & Young presentato al summit
nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) che ha le risorse minerarie più
ambite ed importanti la produzione mineraria contribuisce solo al 3,6% del Pil.
La
maggioranza dei gruppi minerari intervenuti sono stati messi di fronte alle nuove esigenze di governi che hanno a che fare con un'opinione pubblica sempre
più consapevole del saccheggio neo-coloniale delle loro risorse e peraltro le primavere arabe sembrano essere per le multinazionali un forte campanello di allarme.
Come
scrive il giornalista Christophe Le Bec di Jeune Afrique inviato
al summit, “un un vento di patriottismo soffia sulle miniere” e nel mondo
minerario africano suonano termini come “Revisione contrattuale, africanizzazione
e nazionalizzazione”.
I conflitti armati per
il controllo delle risorse
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso con le
guerre di liberazione le allora colonie in Africa hanno via via conquistato
l’indipendenza, ma con poche eccezioni le loro ricchezze sono rimaste
sostanzialmente sotto il controllo delle ex potenze coloniali o sono diventate oggetto di
spartizione tra élites locali
corrotte legate ad interessi di grandi attori internazionali spesso in
competizione fra loro.
Per il pubblico europeo mantenuto nell'ignoranza dai media
nazionali i conflitti del continente africano sono guerre dimenticate che vengono il più delle volte liquidate come conflitti tribali, etnici o religiosi.
Il controllo delle ricchezze naturali come il petrolio, l’uranio, i diamanti, l’oro
e il coltan è invece la vera posta in gioco delle lotte di potere che determinano
tali conflitti e li mantengono in vita chiamando spesso in causa attori
insospettabili. Grandi società minerarie che fanno affari con un certo regime o
con una determinata forza ribelle mettono in campo ingenti somme di denaro destinate a perpetuare il conflitto.
La connessione tra le modalità con cui spesso avviene lo sfruttamento
delle risorse e conflitti armati locali è stata oggetto di studio da parte del
gruppo ad hoc di esperti incaricato
dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di indagare su tale fenomeno nella
Repubblica Democratica del Congo,
paese ricchissimo di risorse minerarie, segnato da decenni di instabilità e di conflitti sanguinosi che hanno prodotto oltre 3 milioni di morti e 2 milioni di
profughi, secondo stime del Consiglio di Sicurezza al 2003.
Nel rapporto del gruppo di esperti consegnato al Consiglio di Sicurezza nell'autunno 2003 si legge che:
il traffico di armi, lo sfruttamento illegale delle risorse
naturali e permanenza dei conflitti appaiono strettamente collegati e ciascuno
di questi tre elementi interagisce con gli altri due. Senza la ricchezza generata
dallo sfruttamento illegale delle risorse naturali non si potrebbero comprare
armi, e i conflitti non potrebbero essere perpetuati.
Peraltro alcune compagnie sfruttano e sono complici delle
situazioni caotiche del paese, situazioni che consentono loro di ottenere
concessioni o altri contratti a condizioni più favorevoli di quelle che
riceverebbero in paesi dove regna pace e la stabilità. L’instabilità determina
infatti una forte concorrenza tra i gruppi di potere che cercano di mantenere o
espandere il controllo sul territorio.
Viene inoltre messo in evidenza che in molti casi le compagnie minerarie straniere stipulano accordi con funzionari di governo o persone legate al mondo della
politica corrotti per ottenere concessioni e licenze a condizioni favorevoli.
L'elenco delle
compagnie e delle multinazionali coinvolte in tali traffici che viene allegato al rapporto riserva non poche sorprese.
La giornalista congolese Caddy Adzuba
Furaha in un’intervista al Women News Network, dopo aver denunciato i femminicidi e gli stupri di guerra in atto nel suo
paese, ha voluto sottolineare che “gli attori in questa
guerra non sono solo africani. Le multinazionali svolgono un ruolo importante e
agiscono nell’ombra. Tutti vogliono avere la loro quota di ricchezza
illegale, e dietro questo conflitto ci sono paesi come gli Stati Uniti,
Francia, Belgio, Inghilterra”.
Peraltro le rivalità tra Parigi e Washington contribuiscono all'aumento del commercio di armi nel continente: "Se da una parte entrambe le potenze hanno interesse a circoscrivere le aree di instabilità per non mettere a repentaglio le loro posizioni, dall'altra sono tentate di acquisire nuovi clienti con l'elargizione di armi e assistenza militare a governi, apparati paralleli e a gruppi ribelli" (così lo studio dell'Agenzia fides).
Scenari di guerra
Peraltro le rivalità tra Parigi e Washington contribuiscono all'aumento del commercio di armi nel continente: "Se da una parte entrambe le potenze hanno interesse a circoscrivere le aree di instabilità per non mettere a repentaglio le loro posizioni, dall'altra sono tentate di acquisire nuovi clienti con l'elargizione di armi e assistenza militare a governi, apparati paralleli e a gruppi ribelli" (così lo studio dell'Agenzia fides).
Scenari di guerra
L’Angola, fino a
tutto il 2002 è stata devastata da un ciclo ventennale di guerra civile per il
controllo delle miniere di diamanti. Così è successo anche in Sierra Leone e in Costa d’Avorio, paesi che solo nel 2007, dopo un ciclo sanguinoso di guerre
civili, sembrano aver raggiunto una certa normalità.
Attualmente è tutto il Centroafrica ad essere sconvolto da
conflitti per lo più combattuti da eserciti privati creati dalle élites al potere, da gruppi ribelli e da mercenari al soldo delle potenze occidentali o delle stesse società minerarie (vedi lo studio dell'Agenzia fides). Conflitti che fanno strage della popolazione civile e costringono i sopravvissuti alla fuga.
La Repubblica Centroafricana, ricca di diamanti, oro e uranio, vede contrapposte le milizie
Seleka (sospettate di aver ricevuto finanziamenti per mettere in fuga il
presidente antifrancese Bozize (che nel 2008 aveva aperto il mercato nazionale alla Cina)
alle milizie Anti Balaka.
Il Sud Sudan, regione a sud del Sudan particolarmente ricca di petrolio, che dopo vent'anni
di guerra civile ha ottenuto nel 2011 l’indipendenza (fortemente sponsorizzata
dalle potenze occidentali) dal Sudan (paese che ha aperto il suo mercato alla Cina
siglando accordi con la Chinese National
Petroleum Corporation), oggi è teatro di violenti scontri tra due gruppi in
lotta per la leadership all’interno del partito di governo: il presidente Salva
Kiir Mayardit (che un anno dopo l’indipendenza, si è recato in visita ufficiale
in Cina tornando con la promessa di investimenti nel proprio Paese per un totale
di 8 miliardi di dollari) e il suo ex braccio destro, Riek Machar Teny.
Il Darfur, regione
ad ovest del Sudan, è ricca di una particolare qualità di petrolio che ha
bisogno di un processo di raffinazione minimo. Dal 2003 è teatro di un feroce conflitto
tra il governo centrale e i ribelli del SLA (Sudan Liberation Army) che
chiedono maggiori diritti nella redistribuzione dei guadagni dalle estrazioni
petrolifere.
Il Mali, terzo produttore africano di oro e undicesimo mondiale, è una parte di Africa dove si giocano grandi interessi occidentali e che, negli ultimi anni, è diventata anche di grande interesse economico di altre potenze tra cui la Cina. In particolare, la regione dell'Azawad situata a nord del paese in prossimità di Arlit, città del Niger (quarto produttore mondiale di uranio), è strategicamente importante soprattutto per la Francia dato che in tale città vi opera la società francese Areva per l’estrazione dell’Uranio. L' intera regione che abbraccia il nord del Mali, Mauritania e Niger è stata poi definita dalla compagnia petrolifera Total un nuovo eldorado per la grande ricchezza del suo sottosuolo. Nel paese si fronteggiano il movimento indipendentista MNLA -Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad- dei Tuareg (gruppo di origine berbera che da anni si batte per ottenere condizioni di vita più degne e contro l’impatto devastante per l’ambiente causato dall'estrazione di uranio nella regione), gruppi islamisti provenienti dal Nord e dal gennaio 2013 le forze armate francesi dell'intervento "umanitario" Serval.
La Nigeria, è
straordinariamente ricca di petrolio, soprattutto nella zona sud-est del Delta del Niger dove numerose multinazionali provvedono all’estrazione del greggio.
L’attività di estrazione del greggio ha provocato
l’inquinamento del bacino idrico e dei terreni, ha distrutto le coltivazioni di
sussistenza ed espropriato i terreni alla popolazione nigeriana. L’attività
petrolifera ha contribuito alla diffusione di malattie, tra cui varie forme di
cancro. Gli ingenti danni ambientali e sociali causati dall’estrazione
petrolifera hanno esasperato le popolazioni locali, costrette a fare i conti
con le continue espropriazioni, la progressiva contaminazione del terreno e dei
corsi d’acqua e le ripetute violenze da parte dei servizi di sicurezza delle
compagnie transnazionali. Ne è derivata una escalation militare in cui
intervengono l’esercito mandato a difendere le installazioni petrolifere, le
milizie di sicurezza private delle industrie medesime e movimenti di protesta,
tra cui l’insorgenza armata al-Sunna wa
al Gama’a e il Movement for the
emancipation of the Niger Delta.
Il Congo è ricchissimo
di diamanti, oro e soprattutto del preziosissimo coltan che viene estratto in una zona del paese al confine con Rwanda e Uganda sotto il controllo di forze armate ribelli appoggiate da questi ultimi due paesi. In passato il Congo è stato oggetto di ripetute invasioni da parte di Rwanda e Uganda, sponsorizzati da Stati Uniti e Inghilterra. E' teatro
di cruenti conflitti da circa un ventennio. Rwanda e Uganda sono diventati di
fatto importanti centri internazionali del commercio di diamanti e di coltan
sebbene si tratti di minerali che non si estraggano, o si estraggano in misura
limitata, in ciascuno dei due paesi. Attualmente il paese è terreno di
battaglia tra le truppe governative della FARDC e i ribelli del Movimento M23 nel contrapporsi degli interessi occidentali di Stati Uniti e Inghilterra da una
parte e Francia dall’altra.
mg
mg
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