Shlomo Sand, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Tel Aviv, nel
libro "L'invenzione del popolo ebraico"(Pubblicato in Israele nel 2008 e in Italia, da Rizzoli, nel 2010)
nega che gli ebrei siano un popolo dall’origine comune discendente da una
comunità arcaica unita da legami di sangue e riunificatasi dopo successive
diaspore in diversi paesi del mondo. Una costruzione questa, egli dice, che ha fornito fondamento e
giustificazione all’impresa di colonizzazione sionista e che è stata resa
possibile grazie alla falsificazione della storia da parte della storiografia
di stampo nazionalista che prese l’avvio nel XIX secolo. Con rigore e coraggio scientifico Shlomo Sand
intraprende un viaggio a ritroso nella storia e nella storiografia ebraiche
basandosi su fonti e reperti archeologici per ricostruire la verità.
Lo anima la speranza in una società
israeliana aperta e multiculturale perché “se il passato della nazione è stato
soprattutto un sogno perché non cominciare a sognare un nuovo futuro, prima che
il sogno si trasformi in un incubo?”.
In un articolo apparso su Le Monde Diplomatique (v.la traduzione italiana nel blog tuttouno) all'indomani della pubblicazione del suo libro, Sand illustra brevemente i risultati della sua ricerca.
I miti fondatori del popolo
ebraico
“Qualsiasi
Israeliano sa, afferma Sand, che il popolo ebraico esiste da quando
ha ricevuto la Torah nel Sinai, e che esso è il discendente diretto ed
esclusivo del popolo eletto. Tutti
noi siamo convinti che questo popolo, fuggito dall’Egitto, si stabilì “sulla terra promessa”, dove fu fondato il
regno glorioso di Davide e di Salomone, diviso in seguito nei regni di Giuda e
di Israele. Inoltre nessuno ignora che questo popolo ha conosciuto l’esilio due volte: dopo la distruzione del primo
tempio, nel VI° secolo prima di Cristo, quindi in seguito a quella del secondo
tempio, nell’anno 70 dopo Cristo.
Più
tardi per il popolo ebraico vi furono peregrinazioni
durante due mille anni: le sue tribolazioni lo condussero nello Yemen, in
Marocco, in Spagna, in Germania, in Polonia e fino in Russia, ma riuscì sempre
a preservare i legami di sangue tra le sue Comunità così lontane fra loro. In
questo modo la sua unicità non fu alterata.
Alla
fine del xx° secolo, le condizioni divennero propizie per il suo ritorno
nell’antica patria. Senza il genocidio nazista, milioni di ebrei avrebbero
ripopolato naturalmente Eretz Israel (la terra di Israele) poiché da venti
secoli essi lo desideravano ardentemente.
Vergine,
la Palestina attendeva che il suo popolo
originario ritornasse per farla rifiorire. Dato che apparteneva solo ad
esso, non a questa minoranza araba, sprovvista di storia, arrivata là per caso.
Giuste erano dunque le guerre condotte dal popolo errante per riprendere
possesso della sua terra; e criminale l’opposizione violenta della popolazione
locale”.
Le smentite della nuova archeologia
“Nel corso degli anni 1980, afferma Sand,questi miti fondatori vacillano.Le scoperte “della nuova archeologia” contraddicono la possibilità di un grande esodo nel XIII° secolo prima della
nostra era. Inoltre Mosè non ha potuto
fare uscire gli ebrei dell’Egitto e condurli verso la terra promessa per la semplice ragione che all'epoca questa ...era nelle mani degli Egiziani. Non
si trova del resto alcuna traccia di una sommossa di schiavi nell’impero dei
faraoni, né una conquista rapida del paese di Canaan perpetrata da elementi
stranieri.
Non esiste neppure un segno dei sontuosi regni di
Davide e di Salomone. Le scoperte
del decennio passato mostrano l’esistenza, all’epoca, di due piccoli regni:
Israele, più potente, e Juda, la futura Giudea. Gli abitanti di quest’ultimo
regno non subirono nessun esilio nel VI°
secolo prima della nostra era: solo l’élite politica ed intellettuale
dovette installarsi a Babilonia. Da questo decisivo incontro con i culti persiani sorgerà il monoteismo
ebraico.
Quanto all’esilio dell’anno 70 d.C. paradossalmente, questo “evento fondatore” nella storia degli ebrei, da
cui la diaspora trae la sua origine, non ha dato luogo alla minima ricerca. Per
una semplice ragione: i Romani non hanno mai esiliato nessun popolo su
tutto il lato orientale del Mediterraneo. Ad eccezione dei prigionieri ridotti in schiavitù, gli abitanti della giudea continuarono a vivere sulle loro terre, anche
dopo la distruzione del secondo tempio”.
Le origini plurali del popolo ebraico
“Il giudaismo, sostiene Sand, fu
la prima religione proselitista”. “Gli ebrei hanno sempre formato comunità religiose costituite generalmente da conversioni in diverse regioni del mondo: non rappresentano dunque un “etnos” fautore di un’origine unica che si sarebbe spostato dopo un’erranza di venti secoli”, ma sono discendenti di
tribù berbere giudeizzate, dei cittadini del regno ebraico Himyar nello Yemen e dell’immenso regno kazaro
situato tra il Mar Nero e il Mar Caspio etc. etc. Non esiste quindi una sequenza genealogica continua del popolo ebraico come pretende la storiografia asservita all'ideologia dominante sionista."
Etnocrazia e apartheid
La
costruzione etnocentrica del giudaismo che costituisce
la base della politica identitaria dello Stato di Israele, alimenta, sottolinea Sand, una segregazione che mantiene divisi gli ebrei dai non ebrei –
sia Arabi, che immigranti russi e lavoratori immigrati. “In altre parole, si tratta di una etnocrazia
che giustifica la discriminazione rigorosa che pratica nei confronti di una
parte dei suoi cittadini invocando il mito della nazione eterna,
ricostituita per raccogliersi “sulla terra dei suoi antenati”.
V. anche il commento al libro di Shlomo Sand di Paolo Mieli per il Corriere della Sera, pubblicato nel 2010.
Ze'ev Herzog, uno dei più
noti professori alla facoltà di archeologia dell'Università di Tel Aviv, Direttore dell'istituto di Archeologia di questa Università, in un articolo pubblicato anni orsono nel settimanale israeliano Haaretz e commentato recentemente da La Repubblica riportava i risultati delle ricerche che negli ultimi decenni lo avevano impegnato insieme a numerosi altri archeologi israeliani.
"Le nazioni
nuove, dice Herzog, trovano un sostegno nell'archeologia per rafforzare la coesione
nazionale e rifondare la nazione. E così l'archeologia, negli anni 50 e 60 diventò in Israele una passione collettiva, per questo io
stesso sono diventato archeologo. Così abbiamo scavato e scavato. Ma
lentamente sono cominciate ad apparire le prime contraddizioni. Quello che emerge dal lavoro scientifico degli archeologi israeliani che hanno scavato per decenni i siti delle Sacre Scritture è radicalmente diverso da ciò che racconta la Bibbia sulla storia del popolo ebraico."
La grandezza del regno di Davide e
Salomone? Solo epica, non reale: Gerusalemme era un villaggio. La traversata del deserto? Dagli scavi non emergono tracce
relative ad una traversata del deserto. Le mura di Gerico? Le mura di Gerico all'epoca non
esistevano. Le città di Canaan non erano "grandi", né erano
fortificate e non avevano "mura che si levavano alte nel cielo.
Non sono dissimili le conclusioni a cui pervengono due dei
maggiori archeologi biblici: Israel Finkelstein, professore di Archeologia all’Università di Tel Aviv
e Neil Asher Silberman, direttore
del Centre for Public Archeolology and Heritage Presentation in Belgio.
Nel libro "Le tracce di Mosè" (titolo originale: The Bible Unearthed: Archaeology's New Vision of Ancient Israel and the Origin of Its Sacred Texts. ossia "La Bibbia disvelata: nuova visione dell'archeologia dell'antica Israele e dell'origine dei suoi testi sacri"), edito nel 2001 e pubblicato in Italia nel 2011, i due autori illustrano i risultati di decenni di scavi in Israele e in Egitto, Libano e Siria, e il loro significato per la nostra comprensione dell'Antico Testamento.
Scopo dichiarato dell’opera è fornire «una dimostrazione archeologica e storica convincente di una nuova interpretazione della nascita dell’antico Israele»
Nel libro "Le tracce di Mosè" (titolo originale: The Bible Unearthed: Archaeology's New Vision of Ancient Israel and the Origin of Its Sacred Texts. ossia "La Bibbia disvelata: nuova visione dell'archeologia dell'antica Israele e dell'origine dei suoi testi sacri"), edito nel 2001 e pubblicato in Italia nel 2011, i due autori illustrano i risultati di decenni di scavi in Israele e in Egitto, Libano e Siria, e il loro significato per la nostra comprensione dell'Antico Testamento.
Scopo dichiarato dell’opera è fornire «una dimostrazione archeologica e storica convincente di una nuova interpretazione della nascita dell’antico Israele»
Scopriamo così, tra l'altro, che i primi libri della Bibbia furono redatti solo nel settimo secolo a.C, a distanza di centinaia di anni dagli eventi narrati e sottoposti a manipolazioni da parte di numerose generazioni di scribi biblici; non ci sono prove storiche sufficienti della fuga dall'Egitto né della conquista di Canaan; gli israeliti non sarebbero un popolo venuto da fuori a conquistare Canaan, bensì la sua componente nomade definitivamente sedentarizzatasi sull'altopiano e differenziatasi religiosamente.
L’assenza di tracce di esseri umani nella penisola del Sinai
nel tardo bronzo smentisce l’esodo.
L’arretrata realtà sociale di Gerusalemme e delle zone limitrofe durante la
prima età del ferro collide con l’immagine del ricco stato unitario governato
da Davide e Salomone intorno al 1000 a.C.
Il monoteismo di
questo popolo, inoltre, affermano i due autori, non può essere fatta risalire all'epoca di Abramo. Il monoteismo non sarebbe stato quindi originario e sottoposto a ricorrenti tentativi
di introdurre altre divinità, ma sarebbe stato viceversa imposto (non senza
contrasti) da una riforma religiosa intesa a supportare le ambizioni politiche
del regno di Giuda, e in particolare del suo re Giosia (639-609 a.C.).
Il documentarista Thierry Ragobert (che ha più
volte collaborato in passato con Cousteau) ha realizzato un film documentario
in 4 parti, ognuna delle quali di 52 minuti, ispirato al libro, che è stato intitolato
“La Bible dévoilée”. Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman vi hanno
partecipato nella loro veste di archeologi, assieme a due biblisti, tutti
apprezzati specialisti. Il documentario è stato diffuso su France 5 nel
dicembre del 2005. Quello postato qui sotto è la versione integrale in lingua spagnola.
Questo video è stato rimosso da You Tube. Quindi lo sostituiamo con il seguente
(aggiornamento in data 27.03.2015)
Nachman Ben-Yehuda, professore del Dipartimento di Sociologia e Antropologia dell’Università Ebraica di Gerusalemme, nel libro "Il mito di Masada", di cui è riportato un commento nel sito Storia in Rete, riscrive
un mito che ebbe un ruolo fondamentale nel processo di
costruzione della nazione di Israele e nella formazione di una nuova identità
ebraica.
Narra la leggenda riportata dallo scrittore romano di
origine ebraica, Giuseppe Flavio, che nel 73 d.C. 960 ebrei sotto assedio nell’antica
fortezza di Masada si sarebbero suicidati (un caso di
suicidio di massa in contrasto con gli insegnamenti del Giudaismo...) piuttosto
che arrendersi ad una legione romana.
Il luogo, nei primi anni ’60 del secolo
scorso, fu meta di un vero e proprio pellegrinaggio
archeologico. L’archeologo Yigael Yadin guidò infatti le ricerche e gli scavi alla
testa di un piccolo esercito di volontari mossi dal profondo bisogno di
ritrovare le radici guerriere di Israele.
Masada divenne presto un simbolo
ideologico per lo Stato di Israele, argomento di film e miniserie, santuario
venerato da generazioni di sionisti e soldati israeliani, nonchè, ultimamente,
destinazione di una redditizia attrazione turistica.
Senonché i recenti studi di
archeologia hanno ridisegnato ampiamente la vicenda.
“Quando esaminiamo a fondo […] la
Grande Rivolta e Masada, dice Ben-Yehuda, semplicemente non abbiamo alcun
ritratto di eroismo. Al contrario, i racconti narrano la storia di una fatale
(e discutibile) rivolta, di un gigantesco fallimento e della distruzione del
Secondo Tempio e di Gerusalemme, di massacri di ebrei su larga scala, di
differenti fazioni di ebrei che combattevano e si ammazzavano a vicenda.”
Inoltre, l'archeologo Yigael Yadin, prosegue Ben-Yehuda, non si soffermò
sull’origine dei resti umani. Per lui erano i “difensori di Masada”. Il governo
israeliano, addirittura volle che fossero sepolti con gli onori militari, come
poi avvenne nel 1969. Un’ipotesi, tuttavia, indebolita da successive ricerche,
che proverebbero, al contrario, che i corpi ritrovati appartenevano a occupanti
molto più tardi, di epoca bizantina, oppure a romani della Legione Fretense o
della guarnigione che fu presa con l’inganno e massacrata dagli ebrei ribelli
di Elazar, un’ipotesi suffragata anche dal ritrovamento nel 1982 di ossa di
maiale, animale che, com’è noto, è considerato impuro dagli ebrei. Inoltre sono stati ritrovati finora solo 28
corpi, dei quali la maggior parte in caverne alla base della montagna. Gli
altri 932 cadaveri dove sono?. La rampa
costruita dai romani non sarebbe stata alta 375 piedi (125 metri) come preteso
da Giuseppe Flavio, ma appena una dozzina di metri, poiché la legione romana sfruttò uno sperone di roccia. Infine non anni, ma settimane, durò la resistenza di
Masada ai romani.
La voce di un
archeologo palestinese
L’archeologo palestinese Mahmoud Hawari, professore presso la facoltà di Studi Orientali dell’Università di
Oxford, in un’intervista rilasciata in
occasione del ciclo di conferenze organizzato dal "Centro Interdipartimentale di Studi Balcanici e Internazionali di Venezia", manifesta la speranza che anche i
palestinesi si appassionino al loro patrimonio e denuncia l’uso distorto che
dell’ archeologia viene fatto in Israele dove il rigore scientifico cede il
passo alla politica e all'ideologia e dove l'archeologia diventa strumento per il consolidamento e
l’espansione della politica coloniale sionista.
“Abbiamo
la realtà israeliana, dice Hawari, dove gli archeologi operano all’interno
della loro realtà politica, geo-politica e ideologica. Mi spiego, lo Stato di
Israele è il risultato del movimento sionista: un popolo che cercava
un’identità, una terra nazionale, attraverso il processo della colonizzazione
ha conquistato -e talvolta comprato- un territorio e, grazie anche alle forze
internazionali, ne ha preso il controllo. In questo scenario l’archeologia ha
giocato un ruolo preciso che è differente da quello di molti altri posti nel
mondo, forse simile ad altri contesti coloniali. La sua funzione è diventata
quella di fornire radici al popolo ebraico. Per ottenere questo obiettivo si è
concentrata sui siti menzionati nella narrazione biblica”
“Questa
si è rivelata, col tempo, un’operazione problematica, afferma Hawari. A
segnalare l’esistenza di incongruenze non siamo stati solo noi archeologi
palestinesi. Oggi ci sono anche archeologi israeliani, soprattutto giovani, che
riscontrano problemi. E vi sono anche un certo numero di studiosi europei e
internazionali, storici della Bibbia, teologi, storici e anche archeologi, che
denunciano molti problemi in questa disciplina che si chiama "archeologia
biblica”. I primi sono stati un gruppo di teologi, la cosiddetta "Scuola di Copenhagen".
“Ormai,
per tanti studiosi di tutto il mondo, continua Hawari, l’archeologia biblica è
considerata parziale e poco oggettiva, perché in archeologia noi esploriamo,
facciamo ricerche, lavoriamo sul campo e poi analizziamo i risultati traendone
le conclusioni. Siamo aiutati dalle fonti storiche. Mentre nell’archeologia
biblica, si prendono le fonti storiche e si cerca di adattarle ai risultati
dello scavo”....”Masada è uno degli esempi più significativi di questo
approccio. L’archeologo che ha scavato il sito, Yigael Yadin, non trovando
molte prove a supporto del mito, le ha inventate”.
“La
stessa cosa è stata fatta a Gerusalemme. Secondo le narrazioni bibliche, Davide
e Salomone costruirono il cosiddetto Primo tempio. Bene, dopo centocinquanta
anni di ricerche archeologiche a Gerusalemme non è mai stato trovato nulla, e tuttavia il sito dell’Antica Gerusalemme viene chiamato dagli israeliani la
"città di Davide”. Hanno creato una nuova mitologia, come se Gerusalemme
fosse esistita ai tempi di Davide e Salomone. Hanno creato un "parco archeologico" che vorrebbero espandere a discapito delle case palestinesi
circostanti. L’area è stata subappaltata ad una organizzazione di estrema
destra israeliana che attualmente sta scavando sul sito, per cercare la
cosiddetta "città di Davide”...Moltissime famiglie palestinesi sono state
allontanate dalla zona ed è già stata pianificata la requisizione di
qualcosa come altri ottanta edifici: mille persone perderebbero la loro
casa... per creare, in questo modo, "realtà coloniali” sul campo e
perseguire una vera pulizia etnica. In questo caso l'archeologia diventa uno strumento nelle mani del colonialismo, a scapito dei palestinesi che vivono in quei luoghi da secoli."
Anche in Italia la storia mitica
di Israele è stata oggetto di revisionismo scientifico. Mario Liverani, storico e archeologo delle religioni, Professore ordinario di Storia del
Vicino Oriente antico presso l'Università "La Sapienza" di Roma e
accademico dei Lincei, nel libro "Oltre la Bibbia" (Laterza 2003) ricostruisce la storia antica del territorio oggi
occupato da Israele secondo
i criteri della moderna metodologia storiografica.
“Partendo dalla constatazione che il racconto biblico è
frutto di una elaborazione molto tardiva, Liverani riporta i materiali testuali
all’epoca della loro redazione, ricostruisce l’evoluzione delle ideologie
politiche e religiose in progressione di tempo, inserisce saldamente la storia
d’Israele nel suo contesto antico-orientale. Emerge così la ‘storia normale’ dei due piccoli regni
di Giuda e d’Israele, analoga a quella di tanti altri piccoli regni locali, e una ‘storia inventata’...".
Vedi anche, su questo blog, Palestina. Capire la questione palestinese, pagina nera del colonialismo
mg
Vedi anche, su questo blog, Palestina. Capire la questione palestinese, pagina nera del colonialismo
mg
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