La guerra imperversa ormai in tutto il Medio Oriente e Nord-Africa: Iraq, Afganistan, Siria, Palestina e Libia sono i principali scenari.
Ma è anche tutto il Centro Africa ad essere flagellato da violenti conflitti: nella Repubblica Centroafricana, nel Sud Sudan, in Darfur, nel Mali, in Nigeria, nel Congo... Conflitti che i media occidentali per lo più liquidano come tribali, etnici o religiosi, ma che in realtà sono scatenati dalle lotte di potere di ex potenze coloniali per il controllo di ricchezze naturali come il petrolio, l’uranio, i diamanti, l’oro e il coltan (vedi il nostro post Parla la nuova Africa...).
Papa Francesco, nell’omelia pronunciata
durante la visita al Sacrario dei Caduti della Prima Guerra Mondiale a
Redipuglia il 13 settembre scorso, ha puntato il dito contro coloro che ha
definito i "pianificatori del terrore".
“Dietro
le quinte, ha detto, ci sono interessi,
piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle
armi, che sembra essere tanto importante!”
Un appello e un monito che confermano quella
leadership spirituale mondiale di Papa Francesco riconosciuta anche dalla
maggioranza del mondo islamico
I pianificatori del terrore
Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio
permanente sulle armi leggere di Brescia (Opal) fornisce
alcune cifre sul mercato internazionale delle armi, in particolare
destinato al Medio Oriente.
“Chi sta armando il Medio Oriente non è qualche “paese canaglia”, ma le
maggiori potenze occidentali.”
“Gli Stati Uniti sono in assoluto il maggior
esportatore di armamenti verso i Paesi mediorientali: nell’ultimo decennio ne hanno inviati
per quasi 25 miliardi, cioè praticamente la metà di tutte le forniture di
armi al Medio Oriente è di provenienza statunitense. Segue la Russia, ma con
cifre quanto mai lontane (circa 5,5 miliardi di dollari) e poi una serie di
Paesi dell’Unione europea: la Francia (più di 5 miliardi), la Germania (3,3
miliardi), il Regno Unito (3,1 miliardi) e l’Italia (più di 1 miliardo)”.
“Il Medio Oriente è la zona nel mondo verso
cui – secondo l’autorevole istituto di ricerca svedese SIPRI (Stockholm
International Peace Research Institute) – è diretta la maggior parte di sistemi
militari: nell’ultimo decennio ne sono stati inviati per oltre 51 miliardi di dollari, che rappresentano più del
20 per cento di tutti i trasferimenti mondiali di armamenti. Un quinto di tutti i sistemi militari
venduti nel mondo va quindi a finire proprio in Medio Oriente”.
“I governi dei Paesi dell’UE nel decennio 2003-2012 hanno autorizzato esportazioni di sistemi militari verso il Medio
Oriente per oltre 71 miliardi di euro. Nel solo 2012 queste autorizzazioni sono state di oltre 9,7 miliardi di euro che fanno del
Medio Oriente il principale destinatario esterno di sistemi militari prodotti
nei paesi dell’Unione”.
“L’Italia nell'ultimo quinquennio ha autorizzato esportazioni di sistemi militari verso i paesi del Medio
Oriente per oltre 5 miliardi di euro. Non
va dimenticato che l’Italia è stata il
maggior fornitore europeo di sistemi militari alla Libia di Gheddafi”. Fonte Città Nuova
Leggiamo poi nella Scheda "Armamenti" di Unimondo “che l’Italia è il secondo maggior
esportatore di “armi leggere” superata solo dagli USA. Armi facili da
smerciare e che possono alimentare il mercato illegale.
In Africa sono proprio le armi leggere le vere armi di distruzioni di
massa.
La connessione tra il traffico di armi, i
conflitti armati e le modalità con cui spesso avviene lo sfruttamento delle
risorse nei paesi africani da parte società straniere è stata oggetto di studio
da parte del gruppo ad hoc di esperti
incaricato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di indagare su tale
fenomeno nella Repubblica Democratica del Congo,
paese ricchissimo di risorse minerarie, segnato da decenni di instabilità e di
conflitti sanguinosi che hanno prodotto oltre
3 milioni di morti e 2 milioni di profughi, secondo stime del Consiglio di
Sicurezza al 2003. (vedi il nostro post Parla la nuova Africa...)
“Il complesso militare-finanziario-industriale internazionale”. Le
scelte politiche cedono il passo alla logica del profitto.
“All’espansione del mercato degli armamenti stanno contribuendo in modo crescente i recenti processi di privatizzazione e internazionalizzazione delle maggiori imprese militari occidentali e il ruolo sempre più preponderante dei gruppi bancari e finanziari sulle attività delle aziende del settore militare che necessitano ingenti investimenti per la ricerca e lo sviluppo di nuovi sistemi e tecnologie e per reggere la competizione internazionale nell'acquisto di nuove commesse.
Tutto ciò sta avendo notevoli ripercussioni sui governi
per quanto concerne l’effettiva possibilità di determinare in modo autonomo e
incondizionato le proprie politiche nazionali di produzione ed esportazione di
armamenti.
La crisi economica che da anni sta investendo
le economie occidentali e la conseguente restrizione dei budget per il settore
della difesa sta portando diversi governi, e in modo particolare quelli
dell’UE, ad incentivare le esportazioni di armamenti allo scopo di sostenere le
proprie industrie militari tanto che diversi ministri e funzionari della Difesa dei Paesi europei sono ormai
riconosciuti come espliciti promotori delle industrie di questo settore.
In questo modo, gli sforzi tesi ad attuare una politica estera e di sicurezza
comune, ridefinendo anche il ruolo e la
funzione dell’industria europea della difesa, rischiano di essere sopraffatti da logiche di tipo industriale e finanziario, dalla necessità cioè delle industrie
militari da un lato di mantenersi concorrenziali in un mercato globale degli
armamenti sempre più competitivo e dall'altro di dover rispondere ai propri
azionisti e finanziatori privati più che ai rappresentanti politici
democraticamente eletti”. Fonte Gianni Beretta in contributo alla campagna "Banche Armate"
L’“industria della difesa” invece che
produrre maggior sicurezza finisce così con l’incrementare l’insicurezza
internazionale e l’instabilità delle zone di maggior tensione del mondo.
L’Italia ha deciso di trasferire armi leggere in Iraq ai peshmerga curdi, di fatto partite da La Maddalena il 23 settembre scorso. Come ha spiegato dalla ministra Pinotti, si tratta soprattutto di armi in disuso o
sequestrate a trafficanti che avrebbero dovuto essere distrutte. Cioè proprio
quel tipo di armi che possono alimentare il mercato illegale in una regione
dove già la gran parte degli armamenti proviene da traffici illeciti.
Inascoltato è stato l'appello di Rete Disarmo affinché non si scegliesse la strada
dell'invio di armi italiane nella regione: “La responsabilità di proteggere
le popolazioni minacciate del Nord dell’Iraq non si esercita fornendo armi alle
forze armate curde o irachene, ma semmai inviando una forza di interposizione
militare a difesa delle popolazioni e
creando le condizioni per interventi di pace”
Papa Francesco, sull'aereo di ritorno a Roma dalla
Corea, ha poi ammonito che “dobbiamo avere memoria di quante volte con la scusa
di fermare un’aggressione ingiusta le potenze si sono impadronite dei popoli e
hanno fatto vere guerre di conquista”.
Queste parole non possono non riportarci agli
scenari sanguinosi dei c.d. interventi “umanitari” messi in campo da parte di alcune potenze occidentali,
interventi dichiarati per tutelare i diritti umani ed esportare democrazia in
determinati paesi, ma in realtà destinati ad “importare” le loro ricchezze.
E’ il caso dell’Afganistan in cui le compagnie americane mirano al controllo dei grossi progetti del petrolio e del gas nel Kazakhstan e in altri stati dell’Asia Centrale e alla costruzione di oleodotti attraverso l’Afghanistan. Fonte James Coogan
E’ il caso dell’Iraq un Paese geograficamente strategico: sia per le
riserve petrolifere, sia per la posizione geografica (le basi militari per
controllare l’Asia centrale e il Golfo Persico). Fonte Franco Cardini
E’ il caso del Mali un Paese strategicamente importante per le centrali nucleari francesi (vedi il nostro post Mali. Le verità della guerra).
Le parole di Papa Francesco non possono poi
non riportarci alla mente le tante menzogne disseminate dai media, costruite per influenzare l’opinione pubblica e nascondere
la verità di queste guerre: la menzogna che Saddam Hussein fosse in possesso di
armi di distruzione di massa; la menzogna che la Casa Bianca avesse le prove
che Assad aveva usato armi chimiche; la menzogna che in Afganistan la gente rifiutava i Talebani e la loro cultura di paura e di
intimidazione, mentre, come ha dovuto riconoscere la stessa corrispondente del New
York Times, Carlotta Gall, i Talebani hanno via via guadagnato sempre più consensi
a causa dell’odio esistente nei confronti degli occupanti occidentali e del
loro governo fantoccio di Kabul.
E c'è chi oggi comincia a dubitare che l'attuale offensiva militare contro il terrorismo da parte della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti, sia in realtà strumentale alla destabilizzazione della Siria e all'eliminazione di Assad (così teleSUR tv).
E c'è chi oggi comincia a dubitare che l'attuale offensiva militare contro il terrorismo da parte della coalizione capeggiata dagli Stati Uniti, sia in realtà strumentale alla destabilizzazione della Siria e all'eliminazione di Assad (così teleSUR tv).
Nel discorso tenuto all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre scorso il premier iraniano Hassan Rohani ha condannato senza mezzi termini i crimini dei terroristi: "i gruppi come l'Isis hanno un'unica ideologia che è la violenza e l'estremismo, hanno un unico obiettivo, ossia la distruzione della civiltà". Questi gruppi sono fuori dall'Islam, ha aggiunto.
Rohani ha voluto però anche mettere in risalto la responsabilità che grava su alcuni paesi occidentali di aver favorito la nascita e la crescita del terrorismo.
“Certi paesi, ha detto, hanno contribuito a creare l’estremismo e adesso
sono incapaci di frenarlo. La passata esperienza con Al Qaeda e i Talebani e i moderni gruppi estremisti
dimostra che non si possono usare questi gruppi per opporsi a uno Stato e
restare poi immuni dalle conseguenze”. Questi
paesi con i loro errori strategici hanno convertito il Medio Oriente in un
rifugio per terroristi ed estremisti. Il sentimento anti-occidentale che c’è
in molti Stati della regione è il prodotto del colonialismo. Se tali paesi
cercano di continuare la loro egemonia nella regione stanno commettendo un
nuovo errore strategico”.
(v. anche il testo del discorso e il video in altre lingue)
Un monito quello di Rohani condiviso da
numerose associazioni occidentali anche di matrice cattolica
Osservatorio Iraq, Pax Christi Italia e Un
ponte per…hanno sottoscritto e diffuso il documento di analisi del movimento
per la pace olandese "Pax" sulla necessità di una strategia politica
comprensiva per contrastare lo Stato Islamico in Siria e in Iraq.
“Le radici dell'estremismo, esse affermano, non
si estirpano con strumenti militari ma
con misure di tutela dei diritti umani e della democrazia, che il governo
iracheno ha la responsabilità di attuare, con il sostegno della comunità
internazionale.
In Iraq e in Siria si sta scrivendo, di nuovo, la storia manu militari senza apprendere dal
passato.
Manca totalmente un'ammissione delle responsabilità internazionali che
hanno contribuito a rendere fertile il terreno per l'Isis, sostenendo per anni governi che hanno esacerbato le divisioni tra le
comunità e alimentando o tollerando i canali di approvvigionamento militare e
finanziario dello Stato Islamico”. Fonte Osservatorio Iraq
In un' intervista rilasciata alla rivista geopolitica Eurasia lo storico Franco Cardini ricorda che “Dal 1979 i successivi governi americani
hanno foraggiato economicamente e rifornito l’insurrezione islamica allo scopo
di rovesciare il governo afgano sostenuto dalla Unione Sovietica. Negli anni
’90, all’epoca di Clinton, la Casa Bianca spinse il Pakistan suo alleato a
favorire l’insediamento a Kabul dei Talibani nella convinzione che il loro
governo sarebbe stato favorevole alle aspirazioni delle compagnie americane".
Sottolinea poi che "gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia
e la Turchia per la Siria, hanno pesanti responsabilità nella nascita del
“califfato” e nella diffusione del terrorismo jihadista in generale. Questi
Paesi: isolando l’Iran, eliminando Saddam Hussein in Iraq, Gheddafi in Libia e
cercando di abbattere Assad in Siria, hanno di fatto favorito l’ascesa degli
gli islamisti, che forti del sostegno delle ricche monarchie del Golfo, trovano
pochi ostacoli alla loro avanzata”.
Un monito a non ripetere gli errori del passato è arrivato anche dal presidente delle Acli Gianni
Bottalico, che ha esortato a "mettere di fronte alle
loro responsabilità quanti hanno finanziato ed armato questa orda di violenti
dell'Isis, che ha tratto enorme
giovamento dalla destabilizzazione della Libia e da quella in corso della
Siria, e che si è radicata nell'Iraq disastrato in seguito alla lunga guerra di
occupazione americana”. Fonte Unimondo
“La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!". Sono le parole dure di Papa Francesco che ci fanno riflettere sull'ossessione per la c.d. "crescita" da parte dell'attuale sistema neo-liberista. Un crescita perseguita a costo di morte e distruzione. Una crescita di cui pochissimi alla fine beneficiano e che lascia intatta la forbice tra ricchi e poveri.
La guerra è criminogena per coloro che non la combattono, ma anche per coloro che la combattono. E' criminogena per l'effetto mimetico pervasivo della violenza istituzionale sulle interazioni sociali. Sovverte i valori e le regole sociali. I tassi criminali si impennano, le zone di guerra diventano enormi mercati illeciti, la tortura può farsi patriottica (così Vincenzo Ruggiero, in Potere e Violenza, Guerra, terrorismo e diritti a cura di F.Ruggeri e V.Ruggiero, 2009).
"La domanda vera, dunque, non è: chi vincerà la guerra?. La domanda vera è: come sarà cambiato l'Impero dopo aver vinto la guerra?" (così Asor Rosa, in La Guerra, 2002).
mg
“La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!". Sono le parole dure di Papa Francesco che ci fanno riflettere sull'ossessione per la c.d. "crescita" da parte dell'attuale sistema neo-liberista. Un crescita perseguita a costo di morte e distruzione. Una crescita di cui pochissimi alla fine beneficiano e che lascia intatta la forbice tra ricchi e poveri.
La guerra è criminogena per coloro che non la combattono, ma anche per coloro che la combattono. E' criminogena per l'effetto mimetico pervasivo della violenza istituzionale sulle interazioni sociali. Sovverte i valori e le regole sociali. I tassi criminali si impennano, le zone di guerra diventano enormi mercati illeciti, la tortura può farsi patriottica (così Vincenzo Ruggiero, in Potere e Violenza, Guerra, terrorismo e diritti a cura di F.Ruggeri e V.Ruggiero, 2009).
"La domanda vera, dunque, non è: chi vincerà la guerra?. La domanda vera è: come sarà cambiato l'Impero dopo aver vinto la guerra?" (così Asor Rosa, in La Guerra, 2002).
mg
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