novembre 30, 2012

PALESTINA. Capire la questione palestinese, pagina nera del colonialismo





“Nei primi decenni del secolo scorso inglesi e francesi erano i padroni indiscussi del Medio Oriente. Stati come la Siria e il Libano sono nati sotto l'egida coloniale francese mentre l'Iraq, la Palestina e la Giordania sono stati letteralmente creati dalla Gran Bretagna e sottoposti al suo controllo grazie all'istituto giuridico del 'mandato', lo strumento di legalizzazione del colonialismo inventato dalla Società delle Nazioni. Da loro dipendeva la definizione dei confini degli Stati, la designazione dei leader e delle élite poste ai vertici del potere statale, la modellazione dei regimi politici, con la preferenza normalmente accordata alla monarchie ereditarie. Inglesi e francesi decidevano, con il consenso degli Stati Uniti, sulla allocazione delle risorse naturali della regione, in particolare delle riserve petrolifere che allora cominciavano ad essere scoperte nel Golfo Persico e nel distretto settentrionale iracheno di Mosul. La forza delle due potenze coloniali era tale che anche i governi dei paesi formalmente indipendenti - la Turchia, l'Egitto, la Persia - erano costretti a riconoscere i nuovi confini statali e ad accettare il nuovo ordine mandatario” (così Danilo Zolo, Le radici coloniali del medio oriente).

Alla fine della prima guerra mondiale i territori arabi appartenenti all’Impero Ottomano, uscito sconfitto dalla guerra, furono suddivisi tra Francia e Gran Bretagna mediante il sistema dei mandati istituito dalla Società delle Nazioni. La Palestina fu affidata alla Gran Bretagna (Accordo di Sykes-Picot 1916 ). Il mandato britannico durò dal 1920 al 1948.

Dopo la seconda guerra mondiale, il 29 novembre del 1947, l'Assemblea Generale delle neonate Nazioni Unite (26 giugno 1945) che contavano allora solo 56 stati membri, stabiliva la cessazione del mandato britannico sulla Palestina e adottava la risoluzione n.181 con cui veniva approvato un piano di spartizione del territorio palestinese tra uno stato ebraico (56% del territorio) e uno stato arabo (43%). Dopo aver progettato di costituire la sede dello stato ebraico in Argentina, in Sudafrica o a Cipro la scelta cadde sulla Palestina, in quanto, si disse (Israel Zangwill), “era una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

In realtà non era così. In quel momento in Palestina era presente infatti una popolazione autoctona di circa un milione e mezzo di persone, mentre gli ebrei, nonostante l’imponente flusso migratorio del dopoguerra, superavano di poco il mezzo milione. E così, mentre nel territorio assegnato allo Stato arabo gli ebrei erano quasi del tutto assenti, in quello attribuito allo Stato ebraico gli arabi costituivano la metà della popolazione totale e possedevano ancora la maggior parte della terra. Il piano venne quindi  respinto dai paesi arabi come una violazione del principio di autodeterminazione dei popoli sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e diede subito inizio ai conflitti che tuttora persistono, conflitti durante i quali avvenne la graduale erosione anche di quella parte di territorio che era stato assegnato alla popolazione araba dalla risoluzione n.181 da parte delle forze militari dell’autoproclamatosi Stato di Israele (14 maggio 1948), assai meglio armate e equipaggiate.

Durante la guerra arabo-israeliana del 1948 le forze israeliane occuparono ampie zone del previsto Stato arabo. Israele passò così dal 56% dei territori  che le erano stati assegnati dalla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al 78%. La maggior parte della popolazione araba della Palestina fu trasformata dal conflitto in una massa di profughi: su quasi 900.000 arabi che nel 1947 risiedevano nell'area poi acquisita da Israele, circa 750.000 furono costretti alla fuga, trovando poi rifugio in Cisgiordania, a Gaza e nei paesi vicini.

A conclusione della così detta "guerra dei sei giorni" del 1967, Israele occupò anche il restante 22% del territorio palestinese, annettendosi  illegalmente Gerusalemme-est e imponendo un regime di occupazione militare agli oltre due milioni di abitanti della striscia di Gaza e della Cisgiordania. Il tutto accompagnato dalla sistematica espropriazione delle terre, dalla demolizione di migliaia di case palestinesi, dalla cancellazione di interi villaggi e dall’insediamento di innumerevoli colonie.

Come è noto, complessivamente non meno di 300 mila coloni israeliani oggi risiedono nei territori occupati, in residenze militarmente blindate, collegate fra loro e con il territorio dello Stato israeliano attraverso una rete di strade (le famigerate by-pass routes) interdette ai palestinesi e che frammentano e lacerano ulteriormente ciò che rimane della loro patria.

A tutto questo si aggiunge la costruzione del 'muro illegale' in Cisgiordania, destinato a concentrare la popolazione palestinese in aree territoriali frammentate e dislocate, a rendere irreversibile l'insediamento coloniale realizzato da Israele in territorio palestinese e ad appropriarsi di nuove terre e riserve d'acqua.




Le Nazioni Unite hanno ripetutamente statuito l'illegittimità delle azioni compiute da Israele come contrarie al diritto internazionale guarda l'elenco 
In particolare, con la risoluzione n.242 del 22 novembre 1967, il Consiglio di Sicurezza, in base al principio secondo cui l’acquisizione di territori attraverso la guerra va ritenuto inammissibile dalla comunità internazionale richiedeva a Israele il ritiro dai territori occupati nella guerra dei sei giorni del 1967.
Il 9 luglio 2004, la Corte Internazionale di Giustizia, in risposta al parere che gli era stato sottoposto dall'Assemblea Generale, affermava che: « L'edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l'interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale».
Il 20 luglio 2004, l'Assemblea Generale, dopo aver preso atto del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia adottava la risoluzione ES-10/15 con cui «esige che Israele, potenza occupante, rispetti i suoi obblighi giuridici come essi sono enunciati nel parere consultivo».
Israele, in dispregio agli ordini di giustizia, non ha mai ottemperato alle risoluzioni adottate nei suoi confronti dagli organi che la comunità internazionale, di cui fa parte, ha istituito per garantire la pace e il rispetto delle norme internazionali.

mg
  

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