Aminata Traorè, ex
ministra della cultura del Mali (1997-2000), è una delle voci più autorevoli dell’antiglobalizzazione .
Ultimamente ha condotto una grande campagna a livello internazionale lanciando diversi appelli contro la guerra nel suo paese e contro il predominio degli organismi finanziari che dettano l’agenda politica ai governi eletti democraticamente.
Rivendica l’autodeterminazione dei popoli
africani da costruire attraverso l’unità
e il dialogo.
La battaglia che Aminata
Traoré sta conducendo porta alla ribalta l’importanza del ruolo che le donne hanno nella costruzione della pace.
"Il Pieno accesso e la piena partecipazione delle donne nelle
strutture di potere e il loro pieno coinvolgimento in tutti gli sforzi per la
prevenzione e risoluzione dei conflitti sono essenziali per il mantenimento e
la promozione della pace e della sicurezza”((Women's Empowerment).
Con queste parole il
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Risoluzione 1325 del 2000 a
cui ne sono seguite altre cinque) ha esortato tutti gli Stati membri a garantire la partecipazione delle donne a tutti
i livelli delle istituzioni decisionali, nazionali e internazionali, per la
prevenzione e risoluzione dei conflitti.
L'assenza delle donne
ai tavoli per la pace ha infatti comportato la mancanza di attenzione a
questioni chiave per la soluzione dei conflitti e per una pace duratura, quali i
diritti umani sociali ed economici spesso esclusi dai negoziati. Ciò implica passare una cultura di guerra a una cultura pace.
Del resto il nesso
tra pace e diritti umani è stato considerato fondamentale dalla Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani che nel suo preambolo ammonisce: “è indispensabile che i diritti umani siano
protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a
ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione”.
Nell’aprile del 2012
Aminata Traoré è stata definita persona non grata in Europa su
richiesta della Francia...
In questo appello Aminata Traoré mette in evidenza le radici della guerra in Mali decisa dalla Francia nel gennaio scorso e gli stretti legami con l'impoverimento dell'Africa. Qui ne riportiamo alcuni brani.
Si può leggere il testo completo nella traduzione italiana e nell' originale francese.
Si può leggere il testo completo nella traduzione italiana e nell' originale francese.
Il collasso del capitalismo maliano
“La militarizzazione come risposta al fallimento del modello neo-liberista nel mio Paese è la scelta che qui contesto”
“Il Mali non soffre di una crisi umanitaria e di sicurezza
nel nord del Paese a causa di una ribellione e dell'Islam radicale e di una
crisi politica e istituzionale al sud a causa del colpo di Stato del 22 Marzo
2012. Questo approccio riduttivo e' il primo vero ostacolo alla pace e alla
ricostruzione nazionale. Noi abbiamo assistito soprattutto al fallimento di un
capitalismo maliano pretenziosamente vincente, ma ad altissimo costo sociale ed
umano”.
“Aggiustamento strutturale, disoccupazione, povertà e
povertà estrema, sono il nostro premio a partire dagli anni '80. La Francia e
gli altri Paesi europei hanno soltanto una trentina d'anni di ritardo sul Mali
ed i suoi compagni di sventura africani, sottomessi da decenni alla medicina da
cavallo del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale”.
“Secondo l'UNCTAD (Rapporto 2001) l'Africa e' il continente
dove la messa in opera dei Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS) durante
i decenni '80 e '90 e' stata più massiccia, più spinta e più distruttiva e
durante i quali le istituzioni internazionali non si sono preoccupate di
correggere gli squilibri macro-economici e le distorsioni dei mercati”.
“Le poste in ballo dell'intervento militare in corso in Mali sono:
economiche (l'uranio, quindi il nucleare e l'indipendenza energetica), di
sicurezza (la minaccia di attentati terroristici contro gli interessi delle
multinazionali, in particolare della francese AREVA, la presa di ostaggi, la
grande criminalità, ovvero il narcotraffico e la vendita di armi), geopolitiche
(la concorrenza cinese) e migratorie. Quale pace, quale riconciliazione e quale
ricostruzione possiamo sperare di avere quando le poste sono così accuratamente
nascoste al popolo?”.
Aiuto allo sviluppo o
militarizzazione?
“La miseria è il vero fermento delle ribellioni”.
“Il radicalismo religioso prospera laddove lo Stato,
aggiustato e privatizzato, è gioco forza carente o semplicemente assente”.
“Non credo che la "guerra al terrorismo" abbia
portato la pace in Iraq, Afghanistan e Libia o che i Caschi Blu abbiano saputo
proteggere le popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e di Haiti
come ci si sarebbe aspettato da loro”.
Osiamo un’altra
economia
-un’'altra economia, in maniera tale di poter disporre delle
ricchezze del nostro Paese e di scegliere liberamente le politiche per mettere
fine alla disoccupazione, la povertà, le migrazioni e la guerra;
-un sistema politico veramente democratico, perché
intelligibile dall'interezza dei Maliani, declinato e dibattuto nelle lingue
nazionali, fondato su valori di cultura e di società largamente condivisi;
- libertà di espressione e di movimento.
L’indispensabile
convergenza delle lotte
“Chiediamo uno slancio di solidarietà per prendere in
contropiede la militarizzazione, restituirci la dignità e preservare la vita e
gli ecosistemi”.
“Questo approccio altermondista ci restituisce la nostra
"dignità'" in un contesto in cui abbiamo la tendenza a
colpevolizzarci e di rimetterci, mani e piedi legati, alla mercé di una
"comunità internazionale" parte e giudice della questione”.
“Chiediamo la convergenza di tutte le lotte all'interno
delle frontiere e fra tutte quelle componenti della società martoriate dalla
barbarie del sistema capitalista che non vogliono, non si rassegnano e non si
sottomettono. Devono esplorare insieme le alternative alla guerra”.
“Gli Stati liberisti hanno privilegiato la guerra e
investito nelle armi di distruzione di vite umane, dei legami sociali e degli
ecosistemi. Innoviamo attraverso la battaglia delle idee e convochiamo una conferenza
della cittadinanza per un altro sviluppo del Mali per allentare il cappio della
globalizzazione capitalista. Si tratta di aprire un dibattito sulla relazione
fra le politiche neoliberiste e ciascun aspetto della crisi: disoccupazione
endemica dei giovani, ribellioni, ammutinamenti, colpi di Stato, violenza
contro le donne, radicalismo religioso”.
Ridateci le chiavi
del nostro paese
“Solo noi possiamo prendercene cura perché, come ha
ricordato Bouna Boukary Dioura, noi sappiamo, noi i popoli del Sahel, che le pietre finiscono per fiorire a forza di
amore e perseveranza”.
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