il 19 luglio
scorso l’agenzia Nena News pubblicava il numero e i nomi delle vittime
dell’operazione militare israeliana contro la Striscia di Gaza, "Margine protettivo”, iniziata martedì 8 luglio. 357 le vittime palestinesi di cui
i due terzi civili e il 22% bambini. Alla stessa data cinque erano le vittime
israeliane.
Il giorno
successivo il numero delle vittime era già destinato a salire. Ai raid aerei e ai missili
lanciati sulla striscia si era aggiunta l’offensiva di terra dell’esercito
israeliano e in un sol giorno erano più di cento le vittime, in maggior
parte civili. Tredici le vittime israeliane, tutti
militari.
Il 22 luglio
a Ginevra l’Unicef comunicava il più drammatico dei bilanci delle vittime: solo fino al 21 luglio nel corso dei raid e delle operazioni militari erano 121 i bambini palestinesi uccisi.
Alle 8 del mattino del 24 luglio le agenzie internazionali contavano 718 le vittime palestinesi (81,5% civili), e 32 il numero dei soldati israeliani uccisi in combattimento.
Si spara anche sulle ambulanze per
impedire che si presti soccorso ai feriti!
Il governo
israeliano ha dichiarato di aver sollecitato la popolazione di Gaza ad evacuare
le loro case e i loro quartieri. "Ma evacuare dove?", si è chiesto un cooperante norvegese.
A Gaza non vi è letteralmente alcun posto sicuro per i civili. Le frontiere sono chiuse.
Il 23 luglio veniva bombardata la scuola dell'UNRWA, l'organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, che doveva ospitare proprio coloro che avevano dovuto lasciare le loro case quando è iniziata l'operazione. Il bombardamento ha prodotto decine di vittime e di feriti, donne, bambini e funzionari delle Nazioni Unite.
Il 23 luglio veniva bombardata la scuola dell'UNRWA, l'organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, che doveva ospitare proprio coloro che avevano dovuto lasciare le loro case quando è iniziata l'operazione. Il bombardamento ha prodotto decine di vittime e di feriti, donne, bambini e funzionari delle Nazioni Unite.
Siamo di
fronte all'ennesimo sistematico massacro perpetrato dalle truppe israeliane sul
territorio di Gaza, un territorio che è stato definito la prigione a cielo aperto più grande del mondo dove è
impossibile nascondersi e da cui è impossibile fuggire.
Il giornalista israeliano Noam Sheizaf ha definito Gaza una prigione di massima sicurezza “è
difficile da visitare e per chi ci vive è impossibile uscirne. Lasciamo entrare
solo cibo (l’essenziale), acqua ed elettricità in modo che i prigionieri non
muoiano".
Acqua e cibo
ormai scarseggiano ed è difficile curare i malati e i feriti per la scarsezza di medicinali e per l’inagibilità e difficile accessibilità alle strutture sanitarie, come denunciano medici senza frontiere.
In una
riunione convocata d’urgenza il 23 luglio il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione in cui condanna Israele per la sua
offensiva militare e crea una Commissione per investigare sui crimini di guerra e le violazioni dei
diritti umani che Israele abbia potuto commettere. La risoluzione è stata
approvata con 29 voti a favore. Gli Stati Uniti hanno votato contro e i paesi europei membri del consiglio, tra cui l'Italia, si sono astenuti.
Un conflitto asimmetrico
Il massacro di civili è reso possibile anche dalla diversità delle rispettive forze militari. I palestinesi dispongono di razzi, mentre gli israeliani di missili. Inoltre i razzi palestinesi vengono agevolmente intercettati dal potente sistema di difesa Iron Dome di Israele. La differenza numerica delle vittime lasciate sul campo ne è la riprova.
Non dobbiamo dimenticare che Israele è (insieme a USA, Russia, Cina, Francia,Inghilterra, India, Pakistan e Corea del Nord) tra le maggiori potenze nucleari, nonché tra quelle (con India, Pakistan e Corea del Nord) che non hanno firmato il trattato di non proliferazione.
Il paravento dei
negoziati della diplomazia internazionale.
Tutti i
tentativi di risolvere il conflitto israelo-palestinese attraverso un processo
negoziale risultano ormai destinati al fallimento.
È ormai da
venti anni che i negoziati rappresentano nei fatti non tanto la via per la
pace, quanto piuttosto “un paravento
dietro il quale il processo di
progressiva annessione della Palestina da parte di Israele va avanti
indisturbato”.
"Secondo
l'ufficio centrale di statistica israeliano, nel 2013 si è iniziata la costruzione di 2.534 nuove unità abitative negli
insediamenti ebraici in Cisgiordania, più del doppio che nell'anno precedente.
Israele ha poi intensificato la
demolizione di edifici palestinesi; ad esempio, secondo dati ONU, nella
valle del Giordano sono state demoliti 390 edifici rispetto ai 170 del 2012, e
590 persone si sono trovate senza casa. Un processo
di colonizzazione che ha, sin dall'inizio, mirato a rendere impossibile il
formarsi di una società palestinese capace di esprimere una comune identità
politica e nazionale, e a rendere sempre più difficile la vita dei palestinesi,
rendendoli dei profughi nella loro stessa terra" (Fonte Scienzaepace,
Università di Pisa, leggi tutto).
Fermare Israele con un embargo militare ed economico
La soluzione del conflitto e la eliminazione delle sue cause vanno ritrovate in
quelle forme di embargo militare ed
economico che a suo tempo furono adottate, con
successo, nei confronti del Sud Africa durante l’apartheid.
In questa direzione si muove il provvedimento (2013/C 205/05) pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 19 luglio dello scorso anno (v. il nostro post) con cui vengono fissati i limiti
territoriali entro cui potrà realizzarsi la cooperazione
dell’Unione Europea con Israele a partire dal 2014.
Si stabilisce che gli Accordi UE-Israele, i finanziamenti
comunitari, gli scambi finanziari, economici e culturali non saranno applicabili
ai territori occupati da Israele dal 1967, territori che l’Unione
Europea non riconosce come territori di Israele.
Le organizzazioni internazionali si sono mobilitate lanciando una petizione in cui si chiede alle banche,
ai fondi pensione e alle imprese di mettere fine ai loro investimenti in Israele.
Questo è forse l’unico “linguaggio” che il governo di Israele è in grado di capire.
Recentemente numerosi premi
Nobel, artisti e personalità internazionali hanno pubblicato una lettera aperta
per esigere che l’ONU e i governi del mondo impongano un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele.
Ma quale è la
politica dell’Italia? Rete Disarmo: il governo italiano sospenda l’invio di
armi ad Israele.
L’Italia
evita di schierarsi e mantiene uno stretto riserbo. E non potrebbe essere
altrimenti visti i rapporti commerciali che intrattiene con Israele in
particolare nel settore militare.
Nel maggio
2005 – durante il governo Berlusconi III – ha ratificato un “Accordo generale di cooperazione nel
settore militare e della difesa” (qui il testo della Legge 17 maggio 2005, n.94 di ratifica).
All’accordo
sopraccitato ne ha fatto seguito un altro ben più consistente. Si tratta accordo firmato il 19 luglio 2012, durante il governo Monti sulla cooperazione militare “per la fornitura ad Israele di velivoli M346 per
l’addestramento al volo e dei relativi sistemi operativi di controllo del volo,
ed all’Italia di un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per
l’osservazione della Terra (OPTSAT -3000) e di sottosistemi di comunicazione
con standard NATO per alcuni velivoli dell’AMI”. Un accordo che ha visto
impegnato in prima persona l’ex premier Monti che lo ha definito un “salto di
qualità”. Salto di qualità peraltro mai discusso (né approvato) in Parlamento
non solo per i termini del contratto (che favoriscono i profitti privati di Alenia
Aermacchi, gruppo Finmeccanica) ma soprattutto per le rilevanti implicazioni
sulla politica mediorientale del nostro paese". (Fonte Unimondo)
l’Italia è il maggiore esportatore dell’Unione
europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele: si tratta
di oltre 470 milioni di euro di autorizzazioni per l’esportazione di sistemi
militari rilasciate nel 2012 (dati del Rapporto UE) ed oltre 21 milioni di
dollari di “armi leggere” esportate nel
quinquennio dal 2008 al 2012 (dati Comtrade). (Fonte Unimondo)
Ciò avviene in aperto contrasto con la nostra
legislazione (Legge 185 del 1990) relativa all'export di armamenti, che prevede l’impossibilità di fornire armamenti a Paesi
in stato di conflitto armato o i cui governi sono responsabili di gravi
violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.
la Rete Italiana per il Disarmo che raggruppa le principali organizzazioni italiane impegnate sui temi del
disarmo e del controllo degli armamenti, chiede che “Il governo italiano
sospenda immediatamente l’invio di armi e sistemi militari a Israele e si
faccia promotore di una simile misura presso l’Unione europea”.
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