Il 29 giugno dello scorso anno, due giorni prima dell’inizio del Ramadan, un portavoce del gruppo fondamentalista Isis -Stato islamico dell’Iraq e del Levante- (denominazione assunta dopo la fusione dell’Isi- Stato islamico dell’Iraq- con il gruppo Jabhat al Nursa affiliato ad al Qaeda), rivolgendosi ad una platea costituita dai musulmani di tutto il mondo annunciava la creazione del Califfato.
Il
5 luglio Abu Bakr al-Baghdadi, già leader
di al Qaeda in Iraq e successore di al Zarqawi, ucciso nel 2006 da un raid
aereo americano, si autoproclamava Califfo e con l’ausilio delle più moderne tecnologie e i canali dei social
media diffondeva in tutto il mondo un video che lo ritraeva mentre durante la
preghiera del venerdì, dalla Grande Moschea di Mosul città dell’Iraq
conquistata il precedente 10 giugno, ordinava
ai fedeli musulmani di obbedirgli.
L’autoproclamazione veniva peraltro considerata illegittima dalla stessa comunità sunnita che il califfato
pretende di rappresentare. In tal senso si esprimeva, il Mufti egiziano Yusuf
al Qaradawi che giudicava "nulla" e "non valida" la
dichiarazione di Abū Bakr al-Baghdādī. e potenzialmente dannosa per i musulmani sunniti.
Il progetto dell’Isis è quello di abbattere i
confini nazionali imposti dalle potenze coloniali britanniche e francesi con
gli accordi di Sykes-Picot e di costruire uno
stato islamico per i musulmani (ma non per tutti, solo per coloro che
condividono l’interpretazione dei sacri testi imposta dal gruppo terrorista) che
riproduca i confini e lo splendore dell’antico califfato in cui i musulmani
possano ritrovare la salvezza dopo secoli di umiliazione, razzismo e sconfitte
per mano degli infedeli, le potenze straniere e i loro alleati musulmani.
Avverte
Loretta Napoleoni, nel suo recente libro "Lo Stato del Terrore": “Dimenticate i talebani che tenevano
l’Afghanistan nel medioevo. Dimenticate al Qaeda, che aleggiava senza una vera
e propria potenza militare, capace solo di gesti isolati, di scarso valore
geopolitico. Questa nuova minaccia punta a un ambiziosissimo obiettivo: far
nascere dalle ceneri dei conflitti mediorientali non un gruppo terroristico, ma
un vero e proprio stato- con un suo territorio, una sua economia e un’enorme
forza di attrazione per i musulmani fondamentalisti di tutto il mondo.”
Per
realizzare il suo progetto l’Isis ha aperto
un fronte interno. I suoi nemici non sono più soltanto quelli degli storici
gruppi jihadisti, gli USA e le potenze occidentali, ma anche i musulmani “infedeli”.
Ovvero tutti quelli che non condividono l’interpretazione dei testi sacri imposta dal
radicalismo sunnita salafita, tra cui gli sciiti (Iran) e gli alauiti (Siria).
Interpretazioni
che peraltro sono contraddette dalle sacre scritture. Una per tutte, la libertà religiosa:
“Non c'è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall'errore. Chi dunque rifiuta l'idolo e crede in Allah, si aggrappa all'impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Allah è audiente, sapiente” (Corano 2.256).
“Non c'è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall'errore. Chi dunque rifiuta l'idolo e crede in Allah, si aggrappa all'impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Allah è audiente, sapiente” (Corano 2.256).
Scopo
dell’Isis è quindi quello di realizzare
la pulizia religiosa dell’Islam con
ogni mezzo, compreso lo sterminio. Come accadde subito dopo la presa di
Mosul quando i terroristi dell’Isis uccisero centinaia di sciiti, donne e bambini, scaricandone i cadaveri in fosse comuni, confiscarono quattromila case
come bottino di guerra e fecero saltare santuari e moschee sciite (leggi).
Dal 2012 l'Isis pubblica relazioni annuali (Al Naba) in cui, con un livello di precisione degno della contabilità di una società per azioni, indica il numero e la posizione geografica delle sue operazioni, il numero di attentati, omicidi, posti di blocco, missioni suicide e perfino gli "apostati" convertiti. Nel solo 2013 la relazione ha dichiarato quasi 10.000 operazioni in Iraq, 1.000 omicidi, 4.000 azioni con ordigni esplosivi e centinaia di suoi prigionieri liberati.
Fonte Ansa. Tre miliziani stanno per decapitare un curdo a Mosul |
Uno Stato quindi
che fonda la propria autorità sulla violenza, la pulizia
etnica e la barbarie e tradisce i veri valori dell’Islam. Una nuova forma
di nazismo.
Un’ideologia condannata da tutto il mondo islamico (QUI).
Dai
più autorevoli esponenti politici (QUI, QUI, QUI) e influenti organizzazioni della società civile (QUI) alle più prestigiose autorità religiose, anche sunnite (QUI, QUI, QUI), che
rivendicano all’Islam il ruolo di una religione che favorisce la compassione,
la coesistenza, la giustizia e la pace:
"E così facemmo di voi una comunità equilibrata affinché siate testimoni di fronte ai popoli e il
Messaggero sia testimone di fronte a voi... "(Corano 2.143); "O Gente della scrittura, non esagerate nella vostra religione. Non seguite le stesse passioni che seguirono
coloro che si sono traviati e che hanno traviato molti altri, che hanno perduto
la retta via"(Corano
5.77).
Se diverso è il suo
progetto politico l’Isis condivide però con i talebani e al Qaeda la genesi e
gli sponsor originari.
La genesi va ricercata nella partizione postbellica del Medio Oriente per mano delle potenze coloniali ed è profondamente intrecciata con decenni di scriteriata politica occidentale in epoca postcoloniale:
La genesi va ricercata nella partizione postbellica del Medio Oriente per mano delle potenze coloniali ed è profondamente intrecciata con decenni di scriteriata politica occidentale in epoca postcoloniale:
- la guerra afghana degli anni ottanta del secolo scorso (leggi), che vide la costituzione dell’Alleanza Islamica in funzione antisovietica sponsorizzata dagli USA e dalle monarchie del Golfo sue alleate e l’apparizione dei principali gruppi e leader terroristi: al Qaeda, O.Bin Laden e al Zarqawi;
- l'invasione dell'Afghanistan del 2001 da parte degli USA e della NATO (leggi) che dopo 13 anni di guerra (21mila morti tra i civili e 3.500 tra i soldati) ha riconsegnato il paese ai talebani (leggi);
- la guerra in Iraq iniziata dagli USA nel 2003 per ragioni di strategia geopolitica per mantenere il controllo sull’intera regione mediorientale (leggi), ma dichiarata sul presupposto falso che Saddam Hussein fosse in possesso di armi di distruzione di massa e proteggesse i terroristi (leggi). Conflitto ufficialmente dichiarato cessato nel 2011, ma che di fatto ha gettato il paese nella guerra civile consegnandolo ai gruppi radicali sunniti-salafiti che nel frattempo si erano andati consolidando dopo la caduta di Saddam e che si opponevano al governo sciita corrotto e inefficiente di al Maliki (2005-2014), imposto dagli USA.
Un
terreno fertile per la nascita e il consolidamento dei gruppi fondamentalisti
sunniti anti Bashar al Assad che hanno poi proliferato nella Siria sciita
usurpando le genuine rivolte popolari della primavera araba in questo paese.
Tutti
gruppi finanziati e sostenuti dalle "petromonarchie del Golfo", Arabia Saudita,
Kuwait e Qatar, storici alleati dell’Occidente. Paesi portatori della stessa
ideologia radicale dei gruppi jihadisti che hanno continuato a sostenere allo
scopo di minare il potere dell’Iran (paese sciita) per la conquista della leadership nella regione (leggi).
L’Isis
da parte sua ha saputo sfruttare la
proliferazione di questi gruppi per ampliare la propria
organizzazione.
In pochi mesi ha
conquistato
metà dell'intera superficie della Siria e oltre il 40 per cento di quella
irachena. Un territorio, grande quanto tutta l'Italia esclusa la sola Sardegna,
con una popolazione stimata in 11 milioni di persone.
Un’avanzata
che pare abbia preoccupato perfino i suoi vecchi sponsor che hanno preso le distanze dal gruppo terrorista denunciandone la violenza (leggi). Nell’autunno dello scorso anno i sauditi hanno costruito una muraglia
per difendere La Mecca e Medina
dalla furia dell’Isis (leggi).
Sono
state conquistate città importanti, come Mosul e Falluja, ma soprattutto
regioni strategiche ricche di risorse quali i giacimenti petroliferi della Siria orientale, ciò che ha consentito
al gruppo terrorista di avviare il processo di indipendenza dagli storici
sponsor; dotarsi di un efficiente arsenale militare; finanziare la macchina
amministrativa dello Stato e perfino un sistema di welfare, necessario
per accaparrarsi il consenso delle popolazioni conquistate.
In
breve l’Isis è diventato il gruppo terrorista più ricco al mondo con un patrimonio stimato sui due miliardi
di dollari (leggi). La sola vendita del petrolio dei giacimenti vicino a Mosul porta
nelle casse dell’Isis oltre 3 milioni di dollari al giorno. Si aggiunga un
sistema di tassazione che sconfina nell'estorsione organizzata su una
popolazione di 11 milioni di persone. E una serie di attività ancor meno presentabili,
come rapimenti e riscatti, saccheggi e contrabbando. Un ente che si considera inoltre dotato di una struttura aziendale che fa affari (leggi)
Amanda Rogers, docente nella University of
Wisconsin-Madison, ritiene che: “L'ISIS si comporta come un'azienda perché si muove
e procede con logiche aziendali, così come una amministrazione condurrebbe o adotterebbe un marchio. La 'bandiera nera' è d'impatto sia per
l'opinione pubblica, terrorizzata da un'imminente proliferazione globale del
Califfato, sia per coloro che bramano la sua diffusione nel mondo. I
'consumatori' saranno in grado di identificare il brand, e ciò ne favorirebbe
l'espansione”.
Sta di fatto che “Stato Islamico”, anche grazie ad un’abile macchina propagandistica tecnologicamente avanzata -di stampo squisitamente occidentale-, sta agendo come un magnete per i gruppi jihadisti fondamentalisti di tutto il mondo (leggi).
Estremisti islamici leali al Califfato sono presenti in Marocco, in Mali e in Nigeria. In Egitto, nella regione del Sinai, agiscono piccole cellule di jihadisti, anch'essi fedeli alla causa dell'Isis, Nell’estate dello scorso anno la bandiera dell’Isis è comparsa su alcuni villaggi giordani e militanti dell’Isis hanno sconfinato in Libano. In Libia, paese anch’esso frantumato dall’incursione bellica occidentale, l’Isis ha ottenuto dai gruppi jihadisti che si contendono il ricco territorio del paese il riconoscimento della propria leadership attraverso l’uso dei suoi marchi, simboli, parole d’ordine. Una sorta di franchising come è stato recentemente definito.
Un messaggio potente quello dell’Isis che arriva ai giovani musulmani che vivono nel vuoto politico e nell'ingiustizia creati da strutture di potere corrotte.
Non
solo, ma l’Isis è stato capace di sedurre anche migliaia di combattenti stranieri (leggi).
Alla
fine di settembre dell’anno scorso ne sono stati contati 12.000 di cui 2.200
provenienti dall'Europa. Immigrati di 2° o 3° generazione, ma anche giovani europei. dall’Europa.
Giovani che fuggono dal fondamentalismo economico dell’occidente che li ha resi vite di scarto. Spinti forse dal miraggio di una società incorruttibile e di una comunità solidale. Dalla ricerca del religioso che non troveranno.
Si tratta di giovani
che “hanno tagliato il legame con un
mondo che per loro è bruciato da una malattia che distrugge la fede..., figli
delle nostre omissioni, delle nostre ipocrisie, della nostra viltà. Ci tendono
questo specchio dal fondo delle loro tragedie, e vi vediamo riflesso il nostro
viso”(Così Domenico Quirico, "Il Grande Califfato").
mg
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