dicembre 23, 2013

SUDAFRICA. Oggi. Il nuovo apartheid e la resistenza del popolo africano per la riconquista dei diritti sociali. Le donne in prima linea




Nel 1994 milioni di sudafricani poterono raccogliere il frutto di tanti anni di lotta contro l’oppressione razzista: il primo voto libero; la vittoria dell’African National Congress (ANC) - il partito che aveva capeggiato le rivolte contro la segregazione razziale -; l’elezione di un presidente nero che aveva passato la sua giovinezza nelle carceri del regime; la promulgazione di una Costituzione che aboliva l’apartheid, riconsegnava alla maggioranza nera della popolazione i diritti civili e politici e disegnava una società egualitaria e multirazziale. Il progetto del “paese arcobaleno” voluto da Nelson Mandela.






A distanza di quasi venti anni si può purtroppo affermare che tale progetto è rimasto incompiuto. Sul piano economico l'apartheid non è finito: la gestione dell’economia sudafricana è, infatti, ancora nelle mani della minoranza bianca (l’8% della popolazione secondo il censimento 2011). La classe media imprenditoriale nera è solo di 3 milioni a fronte di una popolazione di oltre 50 milioni.


Enormi ricchezze, estrema povertà


Secondo un recente studio di Citigroup il Sudafrica possiede tutt’oggi il sottosuolo più ricco del pianeta, oltre alla ricchezza rappresentata dalla terra.

Il paese è il primo produttore mondiale di oro, e nella produzione dei diamanti è superato, nel continente, soltanto dal Botswana e dalla Repubblica Democratica del Congo. Inoltre dalla metà del ventesimo secolo, il Sud Africa risulta essere il primo produttore mondiale anche di platino e di altri metalli definiti come PGM (Platinum Group Metals) piazzandosi, inoltre, tra i primi posti nella classifica mondiale delle produzioni di carbone, ferro, uranio, rame, argento e amianto.



La maggior parte di queste ricchezze sono però in mano a multinazionali (come Anglo American Platinum, con sede a Londra; De Beers Investments registrata in Lussemburgo; Gold Fields Mineral Services Ltd, con sede a Londra; Lonmin, con sede a Londra; Impala Platinum Holdings Limited) che registrano volumi d’affari e profitti record (secondo i dati riportati dal mensile ’The African Report’-febbriaio 2012- la Aglo American Platinum: 5,32 miliardi di euro; la De Beers: 4,52 miliardi; la Gold Fields: 3,65 miliardi; la Impala Platinum: 2,94 miliardi; Lonmin: 1,93 miliardi), ciò mentre il 43% dei sudafricani neri vive sotto la soglia di povertà (un dollaro al giorno).



Alcune di queste multinazionali come la Anglo American e la De Beers, dovranno comparire davanti al Tribunale di New York con l’accusa di aver sostenuto e finanziato l’apartheid.



Apartheid economico



La conquista dei diritti civili e politici è stato un risultato importantissimo, tuttavia il progetto di una società arcobaleno si è arrestato sulla soglia della questione sociale. Nel “nuovo Sudafrica” le ingiustizie ereditate dal regime segregazionista restano e in certi casi si sono addirittura ampliate.


Il brutale massacro di Marikana nell’agosto dello scorso anno in una delle più grandi miniere di platino del Sudafrica gestite dalla multinazionale Lonmin, nel quale persero la vita 36 minatori in sciopero per l’aumento del loro salario, ci riporta agli scenari peggiori dei tempi dell’apartheid.




Patrick Craven, portavoce del COSATU (Congress of South African Trade Unions), la principale e più combattiva unione sindacale sudafricana, ha rivolto, poco dopo la morte di Mandela, un appello alle autorità perché contrastino quello che ha definito apartheid economico”. Anziché diminuire, afferma, negli ultimi 12 anni, la differenza di reddito tra neri e bianchi è aumentata: in media il reddito di una famiglia bianca è il doppio di quello di una famiglia nera. La maggioranza dei disoccupati è nera, mentre i disoccupati bianchi sono solo il 5%.


Julien Malema, ex-capo della gioventù dell’ANC ricorda anche le promesse di nazionalizzare le miniere e  l'antica questione delle terre. Le terre delle tribù nere che sono state sequestrate dai coloni boeri: il 70% delle terre coltivabili è in mano agli agricoltori bianchi.




La politica economica post-apartheid



Nel 1994 la coalizione elettorale risultata vittoriosa, composta dall’ANC, dal CPSA e dal COSATU, avviò il Programma "Ricostruzione e Sviluppo (RDP)", un insieme di misure miranti ad un’ampia redistribuzione della ricchezza, basate sull’intervento dello stato nell’economia che includeva la nazionalizzazione delle imprese private nei settori nevralgici dell’economia sudafricana, la creazione di servizi primari, lavoro, abitazioni e la riforma della proprietà terriera.


Nel 1996 il nuovo governo accettò di ripagare il  debito estero accumulato dal precedente governo dell’apartheid. Questa scelta rese necessario avvalersi di un prestito da parte del Fondo Monetario Internazionale e, di conseguenza, sottostare al piano di aggiustamento strutturale imposto dal Fondo come condizione del prestito. Ciò significò adattare  la politica economica ai nuovi parametri del neoliberismo internazionale.


L’RDP venne così sostituito da un nuovo piano strategico, il GEAR (Crescita, Occupazione e Redistribuzione), che avviò una stagione di massicce privatizzazioni, di liberalizzazione degli scambi, di ingenti tagli alla spesa accompagnati da corposi sgravi fiscali per tutte le grandi società, di deregolamentazione del mercato.
Queste misure portarono all’aumento dei prezzi di elettricità, acqua e trasporti; all’abbassamento dei salari e alla flessibilità del lavoro; ai tagli al settore pubblico, in particolare sanità, scuola e pensioni; alla finanziarizzazione dell’economia e all’impoverimento della popolazione nera.



Le mobilitazioni contro il nuovo apartheid.

Le donne in prima linea.



Le misure di politica economica “guidate dal mercato” sono state seguite da un’ondata di mobilitazioni sociali in tutto il Sudafrica, in particolare nelle township  (baraccopoli limitrofe alle  grandi aeree urbane in cui all’epoca dell’apartheid doveva risiedere obbligatoriamente la comunità nera e dove tuttora è costretta a risiedere per ragioni economiche) delle grandi città, come Durban, Cape Town e Johannesburg, in cui si sono costituiti i “movimenti di comunità”. Movimenti che si sono appropriati della tradizione di lotta e delle esperienze di azione diretta ereditate dalle associazioni civiche contro l’apartheid.


Ashwin Desai, professore di sociologia  nell’Università di Johannesburg, autore del libro "Noi siamo i poveri.Lotte comunitarie nel nuovo Apartheid", racconta le esperienze comunitarie nelle township e le forme di lotta adottate dalla popolazione, come quelle consistenti nel riallaccio delle forniture dei servizi di acqua e luce precedentemente disconnessi, nel boicottaggio del pagamento dei servizi e degli affitti e nell’opposizione agli sfratti.

In un’intervista pubblicata su New Internationalist Ashwin Desai sottolinea come in questi movimenti in prima linea ci siano le donne:


Sin dall'inizio, in tutto il paese, i movimenti comunitari erano composti per l'80 % da donne - perlopiù donne di una certa età - semplicemente perché esse erano state le prime a subire le devastazioni del neoliberalismo. I sussidi per i bambini sono stati tagliati drasticamente e le donne sono state le prime ad essere espulse dalle fabbriche quando le tariffe sulle importazioni dagli sweatshops sono state abbandonate. Quelle che hanno trovato lavoro di nuovo adesso sono anch'esse negli sweatshops. Lavorando dal lunedì alla domenica, guadagnano 500 o 600 Rand al mese ($ 65-80). Il sostentamento minimo per una donna sola con un bambino è di circa 1.700 Rand ($ 225), che è veramente un livello di povertà. Così sono diventate parte del movimento per il boicottaggio del pagamento dei servizi. Sul lavoro sono molto docili verso il capo; loro vogliono quei 500 Rand. Ma diventano militanti nella comunità, rifiutando di pagare per l'acqua e l'elettricità. Stanno efficacemente creando un salario sociale attraverso la loro azione, dicendo: Lo stato vuole permettere alle persone di pagarci 500 Rand ($ 65), ma vuole anche che noi paghiamo 800 Rand in affitto, quindi noi prenderemo i 300 Rand di differenza dallo stato, non pagando per i servizi.

Al livello dell'esperienza vissuta che si traduce in attivismo, le donne sono il vero potere” (leggi tutta l'intervista).



In questo contesto si stanno levando molte voci critiche verso il partito al governo. Tra queste spicca, di nuovo, quella di una donna:  Mamphela Ramphele, 65 anni, attivista anti-apartheid e figura di spicco del Black Consciousness Movement negli anni ‘60 e ’70, medico, già vicedecana presso l’Università di Cape Town, e direttrice esecutiva della Banca Mondiale.


Mamphela Ramphele, ha dato vita ad un nuovo partito chiamato Agang, che in lingua Sotho significa “costruire”, ovvero: costruire un Sudafrica davvero multirazziale, con una distribuzione della ricchezza più giusta e con una giustizia sociale imparziale. Si presenterà alle elezioni del prossimo anno.


 mg



 

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